Questa notte è mancata Anita Vercellini, storica commerciante della città di Varese: insieme al marito Mario ha gestito per 60 anni la Drogheria Vercellini di piazza Giovine Italia 1, in pieno centro storico, punto di riferimento di generazioni di varesini per i loro acquisti a partire dalle spezie, il suo angolo preferito della bottega.
Anita, 88 anni, lascia la figlia Luisa, i nipoti Federica, Alessandra, Ilaria e Filippo e nipotini Paola, Leonardo e Riccardo: «Ci lascia un vuoto immenso - le parole di tutta la famiglia, unita nel ricordo di Anita - Ci ha dato tanto, è stata una nonna premurosa e generosa: ci mancherà moltissimo».
Il pensiero di Ilaria e Filippo non può che andare anche alla drogheria, che portano avanti insieme dopo averla ricevuta in dono dalla nonna: «Siamo tristi, ma oggi più che mai anche orgogliosi di portare avanti la bottega di famiglia, il frutto dei sacrifici, dell'amore e della passione dei nonni, il luogo dove hanno messo tutta la loro vita. Era stata la nonna a volere la drogheria, le piaceva, convinse il nonno e insieme hanno vissuto qui, dedicando al negozio tutta la passione e l’impegno possibili. Siamo felici di portarla avanti. Ringraziamo tutti quelli che ci saranno vicini in questo giorno di lutto. Noi siamo tristi… ma forse lei non lo è: la verità è che la nonna non vedeva l’ora di ritrovare e riabbracciare il nonno».
Nel rivolgere alla famiglia le nostre condoglianze, riprendiamo le parole che Anita Vercellini ci affidò nell’ottobre del 2018, proprio a pochi giorni dalla nascita di questo giornale. Fu un piacere parlare con Anita nel momento del passaggio di consegne della storica Drogheria di piazza Giovine Italia 1 ai nipoti Ilaria e Filippo. Vi riproponiamo quella chiacchierata, in tutta la sua dolcezza: i ricordi, i consigli ai nipoti, i racconti della Varese di una volta. E l’amore per l’altra metà del suo cuore, suo marito Mario, che oggi Anita raggiunge. Per non lasciarsi mai più.
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Un tuffo con una varesina in un passato che non c’è più, l’abbraccio di una nonna alla sua famiglia, gli insegnamenti di saggia umiltà da tramandare generazione dopo generazione, l’orgoglio di una bottegaia che rivive la gioia e non dimentica i sacrifici. E l’amore di una moglie per suo marito. Con cui ha acquistato e portato avanti per 60 anni la Drogheria Vercellini, storia della nostra città. E con cui ha vissuto una vita intera. Felice.
«Io sono del ’31, mio marito Mario era del ’25. Ho lavorato per 60 anni: ero una sposina, ora sono una bisnonna. Ho sempre lavorato, sempre in piedi: sa perché? Perché mi piaceva. L’abbiamo fatto con passione».
«I tempi sono cambiati. Io sono rimasta al fax, ma oggi ci vuole dell’informatica. A un bel momento ci vogliono i giovani, perché il mondo cambia. Loro vanno bene. E a me va bene così».
«Io leggo ancora il giornale, ma so che adesso sapete tutto con quegli affari lì, i telefoni, i computer. Oggi l’informazione è diversa, segue la vita. Che è diventata troppo frenetica».
«Sono venuti diversi a chiedermi se la vendevo, anche i cinesi. Ho detto “no, non se ne parla”. Ho pensato di passare la palla ai miei eredi, ai miei nipoti. Sono persone educate e l’educazione paga sempre. Da nonna sono contenta che tutto continui. Mi sembra di rivivere ancora tutta la mia storia. Ora è il loro turno: si arrangino!».
«Perché i varesini amano la drogheria Vercellini? Perché non ci sono più le botteghe. Pensi che mia suocera, la domenica, metteva qui fuori le sedie e le signore si sedevano e chiacchieravano».
