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Varese dalla vetrina | 01 luglio 2023, 07:12

VARESE DALLA VETRINA/4 - In via Donizetti il tempo si è fermato: «Una storia nata per scommessa». E tra i clienti anche Javier Zanetti

Da 41 anni “Un sacco e una sporta” porta ai varesini borse e cinture artigianali, odore di buono, storie d'altri tempi e il fascino di un'arte sempre meno diffusa. Lorenzo Melchiorre, che con il fratello Vito porta avanti l’attività, ci ha aperto le porte della sua bottega: «Ci hanno persino chiesto di aprire un negozio a Los Angeles...»

VARESE DALLA VETRINA/4 - In via Donizetti il tempo si è fermato: «Una storia nata per scommessa». E tra i clienti anche Javier Zanetti

Ci sono mestieri che ancor prima che con la vista lasciano cogliere la loro essenza attraverso l’olfatto, l’“odor di buono” e di lavoro pulito, svolto con le mani e il cuore. Poche cose sono così evocative come gli odori, a distanza di anni ricordiamo quello della gomma che pervadeva l’officina del ciclista Rusconi, delle caramelle Mera & Longhi che prendevano forma in via Maspero, o dei panettoni Vanetti & Gandini verso il cimitero di Giubiano.

Così, varcando la soglia di “Un sacco e una sporta”, in via Donizetti 15, siamo andati indietro negli anni, quando nel centro di Varese esistevano ancora le botteghe artigiane, e proprio accanto all’allora sellaio c’era un deposito di carbone, mentre in via Cimarosa un “farée” andava d’incudine e martello sotto il pergolato di uva americana, tuttora esistente.

“Un sacco e una sporta” sta lì da 41 anni, esattamente dal febbraio 1982, e il profumo del cuoio si percepisce anche fuori dalla bottega, assieme a quello della colla. Il nome arriva da un modo di dire nostrano: «Ne ha presi un sacco e una sporta», intendendo legnate come invece funghi, ciliegie o altre raccolte eccezionali.

Ad accoglierci è Lorenzo Melchiorre, che con il fratello Vito porta avanti l’attività nei locali che furono di un sugherificio, ai primi del ‘900, quindi del sellaio Cantoreggi cui subentrò Tomasini fino all’81. Lorenzo ci mostra una bella fotografia in bianco e nero in cui si legge l’insegna Sellaio Tomasini e, dove oggi c’è il negozio del parrucchiere Gianni esisteva un grande portone di legno che si apriva sul magazzino del carbonaio. Poggiata al muro, l’immancabile bicicletta, unico mezzo di trasporto per la gente del popolo.

«Allora c’erano ancora parecchi cavalli, e i sellai fabbricavano selle e finimenti, poi Tomasini si specializzò in selle per equitazione e incominciò a produrre anche qualche borsa. Quando subentrò mio fratello con un socio, che poi lasciò, si occupò prima di borse femminili, quindi anche maschili, non tralasciando le cinture. Io arrivai nel 1985, appena terminato il servizio militare, e ho imparato il mestiere da Vito, a sua volta autodidatta. Lui, che ha una innata manualità, iniziò per scommessa, vide una borsa che piaceva alla sua fidanzata di allora, poi diventata moglie, e scommise con lei che gliela avrebbe riprodotta esattamente uguale», racconta Lorenzo Melchiorre.

Un’altra fotografia, scattata nel 1950, mostra i “ganivej” di allora in sella a moto e scooter davanti al concessionario che era subentrato al carbonaio, testimonianza di una via Donizetti che vive soltanto nei ricordi degli anziani, dove un tempo c’era l’ospedale e il banco dei pegni e, a pochi passi, il mai troppo rimpianto Teatro Sociale.

«Per scelta non utilizziamo mai pellami di specie animali protette, ma soltanto ovine e bovine, e ci riforniamo a Milano e Cerro Maggiore, dagli stessi fornitori che servono le grandi case di moda. Le pelli italiane sono le più belle, la nostra concia è la migliore. In assoluto, quelle perfette per verginità sarebbero le sudamericane, perché là gli animali sono liberi di scorrazzare per chilometri e quindi le pelli non hanno segni o difetti, ma la loro concia è di scarsissima qualità. Il nostro cuoio conciato ha un aroma inconfondibile, il loro quasi puzza».

