Ciò che si era confuso nell’agonismo della prima contro Brescia, dimenticato grazie alla mancanza di costrutto della Fortutido alla seconda e risuonato come un allarme nel derby di settimana scorsa, nella debacle odierna contro Cremona pare aver assunto i contorni della certezza: la Varese 2020/2021 è troppo debole fisicamente e atleticamente. La Vanoli non è una corazzata di marziani imbottiti di steroidi alieni appena sbarcata da Urano: è semplicemente dotata di giocatori dalla buona complessione, a partire dal play fino ai lunghi, e nemmeno in maniera così poi sovrabbondante rispetto alla media del campionato. Ciò, però, le è bastato per surclassare la Openjobmetis (leggi QUI le pagelle e QUI la cronaca).
Rifuggiamo, per favore, la vulgata tanto dolce e illusoria della “giornata no”: nelle sconfitte diventa una scorciatoia che non porta ad alcun insegnamento. I due punti in 30 minuti di Toney Douglas possono - e devono - essere un caso (seppur inaccettabile e preoccupante): il resto no. Non lo può essere la mattanza cremonese a rimbalzo (49-30 il finale: 16 - sedici - i rimbalzi offensivi concessi). Non lo può essere la messe di canestri subiti al ferro dai vari Williams, Mian e soci, increduli delle autostrade che si paravano davanti ai loro occhi. Non lo possono essere gli uno contro uno incassati senza soluzione di continuità. Non lo può essere la quasi totale mancanza di intimidazione sotto le plance.
Il problema c’è ed è lampante soprattutto tra i lunghi: come può pensare Varese di affrontare questo campionato senza un big man che abbia i centimetri, i chili, i garretti e la sapienza per proteggere il suo canestro? Non guardiamo a Scola, per amor del cielo: l’olimpionico argentino è qui per fare altro e cara grazia che non smette di farlo. E giriamo alla larga anche da Morse, oggi nemmeno così negativo, anch’egli limitato nella stazza oltre che nella tecnica: quel pizzico - pizzico eh - di atletismo che la natura gli ha messo nelle corde non cambia il sapore del piatto. Così come non lo cambiano un “tre” che solo Attilio Caja è riuscito a inventare “quattro” tattico (Ferrero) e un “tre” che Bulleri ha messo e metterà (quando tornerà dall’infortunio) a far trussate sotto per qualche minuto (De Vico). Strautins? Parere personale: lasciamolo lì dov’è, in ala piccola. È l’unico che pare poter aver un vantaggio fisico-atletico rispetto alla generalità dei contendenti.
In un tal contesto di assetto, già carente di base, la perdurante presenza-assenza di Andersson è insostenibile. E lo sa anche Massimo Bulleri: 10 minuti sul parquet contro l’Acqua San Bernardo, 11 oggi, pur con un uomo in meno in panchina. Quali altri fatti servono per capire che il coach ha già bocciato lo svedese? E come dargli torto? Non lo ha scelto e non ci sta ricavando un ghello… In una situazione “normale”, una società “normale” da domani scandaglierebbe il mercato cercando un sostituto nella maniera più rapida possibile: potrà permetterselo una Varese che costituzionalmente non naviga nell’oro, deve pagare due allenatori e soprattutto - soprattutto soprattutto - non incassa e non incasserà che pochi euro dal botteghino chissà fino a quando?
Il gap di misure riguarda anche gli esterni, oggi perennemente battuti e sovrastati dai pari-ruolo: nel loro caso, tuttavia, a balzare all’occhio è anche altro. Scriviamo di una qual certa disorganizzazione nei movimenti difensivi, di una costante timidezza offensiva, dell’apatia che colora il volto e l’incidere di Michele Ruzzier, oggi non solo impalpabile in attacco: dietro è stato un buco nero talmente profondo e incredibile da risultare la scoperta della carriera per un astronomo. Cosa ha questo ragazzo? Quali problemi di ambientamento sta incontrando? Cosa serve - oltre al tempo - per sbloccarlo?
Guardiamo la realtà, infine: sia Cantù che Cremona - due avversarie dirette - si sono dimostrate più mature di Varese dal punto di vista tattico e tecnico. Più pronte, più quadrate, più squadre. La seconda sveglia è suonata: sotto con il lavoro. L’impressione, però, è che servirà anche un giretto dal “chirurgo estetico”, sempre che sia economicamente sostenibile e opportuno.