Difficile che non arrivi al punto delle cose. Sguardo di ghiaccio - ma è solo il velo dietro cui cela il fuoco della caparbietà e della motivazione - Davide Bertin è una di quelle persone capaci di pescare il meglio dagli altri, non solo da quei portieri e da quei giocatori che segue sul ghiaccio. Dà tutto, pretende tutto. Per primo da se stesso, soprattutto ora che, pur non rompendo il cordone ombelicale con i suoi Mastini (segue sempre i portieri), sta vivendo il sogno Ambrì Piotta dopo la fine della storia con il Lugano della scorsa estate, i due estremi dell'hockey ticinese, cattedrali e religioni opposte.
E dell'Ambrì, la notizia è freschissima oltre che bellissima, Bertin proprio da oggi non solo è assistant coach dell'Under 18 Elite (solo vittorie fin qui), ma anche allenatore dei portieri della stessa squadra, e quando si parla di numeri 1 a un ex portiere che è anche un "maestro" nato come lui pare di aprire un manuale dell'hockey. Per capirci: Davide è nel ruolo che due gradini più su, in prima squadra e nell'Under 21 Elite, è occupato da un certo Pauli Jaks, carismatica e leggendaria saracinesca biancoblù, oltreché primo giocatore svizzero in Nhl.
Riavvolgiamo il nastro, Davide Bertin: come nasce l'avventura all'Ambrì?
Dopo la separazione estiva dal Lugano ero in contatto con diversi club, sia in Svizzera che in Italia. Poi, una mattina, è cambiato tutto grazie a un messaggio di Paolo Duca, anima dell'Ambrì, che mi chiese: "Hai già firmato o sei libero?". Nel colloquio avuto ad Ambrì con lui, Manuele Celio, responsabile del settore del settore giovanile, e Daniele Celio, l'allenatore dell'Under 18 Elite, abbiamo trovato subito la quadra.
Da quel giorno sei assistant coach dell'Under 18 Elite leventinese, e da oggi anche allenatore dei portieri: ti è cambiata la vita...
Sto vivendo un sogno. Mai avrei pensato di poter lavorare per un club come questo: è un'emozione scendere sul ghiaccio della pista centrale della Gottardo Arena, dove ci alleniamo e disputiamo il campionato. Ogni volta che vedo il logo dell'Ambrì sulle divise sociali mi dico: "Quella giacca devo indossarla proprio io".
La fortuna, quando entri in un club come l'Ambrì, non esiste...
Credo di meritarmi questa chance, ora me la gioco. La fortuna? Credo nel lavoro e nella disciplina. È fantastico essere qui ogni giorno, vivere con queste persone in mezzo a grandi emozioni. E vorrei restarci il più a lungo possibile.
Come va il campionato?
Abbiamo vinto le prime due gare all'overtime con Davos e Lugano, la terza a Rapperswil e la quarta in casa con il Friborgo. È stato un buon inizio, ma teniamo i piedi per terra. Il livello è alto, c'è equilibrio e il campionato è infinito: abbiamo 40 partite di regular season, 2 alla settimana.
La prima squadra è partita con una vittoria per 2-1 sul Kloten grazie a un gol di Heed a 8 secondi dal termine che ha fatto esplodere la Gottardo Arena...
Ero presente: ambiente da brividi, come sempre, con più di 6 mila persone, e gara tirata decisa da un tiro dalla blu. Vittoria della convinzione: se ci credi fino in fondo, qualcosa succede.
Torniamo ai ragazzi dell'Under 18: non sei il solo "mastino" presente.
Ci sono ragazzi di casa e della Svizzera interna, ma anche italiani, tra cui Zandegiacomo, Cominato e Luca Torchio (figlio dell'ex presidente giallonero Matteo, ndr). Lo avevo già allenato nell'Under 9 e nell'Under 11 a Varese: Luca è forte, solido, completo e, ovviamente, ha tanto da lavorare perché qui il livello è al top.
Usciamo dalla pista: come ti trovi a vivere in paese ad Ambrì?
Mi sento a casa, come se fossi tornato nella mia Val Pellice. Sono cresciuto in paesini di montagna immersi nella natura e, a volte, nella neve: ci sono i prati, le montagne, il fiume...
...e i 6 mila spettatori dell'esordio alla Gottardo Arena: da dove saltano fuori?
Da tutte le parti. Dal Ticino, ma anche della Svizzera interna, appena oltre Gottardo. Arrivano fiumi di persone alle partite e funziona tutto alla perfezione. Il pubblico è messo nelle condizioni ideali per seguire la squadra: se paghi il biglietto della partita, non paghi il treno per arrivare all'arena e per tornare a casa. La cosa che muove tutto è l'amore della gente per l'Ambrì.
Incrociandoti al palaghiaccio la scorsa estate, dopo la separazione dal Lugano, abbiamo letto nei tuoi occhi un momento difficile.
