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Busto Arsizio | 09 maggio 2024, 08:55

Miriam Colombo dopo “Le Iene”: «Tanti commenti positivi. Ma troppe esperienze come la mia»

La studentessa, originaria di Busto Arsizio e colpita da fibrosi cistica, commenta l’apprezzamento ricevuto, anche in città, dopo avere parlato in tv di malattie invisibili, della loro sottovalutazione, delle difficoltà nel farsi riconoscere dei diritti. E ai “sani” dice: «Provate a sganciarvi da quello che vedete»

La "iena" Miriam, in camerino

La "iena" Miriam, in camerino

Miriam Colombo, dopo avere indossato in tv i panni della Iena, è soddisfatta. Forse un po’ scombussolata. Non per qualche ripensamento sul messaggio, tosto, lanciato nella nota trasmissione di Italia 1 (vedi QUI) sui temi delle malattie invisibili e della fibrosi cistica, la patologia che la affligge. Ma per il numero e i contenuti delle reazioni che il suo intervento ha suscitato.

Studentessa di medicina a Genova, residente in Liguria con radici a Busto Arsizio, Miriam conferma, parola per parola, gli argomenti del suo monologo e traccia un primissimo bilancio personale. «Positivo – puntualizza tra una telefonata e l’altra – perché sono stata trattata con grande attenzione, mi hanno pure assegnato un camerino con il mio nome sulla porta, come una star. Soprattutto, sono numerosi i messaggi di apprezzamento. Anche da Busto, ovviamente. Dai miei nonni, da sempre il mio personale fan club, da genitori e parenti, dagli amici. Non posso dimenticare il Moto Club Bustese. Si stanno facendo vive anche tante persone che semplicemente hanno visto, ascoltato, compreso».

Come sempre in questi casi, del resto, c’è un però in agguato. «È dovuto alle storie che emergono, esperienze di malati colpiti da patologie invisibili, malattie che non saltano immediatamente all’occhio. Come capita a me,  rischiano di vedere sminuite o trattate con superficialità le loro sofferenze. O non riconosciute le loro difficoltà. Troppi commenti descrivono le stesse cose». Una condizione diffusa perché, sottolinea Miriam, «…è facile che una malattia non si veda. Anche chi ha un polmone a mezzo servizio continua a respirare e va in giro. Anche il cardiopatico. Anche chi si sottopone a chemioterapia ma si veste bene, si trucca e mette la parrucca. Quando vivi una condizione come questa, lotti con i sintomi della malattia e con gli altri. Non conto le volte che mi sono sentita dire: stai benissimo, non sembra neanche che tu sia stata ricoverata. Ma io i mesi in ospedale li ho passati. Eccome».

Ancora: «Mi è capitato di ricevere certe risposte alla mia richiesta di Dad, didattica a distanza... Mi servirebbe in caso di ricoveri o di problemi che mi costringono a stare a casa… Mi hanno pure detto che ricorrendo alla 104 (la legge che contiene misure per assistenza, integrazione e diritti delle persone con disabilità, Ndr) non mi si possono concedere ulteriori privilegi. Privilegi. Per fortuna sono anche capace di incazzarmi, di tirare fuori la grinta e reagire».

Un messaggio aggiuntivo, un desiderio? «Ne scelgo uno tra i tanti, importante: che sempre più persone riescano a considerare i malati provando a immedesimarsi, a empatizzare. Sganciandosi, per quanto possibile, da quello che si vede». Come noto, l’essenziale, a volte, è invisibile agli occhi.

Stefano Tosi

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