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Eventi | 20 settembre 2020, 07:00

In mostra all'oratorio di Velate "Le fabbriche di Vincenzo Morlotti": «Ripartiamo dalla bellezza»

Inaugurata ieri “Archeovisioni industriali. Le fabbriche di Vincenzo Morlotti” ci fa riflettere sull’importanza dell’arte e della cultura come spinta al miglioramento della società

Qui e nella galleria fotografica, dove trovate anche i relatori dell'incontro di ieri, alcune delle opere esposte

Qui e nella galleria fotografica, dove trovate anche i relatori dell'incontro di ieri, alcune delle opere esposte

Quanti di noi hanno avuto la fortuna di visitare il bellissimo Oratorio di Velate, oggi cornice di importanti iniziative culturali? 

Proprio qui, nei 72 metri quadri di questo luogo bellissimo e molto suggestivo, da ieri (sabato 19 settembre) a domenica 4 ottobre è visitabile “Archeovisioni industriali. Le fabbriche di Vincenzo Morlotti”, mostra curata da Carla Tocchetti

Sedici opere dedicate a diverse aree industriali del nostro territorio, dal Birrificio Poretti di Induno Olona alla cartiera di Cairate, alla ceramica Verbano, da luoghi ancora in piena attività ad altri ormai dismessi, ma non per questo da dimenticare e abbandonare. 

All’inaugurazione della mostra, presso il teatrino dell’Oratorio di Velate, la curatrice, i “padroni di casa”, esponenti di istituzioni pubbliche, appassionati d’arte.

Assente fisicamente, ma ben presente attraverso le sue opere, l’artista Vincenzo Morlotti, nato a Vedano Olona (VA) nel 1949, ancora vivente ma ritirato a vita privata; un artista che guarda il mondo che lo circonda in modo diverso, che si “intrufola” di notte nelle aree industriali per cercare nuove prospettive, che si arrampica, come un gatto (animale con cui si rappresenta, nelle sue opere), anche sulle sue grandi tele, lui che è una persona esile e di bassa statura.

La mostra è stata realizzata con il contributo della Fondazione Comunitaria del Varesotto e il patrocinio di Comune di Varese, Università degli Studi dell’Insubria, Ordine degli Architetti di Varese, Parco regionale del Campo dei Fiori, Comitato Culturale del JRC di Ispra e la Comunità Pastorale Maria Madre Immacolata.

Bellezza e tecnica per ripartire

Un breve excursus sulla genesi dell’esposizione, la prima delle cinque previste dal programma “Immaginario 2020 – Arte e Scienza”, introduce diversi interventi: Don Giampietro Corbetta, parroco di Velate, parla del binomio bellezza - lavoro come base da cui ripartire, soprattutto in un momento come quello che stiamo vivendo.

Anche Davide Galimberti, sindaco di Varese, riflette sul lavoro, le imprese, la necessità di riconvertire il nostro territorio e di tutta l’Italia. L’importante, continua, è «capire quale direzione seguire, quale percorso intraprendere e in questo l’arte può avere un ruolo fondamentale di ispirazione». 

L’architetto Katia Accossato, che ha seguito in prima persona l’allestimento della mostra, ritorna sul tema della bellezza, riproponendola associata alla cultura della tecnica, ovvero la capacità di comprendere il valore delle aree abbandonate e guidarne il mantenimento della forma. Una nuova estetica, quindi, per una nuova concezione degli spazi, forse più consapevole e di qualità.

Massimiliano Ferrario, storico, critico d’arte e responsabile del CRiSAC (Centro di Ricerca sulla Storia dell’Arte Contemporanea) presso l’Università degli Studi dell’Insubria, analizza le correnti artistiche che hanno influenzato Morlotti, dal divisionismo al futurismo, dalle declinazioni tedesche dello stile floreali alle architetture utopistiche, passando per “il Doganiere” Henry Rousseau, in particolare per le cromie, il surrealismo, l’astrattismo geometrico. 

Quello che è certo è che Vincenzo Morlotti ha avuto la capacità di cristallizzare ad aeternum le fabbriche, collocandole in una dimensione atemporale e aspaziale e fornendo loro un utilizzo “ideale”, che non corrisponde più al loro scopo iniziale, ma che consente loro di continuare ad esistere. Ha saputo far vivere in totale osmosi (anche grazie al sapiente uso delle cromie) uomo, natura e manufatto, definendo il suo stesso stile “naturalismo industriale”.

Passato, presente e futuro, quindi, si uniscono nelle tele e nel titolo stesso della mostra, “Archeovisioni industriali”, in cui si intuisce un rimando all’“archeologia industriale”, ramo che studia le testimonianze del processo di industrializzazione fin dalle origini.

L’arte come motore di crescita sociale

L'oratorio di Velate non è una location “sconosciuta” al mondo dell’arte e degli eventi: qui, infatti, la “Beautiful Varese International Organization”, di cui Carla Tocchetti è presidente, da ormai tre anni è di casa e organizza mostre ed eventi con l’obiettivo di rivalorizzare il territorio varesino attraverso l’arte, perché, afferma la Tocchetti «l’arte diventa lo strumento per proporre riflessioni su alcuni temi scientifici fondamentali per la nostra società»

Una crescita, quindi, della città e della comunità stessa che parte non da progetti pensati ex novo, da un foglio bianco su cui disegnare qualcosa di mai esistito, bensì dalla rivalutazione, dal ritorno alla vita di elementi caduti nel dimenticatoio, magari con vesti e funzioni diverse - ne è esempio lo stesso oratorio, ora destinato ad attività culturali. 

E allora non abbattiamo ciò che è in disuso, che magari sta cadendo a pezzi. Diamo un nuovo valore, un nuovo futuro al passato, una nuova identità al territorio, partendo proprio dalle fabbriche, quei luoghi che sono stati la culla dello sviluppo della nostra provincia, hanno fatto di Varese uno tra i principali centri della Rivoluzione Industriale dell’Ottocento e, ancora oggi, sono simbolo di progresso.

Perché visitare la mostra? L’invito di Carla Tocchetti 

«È una rassegna completa di tutte queste nostre fabbriche. Tante volte abbiamo pensato di fare un progetto sull’archeologia industriale del nostro territorio, ma mai si era trovata l’opportunità artistica per potere parlare. Spero davvero che i varesini possano venire, io continuo a proporre, non mi fermo, sono convinta che anche in questo periodo di Covid non bisogna abbassare la guardia, con il lockdown c’è stata una caduta verticale delle occasioni artistiche sul territorio, perché non ci si poteva muovere e da lì in avanti le stesse location sono tutt’ora penalizzate, tanti non hanno riaperto e quando finirà la stagione open air ci sarà di nuovo un silenzio totale, o quasi, per cui venite alle nostre mostre, parlatene, fatelo sapere. È facile dire “rinviamo al 2021”, ma se togliamo la cultura restano solo i social».

Giulia Nicora

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