Da “Un sacco e una sporta” arrivano per il 65 per cento clienti donne e per il rimanente 35 uomini: la prime chiedono soprattutto le borse a patchwork colorato, ma vanno molto anche quelle a sporta e le cinture, classiche eleganti e più sportive. I Melchiorre producono anche portachiavi con le iniziali, a forma di gatto, con la testa di cane e naturalmente con la sagoma dei gufetti, la passione di Vito. 

«Lavoriamo parecchio su ordinazione, il cliente magari ci porta un modello e noi lo riproduciamo dando però il nostro tocco. In bottega entrano anche diversi turisti, americani, olandesi e francesi che apprezzano parecchio le nostre creazioni. Due clienti di Los Angeles ci hanno perfino chiesto di aprire un negozio nella loro città. Però il mercato online crea molti danni, la gente si lascia spesso incantare e compera oggetti scadenti con la scusa del prezzo basso. Per questo dico che la nostra attività “funzionicchia”, funziona ma è un po’ di nicchia», aggiunge Lorenzo, che è un ottimo decoratore e orna con fantasiose miniature cinture e portachiavi.

«L’oggetto più strano che ci hanno fatto produrre», spiega Vito, «è stato un astuccio per un obiettivo fotografico speciale per scatti a 360 gradi. Abbiamo dovuto ricorrere a un parente per farci fare i calcoli matematici per poi creare un cilindro sormontato da un tronco di cono. Poi altre cose particolari nascono dai disegni di un nostro affezionato cliente, Andrea Bassani, bravissimo grafico, che ci fa fare giacche identiche a quelle degli attori dei suoi film preferiti, da “Indiana Jones” alla serie di “Lost in space”».

Visto che Vito e Lorenzo sono lì da 8 lustri, arriva l’immancabile domanda di come sia cambiata Varese in tutti questi anni, e la risposta dei due non è tenera.

«È cambiata in peggio, il degrado è forte, ci sono negozi sfitti da anni, molta sporcizia in giro, non certo un bel benvenuto per i turisti. In questi casi il comune dovrebbe intervenire. E poi il varesino non vuole problemi, basti pensare che in piazza San Vittore c’era l’idea di aprire un caffè e mettere fuori i tavolini, ma qualcuno ha detto no, e il progetto è rientrato. Non hanno capito che un locale di qualità avrebbe animato la piazza e portato gente, e anche altri esercizi ne avrebbero tratto beneficio. Varese ha bisogno di vita», dice Lorenzo.

E Vito incalza: «La città è da sempre nelle mani di poche persone ricche e potenti, che hanno l’interesse a mantenere le cose come stanno, cioè ferme, e poi la mentalità è chiusa, comandano i “danée” e stop. Alcuni commercianti poi, quando vedono un turista straniero aumentano i prezzi in modo insensato. Non è così che si accoglie chi viene a visitare le nostre bellezze». E ancora Lorenzo: «Molti varesini hanno la puzza sotto il naso, entrano in negozio e vedendo i nostri prezzi, che teniamo piuttosto bassi rispetto al lavoro che c’è dietro ogni oggetto, storcono il naso pensando siano di scarsa qualità».

Per una borsa femminile si spendono da “Un sacco e una sporta” circa 160 euro, le cinture sono sui 70-80 euro, i portachiavi arrivano a 20, mentre per le borse più lavorate -Lorenzo ce ne mostra una da medico appena terminata con tanto di tasca interna per lo sfigmomanometro- si arriva anche a 300, ma è tutto fatto a mano, partendo dal cuoio grezzo.

Stiamo accomiatandoci da due artigiani quando entra un cliente speciale, Giampiero Scaglia, ex centrocampista del Varese con cui giocò cinque campionati di B dal 1980 all’85. Fotografia di rito, con il “santino” di Giampiero con la maglia del Piacenza, e la promessa di un’intervista sui suoi tre allenatori “varesini”, Fascetti, Catuzzi e Vitali. 

Intanto Lorenzo ci racconta degli altri clienti vip di “Un sacco e una sporta”: «Fabio Concato, un vero signore, acquistò una borsa, così come Flavio Premoli della PFM. Poi Andrea Bassani già nominato, un vulcano di idee, Angelo Branduardi e Delmar Brown, tastierista di Sting». Scaglia, con l’occhio del calciatore, ci mostra una fotografia con dedica seminascosta dietro le borse appese: è di Javier Zanetti, anche lui folgorato dalle cinture di Vito e Lorenzo. Il profumo del cuoio è sempre più forte.

Mario Chiodetti

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