È mancato Nestore Crespi, storico dirigente della pallacanestro italiana. Aveva 88 anni ed era malato da tempo. Varesino, nella sua carriera ha condotto da general manager diverse squadre tra cui Treviso, Livorno, Sassari e Torino.
Il funerale sarà celebrato domani, venerdì 10 febbraio, alle ore 14 nella chiesa di San Vittore a Casbeno.
Nelle righe che seguono il ricordo di Fabio Gandini.
Nestore aveva tanto basket e tanta vita, dentro di sé, da dispensare agli altri.
Il primo in realtà era un gancio, una passione comune che lui riconosceva in te e ciò gli permetteva di catalogarti come suo simile. La seconda, la vera dispensa, scorreva tra le righe di aneddoti, partite e personaggi. Ed era quella che ti restava dentro, quando a malincuore lo dovevi salutare.
Le telefonate di solito erano rapide, quasi non volesse disturbarti; i caffè, invece, erano di un’ortodossia lenta ma irrinunciabile. Ti convocava nel suo “ufficio”, così chiamava “La Cupola” alla Brunella, poco lontano dalla sua abitazione, tra i cui tavolini sedeva a suo agio, uno scherzo con i proprietari e una gentilezza sussurrata alle cameriere, in un mondo di avventori che girava sempre uguale intorno a lui e nel quale lui sguazzava come un pesce felice, abituato, tenendo tutto sotto controllo.
Affabile, generoso, dolce nel prendersi cura degli altri, soprattutto dei più giovani, appena percepiva autentico il tuo interesse, partiva con racconti che duravano ore, mai però senza prima averti chiesto come stessi, senza essersi informato sul tuo lavoro e sulla tua vita. Da signore. Da persona che sapeva vivere e rapportarsi con grazia ed educazione al prossimo.
La scusa di chi scrive, all’epoca giornalista de La Provincia alle primissime armi, per sedere al suo stesso tavolo erano delle interviste cui Nestore si sottoponeva con piacere, animato dalla voglia di condividere il suo patrimonio di opinioni e ricordi. Con il passare del tempo, però, determinare uno scopo per definire e fissare quegli incontri era diventato superfluo, perché era nata un’amicizia. E quella spiegava ogni cosa.
La Pallacanestro Varese era il principe degli argomenti. E trattarlo con lui era stimolo e riflessione, perché - forse anche grazie al fatto di non avervi mai fatto professionalmente parte - sapeva guardarla con il giusto distacco, giudicandola per quello che era e faceva sul campo, senza quel troppo amore che a volte ci rende tutti ciechi. E poi, praticamente sempre, le chiacchiere arrivavano ai ragazzi dell’HS, il suo ultimo amore cestistico, una piccola missione che portava avanti donandole la sua infinita esperienza di dirigente. Con Nestore, anche grazie a Nestore, il basket in carrozzina è finito sui giornali cittadini. E ha vissuto anni di quella giusta fama locale di cui prima non godeva.
Poi, inevitabilmente, la curiosità spingeva il suo interlocutore ai tempi andati, alle Treviso, alle Livorno, alle Torino curate dalla sua mano organizzativa. E allora Nestore si trasformava in un bigino vivente per amanti del basket, anche se la sua predilezione andava sempre a quello minore, piuttosto che alla Serie A, andava alla vita vissuta nei giorni qualunque, piuttosto che ai momenti vissuti su un palco con i riflettori puntati addosso. Tu gli chiedevi di raccontarti come avesse realizzato l’impresa di portare i Benetton alla corte del basket trevigiano, cambiando di fatto per decenni le gerarchie della palla al cesto italiana, e lui - con entusiasmo molto più contagioso - ti portava a immaginare come si potesse vivere e giocare a basket sull’isola della Maddalena, l’ultimo posto al mondo nel quale avresti immaginato un canestro e una squadra ambiziosa.
Perché era tanto basket ed ancora di più vita, Nestore. E chi scrive glielo deve aver detto parecchie volte in quei giorni, ma di certo non lo ha fatto ultimamente. O non lo ha comunque fatto abbastanza, quando non lo ha più visto seduto sui seggiolini del parterre del Lino Oldrini, alla domenica.
Prova a rimediare ora, scrivendolo, affinché rimanga per sempre. Aggiungendo un abbraccio e le condoglianze ai figli e al nipote Roberto, che di lui portano alta la bandiera della gentilezza.