Ero allenatore dei portieri bianconeri dall'Under 15 top in giù ed ero in missione: ho dato tutto. Quando sai che fai bene e poi ti trovi per terra, non puoi certo stare bene. Ma è il passato, ora sono molto orgoglioso di essere all'Ambrì.
Veniamo ai Mastini, dove continui a seguire i portieri: sensazioni?
La base è buona, il gruppo ha voglia di crescere insieme. Sono arrivati giocatori importanti per lo spogliatoio e per il gioco: sono fiducioso.
Raccontaci Pisarenko e Pippo Matonti.
Sono due portieri ambiziosi che hanno voglia di fare bene e credono in quello che fanno. Pippo è giovane ma la sua dote migliore è già la testa: ha dato dimostrazione di rimanere freddo e impassibile in situazioni difficili e questa mentalità è un punto a suo vantaggio. Pisarenko è una bravissima persona: mi fa tante domande, vuole crescere. È un portiere un po' vecchia scuola e si sofferma sui dettagli, che in questo ruolo fanno la differenza.
Come?
Per noi portieri è tutta una questione di dettagli: come metti le mani e giri le spalle, la posizione nell'area di porta, dai guanti alla schiena ai pattini... Il nostro è un lavoro chirurgico, di precisione.
Il tuo motto e il tuo portiere ideale quali sono?
"Control the puck, control the game" (controlli il disco, controlli la partita). Devi essere pulito nelle parate e nei movimenti: se arriva il disco basso, lo controlli con il bastone e lo butti nell'angolo, se ti arriva in pancia devi trattenerlo. È fondamentale fare le parate giuste al momento giusto. C'è chi vola in spaccata o si lancia come un gatto sugli avversari e sul disco, però magari "nasconde" dietro un movimento spettacolare l'incapacità di fare la cosa semplice e una parata facile. Non sempre bisogna fare show per essere un portiere efficace, veloce, preciso, pulito e puntuale: puoi parare tutto senza bisogno di fare urlare al miracolo.
Da cosa ci si accorge che una squadra ha un portiere forte?
Se il portiere non trasmette sicurezza, anche il giocatore più bravo e forte si sente insicuro.
Vanetti va incontro a una lunga assenza: sarà difficile per lui non essere vicino alla squadra e non fare quello che ha sempre fatto.
Posso immaginare come stia... ho vissuto un momento simile quando mi sono strappato l'adduttore e mi hanno detto che avevo finito la stagione. Per chi ci tiene davvero e vive una routine di familiarità come lui, dover mollare è pesante. Spero si riprenda in fretta, ma so che non mollerà e sarà presente al fianco dei compagni e di tutti. Tutto questo fa male, ma fa parte dello sport.
Edo torna sui pattini in una forma diversa, anche se è sempre stato un coach. Un po' come te.
Edo si merita tutto. È un allenatore con enormi qualità anche umane, è sempre stato un grande leader e un uomo da cui prendere esempio dentro e fuori dalla pista. Sono contento che una persona così sia rientrata nello staff.
Poi c'è un certo Da Rin.
Lo conosco da quando ero piccolino perché era uno dei miei allenatori nelle Valpe insieme ad Andrea Chiarotti, il Ciaz (scomparso a 51 anni nel 2018, era lo storico capitano della nazionale italiana di para ice hockey). Sono davvero contento che sia qui: conosce bene l'hockey, il campionato, i giocatori. È un grande "plus" per questa squadra.
Le persone più felici vicine a te per questo sogno che stai vivendo?
La mia famiglia, papà Piero e mamma Anna Maria, la fidanzata Denise, mia sorella Stefania che vive in America con il mio nipotino. Sanno i sacrifici che ci sono dietro. Come Paolo Della Bella: da più di dieci anni lavoro e alleno i portieri con lui, non potevo augurarmi di meglio.
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Hockey | 11 settembre 2025, 20:58
Davide Bertin, l'uomo di ghiaccio con il fuoco dentro: «All'Ambrì vivo un sogno e mi immergo nei brividi della Gottardo Arena. Per i miei Mastini sento arrivare cose belle...»
L'assistant coach e allenatore dei portieri dell'Under 18 Elite leventinese (4 vittorie su 4): «Ogni volta che vedo il logo dell'Ambrì sulle divise sociali mi dico: "Quella giacca la indosso proprio io...". Non credo nella fortuna, ma nel lavoro e nella disciplina. Mi sento a casa, come se fossi tornato in Val Pellice: ci sono i prati, le montagne, il fiume... un'organizzazione perfetta e un mare di tifosi. Il mio motto per un numero 1? Control the puck, control the game. Il Varese mi piace: Da Rin vede prima le cose, Pippo Matonti è forte nella testa, Pisarenko è della vecchia scuola e cura i dettagli»
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