Sarebbe un’analisi molto facile da scrivere quella odierna, se non ci fosse stato il terzo quarto…
I 40 minuti complessivi dicono, molto semplicemente, che Varese al PalaSerradimigni è andata a lezione di playoff. E prima o poi doveva capitare: bene, anzi, che sia accaduto ora, quando il tempo per imparare e migliorare è ancora disponibile.
Sedersi dietro a un banco, contro una Dinamo per giunta priva di due giocatori da quintetto, è infatti significato andare a scuola di intensità, di difesa e di "demolizione controllata" dell'avversario attraverso lo studio delle sue caratteristiche.
Il professor Bucchi, dalla cattedra, ha deciso fin dalla palla a due di evitare la morte per triple, specialità biancorossa se ce n’è una, ultima vittima Pesaro: e allora pressione folle su Ross e sugli altri esterni, (con il playmaker americano costretto a disfarsi sempre molto rapidamente del pallone) a costo di lasciare spazi sotto canestro, nei quali - almeno per alcuni tratti - Owens e soprattutto Caruso sono andati a nozze.
La libertà di movimento dei nostri centri non è però bastata a restare in partita, perché è nel volume di gioco prodotto dall’arco che Varese trova una parte consistente della propria linfa offensiva: le sole sei bombe, con il 21% complessivo (peggior prestazione stagionale nel tiro da 3 punti), spiegano perché che il vaso sia rimasto vuoto.
A condire un piano partita perfetto ecco anche l’aggressività e la pazienza offensiva, dote quest’ultima propizia al Banco per arrivare a trovare quasi sempre un tiro pulito e a dominare nonostante percentuali da 3 punti anche nel suo caso rivedibili. Per intenderci: gli isolani hanno vinto di 30 con il 31% da 3… Molto meglio hanno fatto - in compenso - sotto canestro, pescando con deliziosi triangoli Diop e i tagli degli esterni. Ed ecco pure i rimbalzi, altra chiave di lettura fondamentale del match: i 45 concessi dagli ospiti vanno ben oltre i 40 di media di una squadra già ultima nella specifica graduatoria (e il gap finale di sole 5 carambole è stato annacquato da un quarto e mezzo di garbage time).
Garra, attacco solido, difesa estenuante, preparazione a puntino: si tratta di caratteristiche proprie di chi è abituato a confrontarsi con i rompicapo europei e di chi è preparato alle battaglie della post-season, cioè Sassari e non (per il momento) Varese. Prenderne atto non significa ridimensionarsi, al contrario: vuol dire mettersi sulla strada per migliorare ancora. La Openjobmetis di Brase andrà ai playoff e se lì sarà meritati con una stagione fantastica, ma se vorrà competere ed essere almeno un pizzico ambiziosa dovrà provare a fare dei passi in più, prendendo esempio da ciò che l’ha schiantata stasera.
Non torna invece il terzo quarto: nel frangente i biancorossi si sono fatti male da soli. Testardi, incaponiti, grossolani nel non capire l’ampiezza della fossa che loro stessi stavano scavando sotto i propri piedi. Non commentabile il 24-0 di parziale subito, mai viste 7 palle perse in 7 azioni offensive consecutive, rarissimi i soli 4 punti segnati in 10 minuti (“l’impresa” è riuscita a Trento sul parquet di Casale a inizio campionato, mentre il record di sempre appartiene alla Benetton Treviso che nel 2011 segnò un solo punto contro Avellino).
Per 10 minuti Ross e Varese si sono fracassati contro un muro. Per 10 minuti coach Brase è rimasto completamente fermo, congelato come i suoi prodi davanti alla catastrofe. Per 10 minuti la Openjobmetis è parsa non capacitarsi che il suo gioco non stesse funzionando, e si è fatta travolgere senza reagire, quasi scherzando con la propria inadeguatezza (momentanea ma sempre inadeguatezza) e con la propria leggerezza.
Ben le sta, allora, il trentello sul groppone.