Il medio Verbano ha prodotto grandi campioni come Gigi Riva, Cristian Scapolo, Domenico Parola e Giacomo Libera, oltre ovviamente all'immenso cuore biancorosso Silvio Papini. Libera, indiscusso talento, aveva una particolarità: quella di usare il "piede del diavolo", il mancino. Proprio come Riva, e anche come Papini.
Il pubblico biancorosso di lunga fede ricorderà "Il Giacomino sempre in piedi", come veniva affettuosamente chiamato Libera dai suoi sostenitori. Iniziò già da ragazzino a calciare il pallone, all’oratorio: dopo aver servito la prima messa mattutina come chierichetto, via sul campetto a scatenarsi con i compagni in interminabili partite che duravano tutto il giorno. Ed è così che Giacomino partecipa a 13 anni ad un torneo oratoriano, organizzato a Brebbia da don Guido Macchi, dove viene notato da un osservatore della società di Luino, che lo porterà a giocare due campionati nella categoria Allievi. Il ragazzo è veramente bravo e ha tenacia, così un uomo che era abile a scoprire talenti giovani, Cardani, gli apre la corte biancorossa. Con una promessa: prima viene lo studio, poi il calcio. Libera frequenta così il collegio De Filippi, studiando con Massimelli e Claudio Gentile e impegnandosi sempre (altrimenti, come ci racconta, «se i voti erano bassi, alla domenica non giocavi»), anche se fare il geometra non era esattamente il suo desiderio...
Negli anni '70-'72 viene mandato a farsi le ossa prima nel Verbania, poi nel Como. Finito il campionato con i lariani, a 19 anni rientra nel Varese dove rimane fino al '75 in serie A: il bottino è di 12 reti in 55 partite. Da Varese passa all’Inter dove rimane due anni, fino al 1977, per poi andare un anno all'Atalanta e chiudere la carriera tra Foggia e Bari - anno domini 1983.
Giacomino appende le scarpette al chiodo nella città pugliese, dove si innamora, si sposa e apre un'attività imprenditoriale nel settore moda-abbigliamento che tuttora gestisce con la sua adorata moglie Bianca e suo figlio Alessandro.
Giacomo, qualche ricordo varesino?
Tantissimi. Sono cresciuto tra il lungolago di Ispra, l'oratorio di Brebbia e gli allenamenti al Franco Ossola. Sono stati gli anni che mi hanno formato come uomo. Sinceramente avevo un caratterino ribelle. Mi piaceva uscire sino a tarda sera con gli amici a divertirmi e potete immaginare i "cazziatoni" che prendevo dai dirigenti biancorossi di allora. Fortunatamente Chicco Prato, il capitano, mi difendeva, ma sempre con una promessa: buttar dentro il pallone nella porta avversaria. Questa fiducia mi gasava da matti e in partita cercavo di contraccambiare.
Come sei passato poi all’Inter?
L’allora presidente Fraizzoli, bravissima persona, mi vide giocare in un'amichevole che... non avrei dovuto giocare. Invece feci un gol di testa incredibile. Fraizzoli fu colpito per il tempismo e per la forza fisica e mi portò subito in ritiro ad Appiano Gentile. Sono sempre stato un tifoso nerazzurro e mi sembrò di toccare il cielo con un dito. Restai due stagioni, realizzando sette reti.
Leggenda o verità: è vero che il presidente Fraizzoli pagava degli investigatori privati per controllarti?
Sì è vero, ero un sorvegliato speciale al pari di altri miei miei compagni scapoli: venivano tutti controllati.
Ci racconti qualche curiosità a riguardo?
Rientrando da una serata con amici, notai che una macchina mi seguiva. Sul tratto Besozzo-Brebbia rallentai, la macchina si fermò più avanti e io mi feci coraggio anche perché ero vicinissimo a casa dei miei genitori. Scoprii così che erano due ragazzini, investigatori privati mandati dal presidente, ed erano al loro primo incarico. Stipulammo un patto: io pagavo loro il pranzo in un ristorante sul lago a Ispra e loro scrivevano sul rapporto che mi comportavo bene.
La tua carriera è stata segnata anche da alcuni infortuni.
Purtroppo a quei tempi gli interventi al menisco e ai legamenti del crociato erano complicati ed i recuperi lunghissimi... Non c’erano le tecniche riabilitative di adesso e pertanto questi incidenti hanno segnato la mia carriera.
Chiuso con il calcio, sei diventato imprenditore...
Sì, mi piaceva il settore moda-abbigliamento e così iniziai. Poi mia moglie ha sistemato la mia testa ribelle, è nato mio figlio Alessandro e mi sono calmato. Ora abbiamo un'azienda, la portano avanti mio figlio, anche lui ex calciatore, e mia moglie come supervisore. Io sono in pensione, faccio pubbliche relazioni e vado al mare con gli amici.
Hai dei rimpianti?
Nessuno. Il calcio mi ha fatto divertire e guadagnare qualche soldino. Poi ho trovato una nuova dimensione come imprenditore, questo però grazie al fatto che avevo studiato da ragazzo. Ecco perché raccomando ai giovani calciatori di andare avanti negli studi: è importantissimo, il calcio è una meteora e bisogna crearsi nuove opportunità. Ho solo un po' di nostalgia del lago Maggiore e di un piatto di risotto al persico... Ma presto verrò a Ispra e a Brebbia a salutare gli amici e fare una rimpatriata, anche con gli ex calciatori del Varese di allora, Papini, Prato, Calloni, Ramella, De Lorentiis, Salvadè... Ci divertiremo!