«Bravo, queste si chiamavano botteghe. Non negozi: botteghe».
«Ognuno ha una predisposizione: io l’avevo da droghiera. Cosa mi piaceva di questo mestiere? Maneggiare le droghe. Scegliere. Raccontare. Consigliare. Mi piaceva, non so dirle perché. Istinto».
«Le spezie le abbiamo da sempre, abbiamo anticipato la moda. Il nostro cliente? È particolare. E chi viene cerca una certa qualità».
«Pensi che quando ero piccola il corriere, per consegnare, arrivava a cavallo. E le nostre mamme ci mandavano in strada a prendere quando sporcavano… per ingrassare i fiori! Si faceva tutto con semplicità».
«Mi chiede se è cambiata tanto Varese? E chi la conosce più? Dei vecchi negozi credo di conoscere solo Ghezzi».
«Cosa dovrebbe recuperare Varese dal passato? Ormai è tardi. Non c’è più la generazione che ha conosciuto la vecchia Varese. Prenda i portici: erano tutti piccoli negozi. Negozietti di tradizione. Adesso non c’è più nessuno di quella generazione. Sarebbe bello recuperare una dimensione più familiare, ma non si può più. Ne sono rimasti pochi, poi tutto è cambiato. Purtroppo si è perso il valore di questo passato».
«Mario lavorava in panificio da suo papà: ma non gli dava stipendio, perché era logico e dovuto che fosse così. La mentalità di allora era questa e noi l’accettavamo».
«Come ho conosciuto mio marito? La faccio ridere. Andavo in collegio Sant’Ambrogio (oggi sede dell’Università dell’Insubria), ho iniziato lì il ginnasio, poi ho finito al Cairoli. Quando uscivo, lo vedevo che mi… puntava. Lo vedevo ai tavolini del caffè Firenze e dicevo: “che pelandrone, tutti a mezzogiorno lavorano e lui è qui a fare il pelandrone”. Ma invece era figlio di un panettiere, poverino, aveva lavorato tutta la notte!».
«Quando abbiamo comprato il negozio, su mia insistenza perché mi piaceva, ci siamo fatti dare i soldi da mio suocero. Ho ancora qui la carta: c’è scritto “dato a Mario 10.000 lire” o quanti erano, non mi ricordo… era un 10. A poco a poco glieli abbiamo dati indietro e sulla carta c’è scritto: “Mario ha restituito 1000 lire”, “Mario ha restituito 1000 lire”. E alla fine: “mio figlio Mario mi ha restituito tutto”. Ha capito la mentalità? Il lavoro bisognava sudarlo. Quando abbiamo finito di pagare ho pensato: “quindi è proprio mio!” Cosa c’è di più bello che ottenere qualcosa con i propri sforzi?».
«Io e Mario abitavamo in una casa scomoda. Ma ci si accontentava. Ora si hanno le pretese. Beh, nel tempo però le ho avute anche io… Questa casa mi piace, perché sono in piazza: ci sono le foglie, c’è il mio campanile… il nostro simbolo. E alla mia età sono ancora in casa mia: lei dice poco?».
«Io e mio marito amavamo il Sacro Monte. D’estate, d’inverno, con i bambini, con il cane, battevamo le pizzelle. E poi la funicolare: salivamo e andavamo al ristorante del signor Stocchetti».
«Quando mio marito è mancato la mia vita è cambiata tutta. Abbiamo vissuto insieme bene. Non riesco ancora ad accettarlo».
«Sono stati anni meravigliosi con il mio Mario. Sa cosa le dico? Forse è meglio non andare d’accordo, perché così poi non si soffre. Noi invece andavamo tanto d’accordo. E mi manca. Non mi sono ancora ripresa: mi manca troppo».
«Ho avuto una bella vita. Serena. E mio marito mi ha sempre fatto trovare tutto pronto, mi ha sempre protetto, curato. Ho avuto una bella vita. Sono felice, ho qui i miei ragazzi… Devo essere riconoscente».