Ramella è un cognome sinonimo di pane e calcio a queste latitudini.
Nicolò è oggi giornalista e brillante telecronista sportivo, in forza a Sky Sport e RDS Calcio. Suo padre risponde al nome di Ernestino e i tifosi biancorossi lo amano e lo legano a due momenti che nessuno potrà cancellare: il suo gol al Catania, anno 1974 (lui ne aveva 18), che valse la promozione in serie A per il Varese, e quello segnato l’anno dopo, che fu l’ultimo della società biancorossa nella massima serie.
Nicolò, cosa ti ha trasmesso tuo padre?
La passione per lo sport. Siamo entrambi molto appassionati, soprattutto di calcio, tennis e basket. E poi mi ha trasmesso grinta, determinazione, spirito di sacrificio: forse anche per questo ho iniziato a fare il giornalista sportivo mentre ancora studiavo lettere e filosofia e linguaggio dei media. Conciliare studio e giornalismo non è stato facile, ma con caparbietà ci sono riuscito.
Essere figlio di Ernestino Ramella cosa ha comportato?
Impegnarsi il doppio, anche sul campo nelle mie esperienze con Varese, Pro Patria e Legnano, sia all’inizio che in Eccellenza e Serie D. Papà non si è mai intromesso, non ha mai interferito su niente. Mi ha seguito attentamente, mi ha lasciato libero anche di sbagliare, ripetendomi che dagli errori bisogni rialzarsi e imparare. Lui è anche un tipo lontano anni luce dal mondo delle raccomandazioni.
Ricordi due allenatori per te importanti?
Tutti mi hanno insegnato qualcosa che ancora oggi metto in pratica. Se devo fare due nomi, tra i tanti, direi Gildo Salvadè e Roberto Gatti. Di loro conservo ricordi e belle emozioni.
Come sei entrato nel mondo del giornalismo?
Grazie a Rete 55, dove ho avuto un tutor straordinario come Matteo Inzaghi che mi ha insegnato davvero tanto. Poi ho fatto una esperienza con il Milano City, e cinque anni alla Pro Patria, dove ho avuto eccellenti punti di riferimento come la presidentessa Patrizia Testa e il direttore sportivo Sandro Turotti. Vorrei anche ricordare i saggi consigli di Roberto Prini di Sky, che approfitto per ringraziare per il suo valido supporto.
Un tuo commento sul Varese di oggi?
Seguo soprattutto i commenti di Andrea Confalorieri, sempre precisi, puntuali e molto schietti. Penso che il Varese come società debba investire nel settore giovanile, con una programmazione a medio lungo termine. Ci vuole costanza, innovazione, continuità per arrivare a vedere giocare i biancorossi ai piedi del Sacro Monte in una categoria come la serie B, consona al territorio e anche alla tradizione calcistica della blasonata società.
Tuo padre ti ha parlato dei suoi ricordi in biancorosso?
Da sempre, sin da quando ero bambino. Mi ha raccontato la figura emblematica e carismatica di mister Peo Maroso, i suoi stretti legami con Claudio Gentile, Gianpiero Marini e Pietro Anastasi, che dal Franco Ossola sono stati protagonisti della vittoria dell’Italia nel mondiale in Spagna e prima nell’Europeo nel 1968. Come dice papà, Varese è ricca di protagonisti e di tanta storia sportiva.
Come vedi il calcio nella nostra provincia?
Ci sono interessanti prospettive con imprenditori che hanno passione. Un esempio tra tutti è la Varesina, che investe molto in strutture e settore giovanile. Poi abbiamo la Solbiatese, con Claudio Milanese, e la Vergiatese. Cito solo queste società, ma ce ne sono altre che stanno attuando una buona programmazione.
Hai un’idea per fare venire più gente al Franco Ossola?
Bisogna iniziare dai giovani, fare un marketing innovativo, andando nelle scuole e nei centri di svago giovanili. Servirebbe prendere esempio da quanto stanno facendo sia il Cagliari, sia la Cremonese, che si spendono nel sociale e nel mondo della scuola. Oppure coinvolgere gli esercizi commerciali, con un marketing legato alla città. Sono iniziative che necessitano di tempo e costanza, e contano anche i risultati sportivi. Con la Pro Patria sono state fatte diverse iniziative con i ragazzi che hanno avuto buon successo a livello di immagine, ricordo una su tutte i giri nei reparti pediatrici di Busto Arsizio a distribuire gadget della squadra ai bambini ricoverati.
Abbiamo due allenatori emergenti che hanno trascorsi biancorossi, mister Dionisi e Vanoli: una tua riflessione?
Sono protagonisti anche loro della tradizione storica del calcio biancorosso. Alessio Dionisi era già un leader carismatico quando giovava a Varese, poi ha fatto bene anche altrove. Ora è il mister denominato “Ammazza grandi”. È molto ambizioso, attento, innovativo e sa gestire il tutto con molta umiltà e questo gli fa molto onore: sa leggere bene le dinamiche della partita, anche facendo i cambi giusti. Vanoli ha anche lui la prerogativa di interpretare bene la gara e possiede il carisma giusto per tenere motivato il gruppo. È molto equilibrato ed è un buon comunicatore. Comunque vorrei aggiungere che, a mio avviso, il successo di un allenatore non è del singolo uomo al comando, ma sta nella scelta delle persone competenti nello staff tecnico con cui l’allenatore deve giornalmente confrontarsi. I risultati si ottengono sempre con la competenza, con un gruppo di lavoro coeso e collaborativo e con la concretezza verso l’obiettivo. Questo sia nello sport che nella vita di tutti i giorni.