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Basket | 11 ottobre 2020, 23:32

Un derby perso, un libro da leggere, una lezione da imparare: Cantù insegna a Varese come essere squadra

IL COMMENTO DI FABIO GANDINI Scola e Douglas sono Don Chisciotte e Sancho Panza contro i mulini di un collettivo vero: non possono bastare. Questa sconfitta è il primo bivio per il Bulleri allenatore: ora deve trovare l’equilibrio tra i biancorossi

Un derby perso, un libro da leggere, una lezione da imparare: Cantù insegna a Varese come essere squadra

Nella lotta tra Varese e Cantù vince la squadra. Vince Cantù (QUI le pagelle, QUI la cronaca e QUI la fotogallery).

È l’evidenza più cruda, fastidiosa ma - ahinoi - più lampante del 147° derby dell’alta Lombardia. A Bologna Varese aveva dimostrato di possedere un collettivo a supporto della superstar Scola e dell’alfiere Douglas, questa sera no. Stasera l’immagine che rimane, la foto simbolo di una sconfitta evitabile, una sconfitta che diventerà lezione, una sconfitta che sporca quel piccolo ed effimero sogno di una testa della classifica in coabitazione con la sola Milano, è l’olimpionico argentino che si scontra - solitario, testardo, caporione - con l’intera difesa biancoblù. E ne esce sconfitto. 

Non può bastare un giocatore solo, nemmeno se si chiama Luis Scola ed è un campione che a 40 anni luccica ancora d’oro vivo. Non può bastare lui nemmeno con il solo supporto di Douglas, Sancho Panza dai tanti tiri e dalla poca precisione, pur valente nel tentativo di non mollare la presa. I mulini sono più forti, anche di loro due. Mentre Cantù nell’ultimo quarto scappava (32-16 il paziale) - di grinta, volume di gioco, fisicità, intensità - l’orchestra biancorossa si chiamava fuori, lasciando i due solisti a steccare, acuto dopo l’altro. Colpa loro, che hanno poco coinvolto i compagni nei momenti decisivi? O colpa dei compagni, contorno troppo fragile e timido?

Nessuna colpa, semmai un vuoto. Quello alla voce equilibrio. E - quando esso manca - la responsabilità è di tutti: delle stelle, del supporting cast e dell’allenatore. L’unico cameo nella recita esclusiva dei due ex Nba è stato quello di Jakovics, per un attimo elettrizzante nella sua scarica di punti da scugnizzo del Baltico: la sua scossa, però, è durata lo spazio di qualche minuto del terzo quarto, spegnendosi poi come del resto le velleità biancorosse.

Che bello tornare a scuola, ogni tanto. Non lo diciamo con ironia: il sussidiario che l’Acqua San Bernardo ha scritto oggi per la Openjobmetis sarebbe da leggere tutto d’un fiato. Il primo capitolo parla di psicologia: senza Smith, l’atleta più rappresentativo, fermato dal Covid nel caos pre-gara, i biancoblu si sono compattati, hanno trovato motivazioni extra, hanno soverchiato il desiderio di Varese e tutta l’inerzia delle sue due vittorie consecutive. Il secondo è tecnico: Cantù ha vinto passandosi davvero la palla (19 assist contro 12), attaccando il canestro con i piccoli e trovando così anche parecchi tiri puliti dall’arco: tutto quello che si è dimenticata di fare la Openjobmetis, troppo prevedibile sia quando ha cercato le conclusioni da 3 (quasi sempre estemporanee e ben marcate), sia quando è andata sotto canestro dal suo sole albi-celeste, facendolo senza ritmo e senza costrutto, quasi “avvisando” prima, e così permettendo a tutta la difesa brianzola di convergere su di lui.

Buona lettura, allora, Massimo Bulleri, al primo stop della carriera da allenatore e - forse - al primo bivio che chiamerà tutta la sua grande professionalità nell’opera di scegliere la strada giusta. L’obiettivo è tornare a parlare di Strautins, De Vico, Ruzzier, De Nicolao, Ferrero: tornare a parlare di una squadra. Oggi una citazione la meritano solo la velocità e la leggerezza di Jazz Johnson, la garra di Thomas, la durezza mentale e fisica di Pecchia, la classe di Woodard, il cuore di La Torre. La merita solo Cantù.

Fabio Gandini


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