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Opinioni | 09 maggio 2024, 14:27

EDITORIALE. Il sangue di via Menotti e una società che usa la ragione come una clava. Tutto e subito, anche le coltellate

Quella di Casbeno è la punta di un iceberg sulla quale tutti noi danziamo in equilibrio precario mettendo in pericolo noi stessi e gli altri. Non parliamo più, non sappiamo più argomentare, non abbiamo più la pazienza dei nostri nonni

Un messaggio contro la violenza sulle donne all'ingresso del carcere dei Miogni

Un messaggio contro la violenza sulle donne all'ingresso del carcere dei Miogni

Provate a immaginare che quello che avete letto sul fattaccio di via Ciro Menotti sia solo la trama di un film. Mettetevi comodi nella poltroncina di velluto, un barattolo di popcorn in grembo e la voglia di entrare nella storia, ben sapendo che ne sarete esclusi e potrete, al massimo, dare un giudizio alla fine. 

Quindi: un padre esasperato dal fatto di non  poter più vedere il suo bambino si presenta fuori dall’ufficio della moglie. Non ha in mano un mazzo di fiori, ma un coltello. Probabilmente  anche l’intenzione di usarlo se le cose non dovessero andare come lui si augura. Discussione, urla, coltellate. 

Il padre di lei vede la scena, si precipita in strada e - dice la sceneggiatura - afferra una mazza da golf, con la quale cerca di fermare  l’uomo colpendo prima lui e poi l’auto con la quale l’aggressore cerca di andarsene - dice sempre la sceneggiatura - per costituirsi in questura, sopraffatto dall’enormità di quanto appena compiuto. Ne nasce una nuova colluttazione e questa volta tra mazza da golf e coltello ha la meglio  l’oggetto con la lama più tagliente. Il padre della donna, colpito al collo, muore tra le braccia dei soccorritori. La donna è grave in ospedale, l’aggressore è ai Miogni in attesa delle scontate decisioni del giudice.

Cineforum: cosa ne pensate della trama?

Mario: “Lui, l’ex marito con il coltello, all’inizio della pellicola mi sembrava un tipo tranquillo. I suoi compagni di scuola lo raccontano come una mente brillante, non di sicuro violenta. I suoi colleghi avvocati dicono che in tribunale era bravo, puntiglioso, preciso e mai sopra le righe. Secondo me il regista ha esagerato nel trasformarlo in un killer”.

La paladina dei diritti delle donne: “Perché nelle liti di coppia deve andarci sempre di mezzo la parte più debole? Perché un ex marito si presenta all’appuntamento con un coltello? Qui non si racconta di una persona fuori di sé,  ma di una fin troppo piena di sè, che non sa rinunciare a quello che crede essere un suo diritto e non esita a diventare violento per riavere quanto è convinto che gli spetti”.

I supporter del padre: “Se toccano mia figlia è normale che mi vada il sangue agli occhi. Altro che mazza da golf, ci voleva una bella doppietta per tener lontano quell’energumeno”.

I buonisti: “Era esasperato. La famiglia di lei non gli faceva vedere il bambino. Se negli anni non si fossero messi di mezzo i suoceri, probabilmente, non sarebbe successo nulla. Di gente che si separa sono pieni tribunali. Certo che se fai di tutto per far soffrire un papà...”.

Quelli che non dimenticano: “C’era un procedimento in corso per stalking e violenza. Cosa doveva fare la famiglia di lei, lasciargli il bambino per poi piangere sul suo corpicino come è successo due anni fa a Mesenzana e a Morazzone?”.

Segue dibattito, a volte molto acceso, aspro, con punte di violenza, per fortuna solo verbale. Perché forse, quello che il regista ha tentato di farci capire è che siamo schiavi di una società violenta, dove imbracciando la ragione come una clava mettiamo in pericolo noi stessi e gli altri.

Quella di via Ciro Menotti è la punta di un iceberg sulla quale tutti noi danziamo in equilibrio precario. Si può ribaltare da un momento all’altro, sembra quasi che non abbiamo più gli strumenti per tenerci saldi in piedi. Non parliamo più (abbasso i social), non sappiamo più argomentare (se io vedo bianco, quello che dice nero è per definizione un avversario), non abbiamo più la pazienza dei nostri nonni e di Eduardo (ha da passà ‘a nuttata). Tutto e subito. Anche le coltellate.  

Marco Dal Fior

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