«Avevo appena iniziato la carriera da mister e allenavo la Juniores della mia Massese, che era - come oggi - in Eccellenza: si rischiava il fallimento, al raduno eravamo arrivati con i sacchetti neri con dentro tutto il materiale, senza borse né tute. A qualche partita dalla fine, il presidente mi chiama per traghettare la squadra a fine campionato: andiamo ai playoff e così mi conferma per l'anno successivo. Giochiamo un'amichevole estiva in casa della Carrarese, che poi vincerà il campionato e andrà in C1: vinciamo noi con gol di Igor Zaniolo, che ogni tanto arrivava al campo con il suo figliolo Nicolò. Si vedeva che a Carrara stavano già costruendo qualcosa di importante, e io dissi al mio secondo: "Passeranno 10 anni prima che la Massese batta di nuovo la Carrarese nel derby...". Ad oggi ne sono trascorsi più di 13». Marco Spilli è così: se arriva la Carrarese in serie B dopo 76 anni («Progetto solido fatto da imprenditori dell'area marmifera che sono persone serie, ma io sono massese e da noi in città si dice "provincia di Massa", anche se la provincia in realtà è quella di Massa Carrara. Quando un sindaco vuole perdere le elezioni se ne esce fuori con questa proposta: "Ma perché non uniamo Massese e Carrarese?"»), lui ha già l'aneddoto pronto. Sa sempre cosa dire nel momento in cui lo deve fare, il tono da usare, le parole da dosare in quel mix di saggezza, paternità e magnetismo con cui andare sempre dritto all'obiettivo, trovare una risposta a ogni domanda e una soluzione al problema.
E così, sotto il tendone del bar di Venegono, mentre genitori e ragazzi del vivaio vanno e vengono con i borsoni, si parla un po' di tutto. Di calcio ma soprattutto di vita con lui lì, a gettare la rete e pescare un mix di saggezza e incoscienza dentro il mare dei suoi 53 anni vissuti fino in fondo, con quella prorompente curiosità e il guanto della sfida lanciato spesso a se stesso.
Le origini, Massa, "papà e non babbo"
«Vivo da tantissimi anni in giro per l'Italia, ho perso la nostalgia di casa che avevo all'inizio, anche se sento il richiamo degli affetti e di mia sorella. Accanto a me ho la famiglia, mia moglie Michela e mia figlia Martina che aveva 6 mesi quando sono arrivato qui e ora ne ha 13: non ha il mio accento toscano e mi chiama "papà", mentre a Massa si dice ancora "babbo". Per lei 3 mesi di mare d'estate in Toscana sono tanti, anche se le amiche glieli invidiano».
La prima volta al Nord
«Sono arrivato da allenatore alla Sommese, dove avevo come giocatore, tra gli altri, un certo Max Di Caro e dove ho perso la finale per andare in D contro il Real Vicenza, uno squadrone in cui giocò anche Scapinello dopo l'ultima B nel Varese. Il presidente del Real, Lino Diquigiovanni, "impazzì" perché da vicentino non gli avevano dato il Vicenza, affidato a una proprietà inglese: per rivalsa comprò il titolo di una società di Eccellenza, la chiamò Real Vicenza e la vestì di biancorosso, facendola giocare al Menti dove incontrò perfino il Vicenza in un derby di Coppa. Quando ci battè e andò in D, vinse ancora e salì in Seconda Divisione. Noi avevamo 4 giovani in campo e il Real 2, ma di ragazzi ne abbiamo sempre avuti più di tutti... A Somma dovevamo centrare una salvezza tranquilla e, invece, arrivammo secondi battendo anche due volte la Pro Sesto, poi promossa. Era il 2011/12, poi ecco la Solbiasommese, dove fummo ancora secondi. Quindi arrivò lei: la Varesina».
2013/14: la proposta indecente e un amore infinito
«Stavo giocando a calcetto con gli amici a Massa, quandò chiamò Lino Di Caro e mi disse: "Devo farti una proposta indecente: vado a Venegono perché voglio restituire qualcosa alla squadra del mio paese, ripartiamo dalla Promozione, vieni con noi? Pensaci una notte, domattina ci sentiamo". Lui anche oggi mi ricorda la risposta che gli diedi 11 anni fa. Questa: "Lo sai che in Promozione non ci sono neppure gli arbitri?"».
Di Caro fa ciò che dice
«Lino mi disse che voleva fare una squadra forte, vincere campionati, fare un campo in sintetico. Ci sono presidenti che dicono tante cose e non le fanno: lui è l'esatto opposto. Mentre continuavo a giocare a calcetto, mi dissi: "Non posso farlo aspettare fino a domani". Lo richiamai subito, bastò una parola: "Arrivo". Mi sono fidato delle persone, e ho fatto bene. Vincemmo la Promozione con 6 giornate d'anticipo, e la storia iniziò...».
