Una squadra che rappresenta una città, un ambiente che riesce a farti dare il massimo, un rapporto diretto e onesto con la gente - «se dai un obiettivo ai tifosi, poi ti seguono» - e poi parole come orgoglio, sentimento, spogliatoio («Lì dentro sono tutti uguali, giocatori di serie C come di serie A, e deve nascere un'anima»), fame («Serve gente che sappia cos'è quella cosa lì...»), maglia («...e che lotti per i colori che indossa») e ancora sfida, battaglia, ferocia, alchimia, pubblico, «quello che ti fa sentire un giocatore vero»: c'è tutto Sean Sogliano in queste parole antiche che, riscoperte e messe davanti a tutto, sembrano le più moderne e vincenti del mondo e fanno la differenza soprattutto oggi, quando in pochi riescono a non tradirle. Il fiuto, il mercato e i mercati esteri setacciati e tenuti sott'occhio da decenni («Se mi piace un giocatore, faccio di tutto per prenderlo»), i collaboratori e le persone giuste al posto giusto passano quasi in secondo piano, anche se poi sono decisive per chi come Sogliano ama alla follia il suo lavoro di direttore sportivo, nell'intervista rilasciata alla trasmissione Supermercato di Tggialloblu. Ve le proponiamo perché abbiamo l'umiltà di pensare che possano valere e rappresentino l'essenza di un certo modo di fare calcio di cui innamorarsi ancora.
«Per me lavorare in una squadra di calcio vuol dire attaccarsi emotivamente. Quando fai questo lavoro rappresenti una città e devi dare tutto te stesso: qui a Verona il presidente Setti si è fidato di me e qua ho trovato un ambiente in cui lavorare bene».
«In questo anno e mezzo, da quando sono arrivato, ho sempre dato il massimo. E se uno riesce a dare il massimo vuol dire che è nel posto giusto. Verona è un po' la mia seconda casa, ecco perché il mio futuro è sicuramente qui».
«Vedere tutto lo stadio che festeggia la salvezza è una cosa bellissima e quando dai un obbiettivo alla gente, i tifosi poi ti aiutano». «Una tifoseria deve amare un club per quello che al massimo riesce a fare, cercando ogni anno di migliorarsi».
«Se resto a Verona? Io ho dato il massimo, per me rimanere a Verona è un orgoglio e sta diventando una seconda casa. Ma chi rimarrà deve avere la forza emotiva per lottare come abbiamo fatto quest’anno».
«Il Verona ha bisogno di giocatori in base all’obbiettivo, ragazzi che abbiano fame, che lottano per la maglia: ci vuole la rabbia per rimanere in serie A e solo con un gruppo così siamo riusciti a salvarsi. E poi giocare nel Verona è una cosa bella, ti senti un giocatore vero: giocare davanti ad un pubblico così è una cosa emozionante, e i giocatori questi lo sentono».
«Se mi colpisce un giocatore, faccio di tutto per prenderlo: a me piace lavorare con un allenatore che abbia lo stimolo di trovare l’alchimia giusta degli 11 giocatori e poi quando c’è equilibrio, i giocatori tecnici fanno la differenza».
«È fondamentale che ci sia un’anima di spogliatoio, e tutti vanno trattati nello stesso modo: tutti sono professionisti, il giocatore di serie C come quello di serie A. Ma lo spogliatoio è sacro e lì dentro son tutti uguali: perché senza sentimento perdi tanti punti».
Sean Sogliano