Il Lentigione, di cui poi parleremo, è la prima squadra nella graduatoria per il ripescaggio in serie C e ha detto, per bocca del suo patron Alfredo Amadei: «Andremo tra i professionisti solo se ci riammettessero dopo la rinuncia di una delle 9 vincitrici dei gironi (vedi il Gozzano un anno fa) ma non accettiamo di pagare la tassa a fondo perduto di 300 mila euro per essere ripescati». Questa, pur cruda ed estrema, è chiarezza.
Attendevamo lo stesso annuncio dal Varese, ma restiamo in fiduciosa attesa, qualunque cosa comporti una decisione del club, ben sapendo che i tifosi e la città - anche per un campionato che, fino a Novara-Varese, si sarebbe ancora potuto vincere, anche per merito di una squadra ben costruita - da Casale e Sanremo in poi, ma anche prima, hanno sempre creduto alla serie C. Sarebbe una disillusione tornare a giocare a Fossano, e non al Piola o a Padova, sempre che perda la finale per la B con il Palermo.
"Crediamo alla C", "Saremo costretti a rifare la serie D" , "Stiamo cercando imprenditori o finanziatori che ci permettano di accettare l'eventuale domanda di ripescaggio": queste sono le parole che ci aspettiamo, prima ancora di parlare di tornelli, led sui lampioni, seggiolini nei distinti («Non sono lavori così impressionanti da fare, se c'è un progetto» ha detto una persona che conta e se ne intende). Come conta la possibilità economica di disputare i professionisti, oggi o in futuro: se non c'è, se ne prende atto per il presente e per il futuro. Da Roma a Milano, dove non c'è solo la Regione ma anche Beppe Marotta, in provincia e a Varese, dove non esiste solo il club biancorosso ma anche altri imprenditori.
A 7 anni dalla serie B, dopo inenarrabili umiliazioni che hanno perfino costretto i ragazzini del Varese a scavare con le pale sulla riga per alzare i pali e rendere regolamentari le dimensioni della porta a due centimetri dagli ultrà del Legnano che li insultavano, dire ai tifosi che la dimensione economica del club non permette di disputare la C, oggi e non solo, equivarrebbe, di fatto, a mettersi nella condizione di cercare nuove risorse o compratori perché ciò accada: legittimo, anche se siamo abituati ai colpi di coda più ingegnosi e imprevedibili da parte di chi, dalla terza categoria, in una sola stagione ha riportato il Varese in D.
Di sicuro, sarebbe ingiusto - almeno a nostro avviso - tentare fino all’ultimo di provare a fare la C per poi eventualmente dare la colpa allo stadio, sempre che qualcuno lo abbia mai pensato, guardando il dito e non la luna.
Il problema del Varese potrà anche diventare lo stadio ma, per esserlo, si dovrebbe prima dire alla città, ai tifosi, agli altri imprenditori e mercoledì nell'incontro in Comune, una frase, la più importante e decisiva, l’unica da cui dipende il resto, Franco Ossola compreso. Questa: «Se ci chiedono di essere ripescati, siamo pronti e abbiamo risorse e investitori per fare la serie C. Il Varese c’è». Lo stadio è il secondo passo, ma il primo è la cifra complessiva tra il milione e i due milioni necessaria per restare in corsa.
Le altre piazze in lizza, anche quelle alle spalle del Varese (vedi la Sambenedettese), o che sono davanti in graduatoria ma non rispettano tutti i parametri richiesti (Cavese) hanno già detto “C siamo”, oppure, come la quasi totalità di esse, "Non C siamo".
Detto ciò, noi avremmo dato carta bianca allo stadio di Sogliano nel 2005, figurarsi se non vorremmo subito seggiolini avvolgenti, impianti Led psichedelici, tornelli rotanti e sala stampa da Premier League (staremmo comunque fuori, con il computer sulle gambe, sulle "vecchie" seggiole della serie B: al chiuso non si sente arrivare il vento del Franco Ossola) anche se, da uomini della strada, prima di tutto aggiungeremmo bar e parcheggi.
È lapalissiano: senza uno stadio moderno, il Varese non tornerà mai da nessuna parte e, oltre ai soldi del momento, servono progetti e imprenditori che durino anni per metterci mano, a meno che non siano arrivate a certi livelli proposte sul Franco Ossola e sull’area antistante con cui tutti dovranno confrontarsi.
Di sicuro, dal giorno di Sanremo e anche prima i tifosi, la squadra e lo staff credono e meritano quella serie C presa grazie ai tre attaccanti più umili, anche dal punto di vista degli accordi economici, della rosa, ai gol decisivi di chi (Minaj) in precedenza non da tutti era considerato "un vero giocatore di calcio", a chi come Disabato e Gazo è stato lasciato in panchina nella partita in cui si è perso il primo posto, mano o non mano, e a chi (Gianluca Porro) è stato pescato dal basso, come accade spesso nei cicli vincenti biancorossi, risultando il primo artefice - insieme a Neto - di una remontada da riconferma immediata, visto che ha preso per i capelli il Varese quando stava scivolando fuori dai playoff, facendogli vincere 7 partite su 9, due in trasferta, senza ritorno, a Casale e Sanremo, con gioia di vivere, complicità e libertà assolute.
Ma, soprattutto, da quei tifosi che da domenica scorsa stanno cantando ("Sono varesino e me ne vanto"). Tornare a giocare con il Novara, che non se lo sarebbe mai aspettato, sapendo che è tutto scritto, e andare all'arrembaggio a caccia di una salvezza all'ultima giornata con una squadra di varesini, giovani e pochissimi senatori invece che provare a rivincere la D (ha ragione chi ha detto: "L'abbiamo già vinta a Sanremo"): c'è ambizione più grande, entusiasmante e vincente per un tifoso del Varese e per chi lo rappresenta in società?
E per finire eccoci, come promesso, al Lentigione, la squadra di una frazione del comune di Brescello, in provincia di Reggio Emilia, che ha battuto il Ravenna in trasferta nella finale playoff del girone D davanti a oltre mille tifosi con due gol all'88' e al 93', dopo aver fatto lo stesso con il Rimini. Applausi al Lentigione.