Più difficile resistere, o rivincere, che vincere
«Magari trovi la situazione giusta, oppure spendi tanto, e vinci. Però è più difficile resistere e durare. Prendete me alla Varesina: venivano dalla vittoria della Terza Categoria, della Seconda e della Prima... poi arrivo io, e vinciamo anche Promozione ed Eccellenza, arrivando a quota cinque campionati consecutivi. Dalla Terza alla D, un record».
Indizi di pazzia
«Qualcosa di folle germogliava già allora. 2014/15, finale playoff vinta con la Liventina per salire in D: 3-3 in casa dopo essere stati sotto 3-1 con pareggio al 92' e, nel ritorno, 5-2 dopo che perdevamo 2-0 al 10'...».
Tanto tempo fa alla Sommese...
«Ero molto più impulsivo, prendevo tante espulsioni. Piano piano ho limato questo aspetto del carattere, anche se i Di Caro hanno accettato il fatto che fossi un po' verace. Con il tempo, si cambia un po' tutti e ci si tranquillizza, si diventa più razionali e riflessivi. Lo Spilli giocatore? Ogni tanto, da attaccante, mi piaceva metterla in bagarre».
Sotto la maschera godo
«Anche a Somma giocavamo veramente bene: eravamo andati a vincere 2-0 al Breda di Sesto, ma era un'altra categoria. Quest'anno a livello di gol fatti ci siamo superati, pur prendendo qualche rete in più, ma ne è valsa la pena perché alla fine mi sono divertito anche io. Anzi: sono i miei giocatori ad avermi fatto divertire. Quando vedo così tanti giocatori fare gesti tecnici così belli, godo anch'io sotto la maschera. E quest'anno ho vissuto momenti di puro godimento».
In migliaia allo stadio
«Ho pensato tante volte al fatto che se questa squadra avesse giocato in stadi importanti, avrebbe fatto innamorare migliaia di persone. Fossimo stati in una grande piazza che ha fame di calcio, Varese compresa, avremmo trascinato tanta gente e questo ci avrebbe dato una spinta in più. In carriera ho giocato a La Spezia, Frosinone, Triestina, Cava de' Tirreni e se non riesci a trasformare in qualcosa di positivo la pressione e la passione dei tifosi, significa che non puoi stare a certi livelli: è un modo per misurarsi. Ma vuoi mettere tornare da una trasferta come quella che abbiamo vinto a Piacenza nei playoff e trovare mille persone in piazza ad aspettarti? Sono cose che aiutano anche un allenatore e una società, che altrimenti devono inventarsi quando dare il bastone o la carota, automotivando sempre tutti. La speranza è quella di aver fatto appassionare i ragazzi più giovani e che possano tornare al campo a vederci».
Offerte che fanno vacillare? Una sola
«Richieste che mi hanno fatto vacillare? Forse una, ma anche in quel caso ci ho messo poco a rispondere... Dopo i due campionati vinti, fui contattato da una società di serie A per allenare la Primavera, e mi chiesi: "Se anche faccio bene, dove potrò finire l'anno dopo se non in D?". In più avrei pure dovuto andare a fare il casting per avere il posto, e io non sono un tipo da casting... Ho ringraziato e ho detto: "Ho raggiunto la serie D sulle mie gambe, e la voglio mantenere". Anche dopo questo campionato mi è arrivata qualche offerta, ma dalla stessa categoria e non sarei andato a stare meglio».
La promessa della C nel deserto
«Mi piacerebbe tornare tra i professionisti, perché l'ambizione è il sale della vita, con la Varesina. Lo dissi tanti anni fa in un video che gira ancora sui social, quando qui a Venegono non c'era neppure la tribuna coperta: "Il sogno è la serie C". Qualcuno allora mi prese e ci prese per pazzi: capita, ma se non sogni di fare cose importanti, non le farai mai. E poi non dissi quanti anni ci avrei messo per arrivarci...».
Oltre le perdite e le apparenze
«Abbiamo valorizzato tanti giocatori, vederne andare qualcuno tra i professionisti dev'essere un piacere anche per noi, oltre a ricordarci che abbiamo fatto le scelte giuste. Come facciamo noi scelte sui calciatori, dobbiamo accettare che le facciano anche loro ed esserne orgogliosi. Inutile vivere oggi come una situazione negativa la perdita di 5-6 elementi, soprattutto quando costruisci una squadra-trampolino giovane e brillante come l'ultima».
Un altro figlio di cui innamorarsi
«Non dobbiamo pensare di rifare le stesse cose: avremmo già perso. Nella prossima stagione nasce un altro figlio di cui dovremo innamorarci anche se avrà un carattere completamente diverso. Dobbiamo solo capire se, con altre caratteristiche come testardaggine e resilienza, arriverà a grandi obiettivi».
