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Storie | 10 ottobre 2018, 11:02

«La drogheria Vercellini è una storia di famiglia. E ora è dei miei nipoti»

Anita Vercellini, per 60 anni nella bottega di piazza Giovine Italia insieme al marito Mario, passa il testimone a Ilaria e Filippo: «Ho iniziato da sposina, oggi sono una bisnonna. Sono bravi ed educati: adesso tocca a loro»

Filippo e Ilaria con la nonna Anita dietro al bancone della Drogheria Vercellini

Filippo e Ilaria con la nonna Anita dietro al bancone della Drogheria Vercellini

Partiamo dalla notizia. La drogheria Vercellini – inutile fare presentazioni: ogni varesino sa di cosa stiamo parlando – ha due nuovi proprietari: Ilaria Bruno e Filippo Cabrini. Lei, un vulcano di gioia, classe ’86; lui, classe ’90, più posato ma altrettanto intraprendente. Sono cugini e hanno accettato con felicità di raccogliere uno storico e importante testimone dalle mani della nonna Anita: portare avanti la bottega di famiglia.

Siamo stati a trovarli in negozio, per conoscerne desideri, timori e sogni rispetto a una sfida così bella e impegnativa. Poi la signora Anita ci ha invitato a salire in casa sua per una chiacchierata: qui sotto, dopo qualche cenno di storia, vi riportiamo tutto. Assicurandovi che vale la pena arrivare fino in fondo.

LA STORIA

Siamo nel 1955, in una Varese che ormai non c’è più ma che conosciamo grazie ai racconti dei nostri nonni. Una Varese in cui le botteghe, in centro città, erano un punto di riferimento: per gli acquisti, e per la vita quotidiana. Mario e Anita comprano la drogheria – di cui lo stesso Mario troverà testimonianze risalenti al 1890 – dal signor Minazzi. E quella drogheria (prima al numero 9 di via Carlo Croce, poi da fine anni ’80 trasferita al numero 1 di piazza Giovine Italia al posto della panetteria di famiglia) che guarda dritto verso il Bernascone, è con ogni probabilità una delle ultime di tutta Italia. Di cosa si occupa? Da definizione, è una rivendita di spezie («le droghe, si chiamavano proprio così»), generi alimentari e prodotti casalinghi.

LA NOVITÀ

Da mercoledì scorso, siglato l’atto ufficiale, è di Ilaria e Filippo. «Ovviamente il nome non cambia: sarà sempre Drogheria Vercellini» ci confermano, per poi raccontarci come sono andate le cose: «Come sapete il nonno è mancato due anni fa. La nonna ha portato avanti il negozio, con l’aiuto di Filippo e del signor Enzo, che ha lavorato qui per 41 anni, andando in pensione il mese scorso». Necessarie dunque nuove forze: «Ho iniziato aiutando i nonni con i pacchi di Natale e con le consegne – racconta Filippo – Pian piano il mio impegno è cresciuto e da 5 anni lavoro qui a tempo pieno». 
Ilaria invece lavorava nel negozio Swarovski di corso Matteotti; esperienza conclusa perché «è sempre stato nell’aria che prima o poi avremmo portato avanti la drogheria. Filippo, con la pensione del signor Enzo, rimaneva solo e per me era il momento di decidere: la nonna non ha mai nascosto il desiderio di passarlo ai suoi nipoti. E la decisione è stata facile».

DOMANDE AI NIPOTI

Con Ilaria e Filippo partiamo dai ricordi. La loro risposta spiega quale sia il legame con la drogheria: «Ricordi precisi non ne abbiamo, o comunque non ne sapremmo scegliere. Il motivo è semplice: siamo cresciuti qui, per noi è sempre stata normalità, vita quotidiana. Venivamo in negozio e stavamo con i nonni: in giro ci saranno 100 foto di noi nipoti (oltre a loro due, ci sono Federica, sorella di Ilaria, e Alessandra, sorella di Filippo) seduti sui sacchi di tappi per imbottigliare il vino». 

