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Varese | 05 febbraio 2023, 08:02

Da Pappalardo alla Nunzia, quei "bei matti" di un tempo che facevano sorridere Varese

Il personaggio stravagante che qualche giorno fa danzava sul tetto di un pullman a piedi nudi in piazzale Trieste riporta alla mente i mitici “foeura de cò” varesini, un po’ strambi ma non pericolosi, capaci di performance memorabili fuori da ogni logica e schema. Pappalardo aveva una radio con il mangiacassette, dirigeva il traffico con il casco da vigile, e una volta mise in moto un pullman e se andò in giro

Il mitico Pappalardo tratto da una foto apparsa su "La Varese Nascosta" a corredo di un articolo di Giuseppe Terziroli

Il mitico Pappalardo tratto da una foto apparsa su "La Varese Nascosta" a corredo di un articolo di Giuseppe Terziroli

L’esibizione acrobatica estemporanea di un uomo in piazzale Trieste, in pieno giorno, lo scorso 30 gennaio, prima sdraiato sotto un bus di linea e poi salito sul tetto a piedi nudi urlando frasi sconnesse, riporta la mente a quei personaggi che un tempo vivevano ai margini della società, un po’ strambi ma non pericolosi, quasi sempre alticci e capaci di performance memorabili, fuori da ogni logica e schema. Il tizio in questione forse avrebbe ispirato un racconto a Piero Chiara, visto che voleva a ogni costo impedire la partenza del bus per Luino, e non più tardi di quindici giorni fa lo avevo trovato alle 10 del mattino appollaiato sulla cancellata del mio giardino, guardato a vista dalla gatta Nerina con gli occhi fuori dalle orbite. Rideva e urlacchiava, e al mio arrivo si era allontanato cantando verso la via Maspero.

Il catalogo dei tipi strani arriva da lontano, e comprende parecchi individui che spesso per scelta di vita oppure per i rovesci subiti, si trovano a dover campare di espedienti o di piccoli lavori, oppure, per dirla con i vecchi ambrosiani, «g’hann el coo in stondèra» e ogni tanto ne combinano una, dando fuori di matto per il vino o per chissà quali oscuri ricami della mente.

Nella Milano genuina e mattacchiona dei Navigli e dell’ultima Scapigliatura, si aggiravano strani personaggi, “tipi originali”, come si chiamavano un tempo, stravaganti e a volte visionari, a metà tra il barbone e l’artista, bersaglio favorito dei ragazzini che li rincorrevano prendendoli in giro con nomignoli di ogni genere. Uno di questi era il “Fala tajà”, al secolo Gregorio Pezzoli, incrocio tra un professore e un santone, che girava per la città regalando massime e storie fantastiche ed era noto per la gran barba.

Così tutti gli gridavano: «Fala tajà!”, falla tagliare, e addirittura uscì un giornale, in un solo numero, con tanto di testata omonima e il referendum tra i lettori: «L’à de fassela tajà? L’à minga de fassela tajà?». Il pover’uomo, disperato, dopo averci pensato a lungo, decise per il taglio. Non l’avesse mai fatto, il giorno dopo tutti gli gridavano: «Fala cress!», finché il poveretto ne uscì pazzo.

Un'altra macchietta di quel tempo era il “paciasass”, un povero vecchio che in cambio di qualche moneta per il vino e la polenta inghiottiva sassi e pezzi di vetro. Nessuno in realtà credeva lo facesse davvero, ma quando morì gli trovarono nello stomaco ogni sorta di oggetto, dai chiodi ai sassolini.

Nella mia fanciullezza ricordo il “Giuann Mangiapulaster”, un uomo gigantesco con addosso un grembiulaccio grigio cenere che ogni giorno saliva per la via Malta con la sgangherata bicicletta a mano, masticando tra sé chissà che pensieri. Mio nonno, per intimorirmi se combinavo qualche marachella, agitava lo spettro del Mangiapulaster, una sorta di orco che immaginavamo inghiottire interi polli in pantagruelici banchetti.

Poi c’era il “Fenegrò”, un senza tetto che girava per osterie in cerca di vino e di lavoretti da fare nei giardini. Aveva una gran barba profetica e quando era su di giri cantava vecchie canzoni milanesi. La favorita attaccava così: «Te se regordat di temp indrée quand a navum a spazzà i pulee». Nessuno seppe mai il suo nome, veniva da Fenegrò e tutti lo chiamavano così. Poi, ogni giorno che Dio mandava in terra, da via Bligny, all’ora del tramonto, passeggiava l’”Uomo del lampione”, che pensavamo fosse un vecchio militare. Arrivava all’altezza del secondo lampione della strada, agitando una sottile cannetta da passeggio e improvvisamente faceva dietrofront, scomparendo da dove era venuto, con il suo panama in testa, estate e inverno. Nessuno lo udì mai profferire verbo.

La star dei “foeura de cò” è stato indubbiamente il Pappalardo, che pieno di vino era capace di performance leggendarie. Aveva una radio con il mangiacassette, dirigeva il traffico con il casco da vigile, e una volta mise in moto un pullman e se andò in giro, si travestiva nei modi più bizzarri. Qualcuno gli aveva regalato un nastro con le canzoni del Duce, e le note di “Giovinezza” arrivavano a tutto volume per le strade del centro, con i vigili impegnati a rincorrerlo e lui che faceva il coro.

Gaspare una volta si era dipinto la testa di rosso e andava dicendo che la cassetta della posta l’aveva urtato. Con i pullman, ben prima dell’esagitato dei giorni della merla, aveva un rapporto di amore odio, gettava il cappello sotto le ruote in movimento sbraitando contro il conducente che glielo schiacciava. Al vecchio Zamberletti era di casa, voleva le brioches e per festeggiare la vittoria dell’Italia ai Mondiali del 1982 gettò una secchiata d’acqua all’interno di una volante della Polizia. Era il poeta dei clochard, un giorno nostalgico, l’altro comunista, ha vissuto da uomo libero, andandosene a 88 anni in una casa di riposo, dopo aver distrutto diverse cabine telefoniche.

Ma un ricordo va anche alla Nunzia, una volta portata via dall’ambulanza quasi completamente nuda, dopo aver improvvisato uno strip-tease in pieno centro, una storia la sua di profondo disagio esistenziale e forse di cure sbagliate. Era triste la Nunzia, non aveva la follia spassosa di Pappalardo, ma era un’anima in pena di profonda bontà e ingenuità. Come i “bei cornuti d’antan” immortalati da Piero Chiara, anche i bei matti di un tempo non ci sono più, oggi quasi sempre la follia sfocia in violenza, mentre loro erano inoffensivi, al massimo volava qualche insulto o bestemmia, ma le imprese compiute erano sempre senza “vittime” umane, al massimo a essere distrutti erano gli oggetti. Per questo il “matto del pullman” che danzava sul tetto a piedi nudi mi riporta ai giorni lontani dell’infanzia, quando questi personaggi per me erano simili a quelli delle favole, e di loro si parlava con affetto, come di attori straordinari del gran circo della vita.

Mario Chiodetti

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