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Calcio | 15 ottobre 2023, 10:50

Walter Bressan: «Non sono più riuscito a rivedere la finale per la A tra Varese e Samp. E sogno sempre di poterla rigiocare»

L'ex numero uno biancorosso in B allena i portieri del Cagliari: «Mi piaceva buttarmi nel fango e mi affascinavano i guanti, il cappellino... Quando sento nominare Varese provo emozione, alchimia, pathos. Non capisco come non possa trovare pace ed essere tra i professionisti. Quell'ultima gara playoff al Franco Ossola? Serata nata storta, un destino avverso, la traversa, la pioggia, una rete mancata per un soffio. Maran è carisma puro, Castori uomo vero, Bettinelli è varesinità e attaccamento alla maglia»

Walter Bressan, 42 anni, originario di Oderzo (Treviso): tre stagioni a Varese in serie B, è preparatore dei portieri al Cagliari (foto Ezio Macchi e, nella seconda parte della gallery, al Cagliari)

Walter Bressan, 42 anni, originario di Oderzo (Treviso): tre stagioni a Varese in serie B, è preparatore dei portieri al Cagliari (foto Ezio Macchi e, nella seconda parte della gallery, al Cagliari)

 

Tre anni in serie B a Varese - esperienza arrivata dopo Sassuolo, Grosseto, Arezzo, Pavia, Treviso, Spezia - prima di chiudere a Cesena. Questo il cursus honorum di Walter Bressan, classe 1981, portiere ricordato ancora oggi ai lidi biancorossi. L'ex numero 1 è ancora adesso nel mondo del calcio, svolgendo il ruolo di preparatore nel Cagliari.

Come hai iniziato la tua storia calcistica?

Premesso che provengo da una famiglia di sportivi, grazie a mio padre che ha giocato anche lui a calcio per diverso tempo la passione per il pallone è mi è stata tramandata fin da piccolo. Ho iniziato a giocare nella squadra del mio paese, per poi essere notato a 13 anni da un osservatore dell'Atalanta: lì ho avuto la fortuna di completare tutto il settore giovanile e di arrivare alla prima squadra.

Come mai hai scelto il ruolo di portiere?

Da bambino ho iniziato da attaccante, poi mi è venuto subito naturale buttarmi nel fango, perché mi esaltavo quando facevo i tuffi per andare a parare i tiri dei miei amichetti. Inoltre mi ha da sempre affascinato l’abbigliamento del portiere: i guanti, il cappellino... E la sfida con te stesso mi caricava tantissimo. Ho sempre pensato che in questo ruolo si debba prestare attenzione sia ai propri compagni che agli avversari.

Tante società e poi... il Varese... Che ricordi hai oggi?

Quando sento nominare Varese provo emozione, alchimia, pathos. Sono molto legato alla città, nella quale è tra l'altro nato anche il mio primo figlio, Filippo, e sono ancora in contatto con alcuni amici, anche se purtroppo per motivi di lavoro e di impegni famigliari non riesco a venire da qualche anno. Però seguo costantemente risultati e le vicissitudini del club, così come della Pallacanestro Varese. Il fatto che la gloriosa e storica società biancorossa non sia all’interno nel calcio professionistico mi rattrista molto: sinceramente non riesco a comprendere come una realtà così importante, inserita in un contesto di tessuto sociale rilevante, non riesca trovare un poco di pace nel panorama del calcio nazionale.

Con chi hai contatti dei tuoi compagni di quel periodo?

Ci sentiamo spesso con Corti, Zecchin, Terlizzi, Pucino, Rivas, Cacciatore...

Parliamo della finale per andare in serie A contro la Sampdoria?

Allora vuoi proprio toccare un nervo scoperto...  Non sono mai riuscito a rivederla quella finale... Sento tanto rammarico, si poteva coronare un sogno che i tifosi biancorossi aspettavano da decenni, perché avevamo fatto un campionato bellissimo. Una serata nata storta, un destino avverso, la traversa, la pioggia, una rete mancata per un soffio... Purtroppo il calcio a volte è crudele: ancora oggi sogno di poterla rigiocare quella partita...

E Rolando Maran?

A Maran sono molto legato. L'ho conosciuto proprio a Varese ed è nata una grande stima. È un mister molto carismatico, con una grande preparazione e grandi doti professionali ed umane. Riesce a far emergere le qualità individuali del singolo e a creare gruppo: l'esempio di quanto affermo sta in quello che fa fatto nella sua esperienza a Varese. Se sono allenatore dei portieri, infine, lo devo a lui: ho ascoltato i suoi consigli.

Un ricordo anche di Castori e Bettinelli?

Castori allenatore e un uomo vero, con tanta esperienza e tenacia, ottenuta con sudore e lavoro grazie alla sua volontà e caparbietà. Bettinelli la varesinità, l’attaccamento alla maglia, ai tifosi, alla città. Spesso pensando ai momenti insieme rivedo negli occhi del Betti l’emozione, la gioia, la soddisfazione di quando gli è stata data la panchina. Un plauso per la loro professionalità, però, anche per Sottili e Gautieri.

Cosa consigli ad un ragazzo che vuole fare il portiere?

Ci vuole una passione sfrenata per questo ruolo, perché è "bastardo" anche se è il più bello del mondo. Basta un piccolo errore e condizioni una partita, facendo crollare il castello. Devi avere una grande forza mentale e allenarti parecchio, perché il portiere deve sì parare, ma anche usare i piedi e avere la visione del gioco. Consiglio anche di ispirarsi a qualche modello e poi di cercare di imitarlo, anche se forse il suggerimento più importante è quello di perseverare con lo studio e la scuola anche se si coltiva il sogno di diventare professionisti.

Che idoli avevi tu nel ruolo?

Gianluigi Buffon, che ho avuto anche il piacere e l’onore di sfidare e quindi di conoscere, e poi Iker Casillas. Ricordo che anch'io a Varese sono stato un modello per qualcuno: c'era un ragazzino che spesso veniva a vedere i miei allenamenti e mi chiedeva consigli. Un giorno ricordo che regalai a lui i miei guanti e vidi nei suoi occhi commozione e soddisfazione, la stessa che provavo io davanti a gesti del genere quando ho iniziato... Chissà se andato avanti a giocare importa... Approfitto di questa intervista per salutarlo, il suo ricordo mi emoziona ancora.

I tuoi figli giocano a calcio?

Sì, Filippo, il più grande, gioca come portiere, mentre Diego come attaccante nell’Hellas Verona. Loro vivono con mia moglie a Verona, mentre io faccio il pendolare da Cagliari.

Come ti trovi in Sardegna?

Magnificamente. Collaboro da anni con una società in crescita, che investe molto nel settore giovanile e ha una tifoseria straordinaria. Il calcio in Sardegna è vissuto in maniera particolare.

Binomio Cagliari-Gigi Riva?

E’ l’idolo dell’isola, ma anche della nazione. I sardi sono gelosi di Rombo di tuono...  Purtroppo non ho mai avuto il piacere di incontrarlo e di conoscerlo. Ho visto il film a lui dedicato e mi ha davvero commosso. Spero un giorno di potergli stringere la mano.

Riva è l'icona di Cagliari... E quella del Varese?

A mio modesto parere è Silvio Papini. Sempre disponibile e al servizio del gruppo. Un uomo innamorato del calcio biancorosso, un grande personaggio carismatico, un punto di riferimento incredibile che ha scritto una parte di storia calcistica varesina. Oltre all’amico Papo approfitto per salutare tutti i tifosi augurando loro di avere finalmente tante soddisfazioni: se lo meritano davvero, di tutto cuore.

Claudio Ferretti


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