Sarà un’avventura, di certo non semplice. Lavoro in proprio e in un’attività così particolare: «Sono sincero, ho avuto dei dubbi fino a poco fa – ci dice Filippo – Ma sono stato qui con i nonni, ho toccato con mano la cura e l’amore che ci mettevano. Ho pensato che chiudere una bottega come questa sarebbe un delitto e un enorme dispiacere». Prosegue Ilaria: «Credo sia il momento giusto di investire proprio su questo. Avere il coraggio di portare avanti un pezzetto di storia che sta scomparendo. Guarda cosa succede ovunque, anche in Corso Matteotti: i negozi storici stanno lasciando posto alle catene. Ma le persone rimpiangono quei negozi. E poi in questa bottega c’è una forte parte alimentare con ricerca di qualità e artigianalità, di cui le persone hanno voglia: non per forza tutti i giorni, ma di certo per le occasioni speciali. Abbiamo poi prodotti specifici per la pulizia della casa. E oggetti che non si trovano più facilmente: per esempio una cosa a cui il nonno teneva tanto, il materiale per l’imbottigliamento del vino. Certo, lo trovi su internet. Ma qui è diverso, perché in “abbinamento” ci sono anche il rapporto diretto, con i consigli e l’esperienza, di chi te li vende».

Quindi non li spaventa nulla? Sentite le risposte: «Certo, potrà essere difficile, faticoso – sorride Ilaria – Ma sono talmente carica di entusiasmo per questa avventura che non ho spazio per la paura». Filippo conferma: «La strada è talmente tracciata dai nonni che sbagliare è difficile: l’identità di questa bottega è fortissima. C’è una tradizione da proteggere. Poi proveremo a tenerlo aggiornato: magari con qualche nuovo prodotto, con qualche azienda nuova. Ma il problema non c’è, perché l’Italia è ricchissima».

Tradizione… e qualche novità: «Vorremmo arricchire l’offerta con prodotti anche del territorio. L’ultimo acquisto che abbiamo fatto, per esempio, è un gin del Lago Maggiore. Ci piacerebbe arrivare ad avere qualcosa di ogni regione d’Italia. La volontà è quella di differenziarci sempre di più dalla grande distribuzione: questa è la casa del piccolo artigianato, di qualunque prodotto si tratti. In più stiamo lavorando per potenziare la nostra comunicazione sui social: il punto forte resterà sempre il contatto diretto con il cliente, che può venire da noi, conoscere i prodotti, chiedere un consiglio. Ma che potrà rimanere in contatto con noi e scoprire le novità anche su Instagram e Facebook».

Quel che è certo è che la nonna sarà sempre un punto di riferimento: «Quando abbiamo bisogno c’è sempre. E un consiglio non ce lo farà mai mancare».

PAROLA ALLA NONNA

Lasciati Ilaria e Filippo ai loro clienti, siamo stati invitati da Anita per una chiacchierata. Ve la proponiamo pura, senza introduzioni o commenti, senza nemmeno le domande: non servono. 

Un tuffo con una varesina in un passato che non c’è più, l’abbraccio di una nonna alla sua famiglia, gli insegnamenti di saggia umiltà da tramandare generazione dopo generazione, l’orgoglio di una bottegaia che rivive la gioia e non dimentica i sacrifici. 
E l’amore di una moglie per suo marito. Con cui ha acquistato e portato avanti per 60 anni la Drogheria Vercellini, storia della nostra città. E con cui ha vissuto una vita intera. Felice.

«Io sono del ’31, mio marito Mario era del ’25. Ho lavorato per 60 anni: ero una sposina, ora sono una bisnonna. Ho sempre lavorato, sempre in piedi: sa perché? Perché mi piaceva. L’abbiamo fatto con passione».

«I tempi sono cambiati. Io sono rimasta al fax, ma oggi ci vuole dell’informatica. A un bel momento ci vogliono i giovani, perché il mondo cambia. Loro vanno bene. E a me va bene così».

«Io leggo ancora il giornale, ma so che adesso sapete tutto con quegli affari lì, i telefoni, i computer. Oggi l’informazione è diversa, segue la vita. Che è diventata troppo frenetica».

«Sono venuti diversi a chiedermi se la vendevo, anche i cinesi. Ho detto “no, non se ne parla”. Ho pensato di passare la palla ai miei eredi, ai miei nipoti. Sono persone educate e l’educazione paga sempre. Da nonna sono contenta che tutto continui. Mi sembra di rivivere ancora tutta la mia storia. Ora è il loro turno: si arrangino!».

