A qualcuno, che arrivava da piccolino al Franco Ossola portato per mano da papà, Giacomo Zunico sembrava ancora più grande con quei guantoni giganti che contenevano il cuore di uno stadio intero e il sogno della serie B, a un certo punto a un centimetro dalla A, su cui s'infrangeva qualunque avversario. Zunico era lo scudo biancorosso, l'inizio dell'album delle figurine e, poi, anche la fine di un'era, prima di 25 anni in C, ed è ancora un nome che solo a pronunciarlo mette i brividi, una sorta di semidio di un Varese vero, forte, autentico nell'appartenenza alla città, alla maglia, al suo pubblico, alla sua casa: la serie B.
Ha difeso la porta biancorossa per 5 anni (1981-86), giocando nella Città Giardino quattro campionati in serie B e uno in C e collezionando 120 presenze. Originario di Casoria, Giacomo è cresciuto calcisticamente ai piedi del Vesuvio e ha giocato i primi anni nel Gladiator di Santa Maria Capua Vetere e nella Sangiovannese prima della lunga esperienza a Varese, quindi al Catanzaro dove rimane per tre anni, prima di passare al Parma nell'annata della prima promozione in serie A con Nevio Scala in panchina. Finita l’esperienza con gli emiliani, ecco Lecce, Cosenza e Brescia, dove a 37 anni contribuì a far riconquistare alle Rondinelle la serie A. Torna a Cosenza dove termina la sua carriera con il calcio giocato per fare l’allenatore proprio nella città calabrese, ad Acri, Bitonto e in diverse società del Sud, ricoprendo anche il ruolo a lui congeniale di maestro dei portieri. Apre quindi una scuola calcio per giovani portieri in provincia di Napoli.
Ricordi di Varese?
Bellissimi, mi trovavo benissimo: un luogo accogliente, tifoseria straordinaria. Un bell'ambiente. Avevo anche preso casa a Casciago, mia figlia è nata ad Angera: sinceramente era un luogo dove avrei voluto fermarmi, poi purtroppo il calcio ti porta a fare altre scelte e mi sono trasferito a Catanzaro.
Le prime cose a cui ripensa degli anni in biancorosso.
I compagni di squadra, il gruppo, le famose vasche con i miei amici sotto i portici, i Giardini Estensi, i panorami mozzafiato del lago Maggiore e di Varese.
Sei rimasto in contatto con alcuni tuoi compagni del tempo?
Tramite Facebook con Salvadè, Braghin e Di Giovanni. Ultimamente di mi sono sentito con Michele Rampulla.
Ci parli della tua sua scuola calcio per portieri?
Dove aver giocato a lungo, facendo tanta esperienza tra i pali, mi è sembrato naturale trasferire ai giovanissimi che vogliono fare il portiere una formazione e una preparazione tecnica specifica. Non è un ruolo assolutamente facile, bisogna preparare i ragazzi anche sul piano mentale e caratteriale per essere leader e dare fiducia ai compagni. Uno sbaglio in questo ruolo può pregiudicare molto, servono consapevolezza e fiducia in se stessi. Il portiere deve saper gestire la pressione, sia dei compagni che dell’ambiente.
È cambiato molto questo ruolo...
Certo che sì. Ormai tutte le squadre coinvolgono il portiere nella costruzione del gioco ma io vado un po' controcorrente e credo che prima di tutto il portiere debba essere agile e sapersi buttare, uscendo nei giusti tempi tra i pali con un poco di spregiudicatezza. E poi serve rimanere concentrati se malauguratamente si dovesse compiere l’errore fatale.
Che caratteristiche deve avere oggi un ragazzino che inizia a giocare in questo ruolo?
Prima di tutto deve divertirsi e non avvicinarsi al calcio per compiacere i genitori. Poi servono tanto impegno, dedizione e passione. Queste caratteristiche, insieme a quelle accennate prima, si vedono già intorno ai 10 anni, durante i primi tornei. Oggi un portiere a 19-20 anni è già formato.
Ha giocato sino a 40 anni: qual è il segreto?
Se devo essere sincero, i cinque anni passati a Varese furono fondamentali perché trovai un ottimo staff tecnico con i preparatori dei portieri e quelli atletici di assoluto spessore. Poi, nel tempo, mi sono saputo gestire, magari con qualche piccolo sgarro ma sempre rimanendo nei canoni.
Rimpianti?
E chi non ne ha: avere lasciato Varese, forse l’annata non troppo positiva a Lecce, però ho sempre preferito essere un buon portiere in serie B che essere sempre valutato in serie A con l’etichetta da comprimario. Altri rimpianti? Non aver conquistato la massima serie con il Catanzaro e il Cosenza.
L’allenatore che ricordi con più affetto.
Eugenio Fascetti. Ero poco più che un ragazzo: mi ha formato e mi ha insegnato a rispettare le regole. Gran sergente di ferro, se sgarravi finivi in tribuna. Che bei tempi... Anche con gli altri ho avuto un buon rapporto, ma se vi dovessi fare i nomi l’elenco sarebbe troppo lungo...