La squadra della gioia
«È nata dalla bravura dei direttori e nostra di pensare a una creatura con ragazzi di talento e che volessero rilanciarsi, vedi Vitale: ha scelto per la prima volta di trasferirsi dalla Sicilia alla Varesina in D piuttosto che andare in C, ed è stata la decisione azzeccata. Ha accettato rimproveri, in alcuni momenti ha abbassato la testa: sono contento che vada in C perché è stato bravo lui come lo siamo stati noi».
La vittoria più bella
«Le tre sconfitte, compresa quella in Coppa, hanno fatto apparire lo spettro di non riuscire più a rialzarci come accadde la stagione precedente, quando siamo caduti in un burrone in piena lotta playoff, e non siamo più risaliti. Quest'anno abbiamo toccato le corde giuste di ragazzi forse più responsabili, e la reazione c'è stata. Oltre al percorso fatto sul campo, questa è la vittoria più bella».
Di Caro, come si cambia
«Alla Sommese erano sponsor, ora la creatura è loro. Sono sempre state persone serie, hanno sempre fatto il passo secondo la gamba, come in azienda, ma allo stesso modo sono ambiziosi. Magari qualcuno può avere l'ansia di arrivare in categorie importanti nel modo più veloce e perde l'occasione di stare dentro un team che funziona».
Il mio calcio
«Sono uno juventino atipico, che non vuole solo vincere - per farlo devi avere le spalle coperte da un progetto - ma guarda anche al modo di arrivarci e che, ora, è molto più vicino al calcio dell'Atalanta fatto di fisicità, cuore, corsa e sacrificio, tutte cose che entusiasmano la gente. Poi dipende dalla piazza in cui sei: se facevo una scivolata a Trieste, la gente si stupiva e faceva "ohhh" perché non era abituata a quel gesto da parte di un centravanti, da cui si sarebbe aspettata lo stop e il gol; a Cava de' Tirreni, invece, veniva giù lo stadio. A Venegono vogliono vedere giocatori che sudano la maglia e lottano alla morte».
I nuovi giocatori
«Vogliamo fare le cose per bene senza l'ossessione di fare per forza meglio, anche se cerchiamo di crescere. Il mercato della Varesina da un certo punto di vista potrebbe essere un pochino più agevole perché ci siamo fatti conoscere con un contesto e una ricetta attraenti: abbiamo fatto fare gol a tutti con il miglior attacco (73 reti in campionato, 11 in coppa e 4 nei playoff). Poi c'è il discorso del blasone e della piazza che, più di quello economico, rischia di farci arrivare secondi su qualche giocatore. L'allenatore della Varesina anche in futuro dovrà essere bravo a prendere quello che il mercato regala cucendo il vestito giusto, puntando sulle motivazioni e su qualche giocatore che si deve rilanciare (Orellana, per esempio, era retrocesso...) e che è affamato di dimostrare che qualcuno su di lui si è sbagliato. In porta non saremo i soli ad avere un portiere d'esperienza essendosi ridotto il numero degli under (da 4 a 3)». Nb: e infatti i primi acquisti sono l'attaccante Guri e il portiere Chironi (clicca e leggi QUI)
La Serie D, il girone, i campi
«I gironi A e B non sono paragonabili. Tornerei nell'A? Sì, ma con una squadra diversa perché il B è più tecnico. Nell'A avremmo fatto fatica non tanto per una questione caratteriale, ma anche per i campi e le situazioni diverse che puoi trovare. Nel B si gioca quasi sempre su tappeti verdi contro squadre che puntano sul gioco e non sulla bagarre. Se vai altrove, devi attrezzarti in maniera diversa, anche se pure nel girone A a Venegono avremmo fatti parecchi punti».
L'immagine e l'essenza
«Magari puoi dare una certa immagine di te che poi, quando la gente ti conosce, è diversa, e penso anche al sottoscritto».
I giocatori cambiano, la maglia resta
«I giocatori cambiamo, soprattutto se sali e ancor di più se sei in un paese di 7 mila abitanti dove non puoi sempre pescare nel tuo bacino, ma la maglia resta».
Il leader tecnico e quello caratteriale
«Guidetti è il leader saggio: dice le cose giuste al momento giusto. Il leader caratteriale da noi non c'era. I giovani seguivano il leader tecnico, così Sali era affascinato da Vitale e Orellana, o da Manicone. I centrocampisti si ispiravano ai compagni di reparto. "Cattivoni" non ne avevamo. In una situazione come quella della semifinale a Piacenza, in cui ci hanno fatto due gol uno dopo l'altro, siamo usciti con la forza d'animo, ma volendo far male da un punto di vista tecnico. Infatti non ricordo un'espulsione diretta presa dai miei».
Cattivoni e nuova pelle
«Magari la chiave della prossima stagione può essere quella di cambiare pelle o di avere quei cattivoni di cui parlavo, che però non è così facile trovare e che magari poi portano a una gestione più difficile dello spogliatoio. Al di là di tutto, la cosa giusta sarà racchiusa in una parola: equilibrio».