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Opinioni | 15 aprile 2024, 19:41

Carissimo Itis, grazie per 75 anni di emozioni. L'unica scuola che ti fa sentire al lavoro

È stato un compleanno indimenticabile quello vissuto questa mattina al teatro di Varese da centinaia di studenti dell'Isis Newton: i ragazzi sul palco hanno rubato il "mestiere" ai giornalisti e ai tanti "grandi" presenti. Basta ascoltarli e lasciarli fare, e il futuro batterà il passato

Sul palco del teatro di Varese la body percussion in cui si sono esibiti ragazze e ragazzi dell'Itis per il 75° compleanno dell'istituto di via Zucchi

Sul palco del teatro di Varese la body percussion in cui si sono esibiti ragazze e ragazzi dell'Itis per il 75° compleanno dell'istituto di via Zucchi

Settantacinque anni di Itis a Varese: della festa al teatro di stamattina (clicca QUI) davanti a centinaia di studenti rimangono impresse emozioni che non se ne andranno facilmente e permettono a un istituto storico della nostra provincia a volte e a torto considerato duro o, ci si passi il termine, "quadrato", di mostrare il suo volto pieno di calore e di sogni. Abbiamo provato a radunare in poche righe queste emozioni grazie al conduttore dell'evento Vito Romaniello, direttore di GiocaBet Tv, un'emittente capace di mettere in piedi una diretta nel giro di pochissimo tempo al servizio del territorio e dei giovani (complimenti), e all'ex studente dell'Itis Andrea Confalonieri. Perché il 75° compleanno non finisca qui. 

Le emozioni di Vito Romaniello

1) Lo sguardo del preside rivolto agli occhi dei "suoi" ragazzi. Dove è riuscito a trovare attenzione e leggere orgoglio e appartenenza. La sensibilità di questo dirigente scolastico così innamorato del proprio lavoro e degli studenti la porterò sempre con me. Perché non è scontata. 

2) L’emozione di Valentina, la bravissima studentessa che mi è stata accanto sul palco questa mattina e dei suoi compagni di scuola che si sono improvvisati giornalisti per intervistare ospiti importanti. Sono stati tutti bravissimi, entusiasti di avermi e averci "rubato" il mestiere. Bisogna ascoltare i giovani, provare a parlare il loro linguaggio. In una sola parola: comunicare. Alla fine li lasci fare e si ottengono risultati sorprendenti.

3) La forza dell'Itis, anche a distanza di anni, è quella di riunire vecchi e nuovi amici. Io stesso ho rivisto colleghi che quando me ne sono andato da Varese erano cronisti ed oggi li ho trovati direttori. Appassionati di fronte a centinaia di studenti e all'idea che il giornalismo possa essere ancora al servizio di lettori e ascoltatori, anche giovani.

4) L'amore per il Made in Italy da parte di chi può diventare protagonista nelle aziende del proprio paese, come questi studenti. Il podcast iniziale con il teatro a luci spente trasformato in una improvvisata e immensa sala di registrazione avvolta dalla “musica dell’ambiente” (il vento, le onde del mare, i pascoli alpini, un pallone preso a calci dai bambini sotto un campanile). Ha alla base la forza della "voce", la prima cosa che ho pensato a recuperare quattro anni fa dopo essere rimasto immobile a lungo in un letto d'ospedale. Perché il suono porta lontano, entra nell'anima e fa riaffiorare ricordi ed emozioni.

Le emozioni di Andrea Confalonieri

1) La corazza, la caparbietà, la compattezza, la concretezza, i rapporti forti senza fronzoli di una scuola che non è una passeggiata, piena di mattinate infinite ma anche di lunghi pomeriggi, abbinata a quello che rispetto a una volta pareva impensabile all'Itis o all'Ipsia: una sfilata di moda, la body percussion collettiva dei ragazzi sul palco, il coro e l'inno scolastico grazie al maestro, altrettanto bravo, Andrea Pillon. E poi dicono che il mondo cambia in peggio. All'Itis conservano la loro solida identità, aggiungendo la leggerezza e i sorrisi che un tempo mancavano.
2) Gli applausi, l'incoraggiamento, la partecipazione delle centinaia di studenti in sala verso i loro compagni protagonisti sul palco: questi giovani hanno occhi e orecchie soprattutto per i giovani, prim'ancora che per i grandi. E questo è giusto: è il loro mondo e il primo passo per cambiarlo è essere artefici del proprio destino, non di quello che vorrebbero i grandi.
3) La frase finale di Giancarlo Giorgetti («I ragazzi dopo 4-5 ore non ce la fanno più, e non ce la facciamo più nemmeno noi») che mette davanti la parola "ragazzi" a "noi", e quella di Guido Borghi, figlio del Cumenda: «Mio padre ha iniziato facendo l'idraulico e l'elettricista, poi vendendo frigoriferi». Quel padre divenne uno dei più grandi imprenditori italiani di tutti i tempi e questi ragazzi, nel paragone implicito di Guido, possono tutto.
4) I ragazzi dell'Itis di oggi non lo sanno ancora ma, tra trenta o quarant'anni, potrà capitare anche a qualcuno di loro, com'è capitato a noi, che il compagno di banco di via Zucchi diventi il migliore amico di tutta la vita. Con cui, a volte, si ricorda ancora il rumore della fresatura elettrica e di quella manuale, di una lima che scivola via, dei tre giorni in "gita" scolastica a Torino per visitare l'azienda Sandretto mentre le altre scuole andavano a Firenze, Roma o Parigi, delle partite a pallamano in palestra e dei panini al circolo di Casbeno o delle pizze al trancio allo Zei prima del "pomeriggio" giù negli stanzoni di aggiustaggio e di tutto ciò che rende questa scuola, come nessun'altra, un "lavoro". Il primo lavoro della nostra vita.

Andrea Confalonieri - Vito Romaniello

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