Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alla storia, agli aneddoti, alle leggende e al patrimonio storico e culturale di Varese e del Varesotto in collaborazione con l'associazione La Varese Nascosta. Ogni sabato pubblichiamo un contributo per conoscere meglio il territorio che ci circonda.
Oggi andiamo indietro nel tempo con la Varese Nascosta e ripercorriamo un'antica leggenda della Valmarchirolo e della Valganna.
VARESE E I SUOI BRIGANTI
Fra i briganti "meno conosciuti" c’era il “il Rosso”, che rubò il cavallo di un Vescovo, che viaggiava accompagnato dal nipote Gemolo e dall'amico Imerio. Inseguiti i briganti e dopo uno scontro il povero Gemolo venne decapitato (Nella foto i resti presunti di Gemolo conservati nella Badia di Ganna).
“Scarsissime e talvolta contraddittorie le notizie storiche a suo riguardo. Si conoscono solo due fonti documentali: il Liber Notitiae Sanctorum Mediolani, un codice manoscritto del XIII secolo, attribuito a Goffredo da Bussero e conservato nell'archivio arcivescovile di Milano; ed una passio custodita nell'archivio della Badia di Ganna, in provincia di Varese, e nota come Manoscritto dei Nati I. Quest'ultima è una trascrizione fatta nel corso del Seicento di una pergamena molto più antica andata perduta, che il trascrittore (Bernardino Aymetto) considerava di poco posteriore ai fatti narrati.
Entrambi i documenti raccontano di come, intorno all'anno Mille, una comitiva di pellegrini d'oltralpe diretta a Roma si trovò a transitare per la Valle di Marchirolo, nella plebe di Arcisate, nella diocesi di Milano. Era composta da un vescovo, non meglio identificato, da suo nipote Gemolo, da un compagno di quest'ultimo di nome Imerio e dal loro seguito. Accampatisi per la notte, furono rapinati del cavallo del vescovo e di alcune suppellettili da parte di alcuni briganti di Uboldo guidati da un capo conosciuto come "il Rosso".
Accortisi del furto, Gemolo ed Imerio partirono al loro inseguimento e li raggiunsero presso una sorgente poco distante. Gemolo chiese la restituzione del bottino in nome dell'amore di Dio e dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, ma i malviventi risposero con un rifiuto, provocando anzi i due compagni ad accettare la morte per quello stesso amore. Gemolo rispose affermativamente e il Rosso lo decapitò, mentre i suoi compagni assalirono Imerio ferendolo a morte.
Quest'ultimo riuscì a scappare, morendo però dissanguato sul sagrato della chiesa di San Michele della castellanza di Bosto, poi divenuta periferia di Varese. Entrambe le fonti proseguono la narrazione raccontando di come Gemolo, subìta la decapitazione, raccolse miracolosamente la propria testa, rimontò a cavallo e raggiunse il proprio zio vescovo sull'altura presso Monte Donego (Mondonico), dove finalmente morì. Lo zio lo seppellì in quel luogo e successivamente fece erigere sulla tomba una piccola chiesa dedicata a San Michele, patrono dei Longobardi e custode dei cimiteri.”
Fonte: wikipedia