«Perché i varesini amano la drogheria Vercellini? Perché non ci sono più le botteghe. Pensi che mia suocera, la domenica, metteva qui fuori le sedie e le signore si sedevano e chiacchieravano».

«Bravo, queste si chiamavano botteghe. Non negozi: botteghe».

«Ognuno ha una predisposizione: io l’avevo da droghiera. Cosa mi piaceva di questo mestiere? Maneggiare le droghe. Scegliere. Raccontare. Consigliare. Mi piaceva, non so dirle perché. Istinto».

«Le spezie le abbiamo da sempre, abbiamo anticipato la moda. Il nostro cliente? È particolare. E chi viene cerca una certa qualità».

«Pensi che quando ero piccola il corriere, per consegnare, arrivava a cavallo. E le nostre mamme ci mandavano in strada a prendere quando sporcavano… per ingrassare i fiori! Si faceva tutto con semplicità».

«Mi chiede se è cambiata tanto Varese? E chi la conosce più? Dei vecchi negozi credo di conoscere solo Ghezzi».

«Cosa dovrebbe recuperare Varese dal passato? Ormai è tardi. Non c’è più la generazione che ha conosciuto la vecchia Varese. Prenda i portici: erano tutti piccoli negozi. Negozietti di tradizione. Adesso non c’è più nessuno di quella generazione. Sarebbe bello recuperare una dimensione più familiare, ma non si può più. Ne sono rimasti pochi, poi tutto è cambiato. Purtroppo si è perso il valore di questo passato».

«Mario lavorava in panificio da suo papà: ma non gli dava stipendio, perché era logico e dovuto che fosse così. La mentalità di allora era questa e noi l’accettavamo».

«Come ho conosciuto mio marito? La faccio ridere. Andavo in collegio Sant’Ambrogio (oggi sede dell’Università dell’Insubria), ho iniziato lì il ginnasio, poi ho finito al Cairoli. Quando uscivo, lo vedevo che mi… puntava. Lo vedevo ai tavolini del caffè Firenze e dicevo: “che pelandrone, tutti a mezzogiorno lavorano e lui è qui a fare il pelandrone”. Ma invece era figlio di un panettiere, poverino, aveva lavorato tutta la notte!».

«Quando abbiamo comprato il negozio, su mia insistenza perché mi piaceva, ci siamo fatti dare i soldi da mio suocero. Ho ancora qui la carta: c’è scritto “dato a Mario 10.000 lire” o quanti erano, non mi ricordo… era un 10. A poco a poco glieli abbiamo dati indietro e sulla carta c’è scritto: “Mario ha restituito 1000 lire”, “Mario ha restituito 1000 lire”. E alla fine: “mio figlio Mario mi ha restituito tutto”. Ha capito la mentalità? Il lavoro bisognava sudarlo. Quando abbiamo finito di pagare ho pensato: “quindi è proprio mio!” Cosa c’è di più bello che ottenere qualcosa con i propri sforzi?».

«Io e Mario abitavamo in una casa scomoda. Ma ci si accontentava. Ora si hanno le pretese. Beh, nel tempo però le ho avute anche io… Questa casa mi piace, perché sono in piazza: ci sono le foglie, c’è il mio campanile… il nostro simbolo. E alla mia età sono ancora in casa mia: lei dice poco?».

«Io e mio marito amavamo il Sacro Monte. D’estate, d’inverno, con i bambini, con il cane, battevamo le pizzelle. E poi la funicolare: salivamo e andavamo al ristorante del signor Stocchetti».

«Quando mio marito è mancato la mia vita è cambiata tutta. Abbiamo vissuto insieme bene. Non riesco ancora ad accettarlo».

«Sono stati anni meravigliosi con il mio Mario. Sa cosa le dico? Forse è meglio non andare d’accordo, perché così poi non si soffre. Noi invece andavamo tanto d’accordo. E mi manca. Non mi sono ancora ripresa: mi manca troppo».

«Ho avuto una bella vita. Serena. E mio marito mi ha sempre fatto trovare tutto pronto, mi ha sempre protetto, curato. Ho avuto una bella vita. Sono felice, ho qui i miei ragazzi… Devo essere riconoscente».

Gabriele Gigi Galassi

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