Era la prima volta che beveva tanto, fino a sentirsi stordita dagli alcolici. Era una sera di settembre del 2020, che la persona al centro della vicenda, una ragazza all’epoca 19enne, ricorda ancora oggi. Ma non per gli effetti dovuti a qualche brindisi di troppo.
La sua storia non c’entra con gli eccessi di gioventù, ed è legata ad un processo per violenza sessuale in corso in tribunale a Varese, dove i giudici del collegio sono chiamati ad esprimersi sul comportamento assunto da un uomo classe 1981 nei confronti della 19enne, durante quella sera di settembre, dopo che i due si erano allontanati da un bar di Lavena Ponte Tresa perché lui le aveva offerto un passaggio per tornare a casa.
Si erano conosciuti al bancone del locale, dove lui si era presentato facendo il simpatico e offrendo da bere. Ma dopo un maldestro tentativo di bacio, a cui la ragazza si era sottratta perché disorientata dalla situazione, non era previsto alcun seguito, almeno secondo quanto dichiarato ieri in udienza dalla ragazza stessa, che si è costituita parte civile nel procedimento con l’avvocato Marco Conca.
Dopo mezz’ora trascorsa al bar tra cocktail e shottini, l’amico con cui l’odierna persona offesa era uscita perde la pazienza, infastidito dal comportamento dell’uomo, ubriaco, che faceva lo splendido con la 19enne. Nasce un diverbio ma poi gli animi si placano e per l’amico la serata può finire lì: se ne va a casa. Mentre per la giovane, che vuole continuare a stare in compagnia, si profila il problema del rientro.
«Lui si è offerto per rimediare un passaggio – ha ricordato in aula la ragazza riferendosi all’imputato, difeso d’ufficio dall’avvocato Marco Antonini e non presente – dicendo che ci avrebbe pensato un suo amico ad accompagnarci a casa, visto che entrambi avevamo bevuto. Nel frattempo abbiamo raggiunto a piedi la sua pizzeria, che era chiusa».
L’uomo, secondo il racconto della ragazza, dice di essere il pizzaiolo proprietario dell’attività. Infatti ha le chiavi per aprire. E le usa anche per richiudere, una volta che i due sono dentro. Fa fare alla giovane un giro del locale («ti faccio vedere cosa preparo»), poi propone di sedersi. Non a un tavolo, ma su un lettino “modello spiaggia”. Lo posiziona sul pavimento e invita la giovane ad accomodarsi. Lei lo fa, ma quando cerca di rialzarsi lui la spinge giù, facendola sdraiare.
Il momento successivo è quello della presunta violenza contestata dall’accusa all’imputato: «Si è messo sopra di me – ha aggiunto la ragazza – con una mano mi teneva per i polsi, con l’altra mi ha abbassato i jeans». Lei urla, lui tace e inizia a toccarla, attivandosi per passare al resto. Ed è solo a quel punto che avrebbe desistito, bloccato da una frase della 19enne: «Sono vergine, non voglio farlo».
La ragazza, dopo essersi sottratta a quella presa, recupera il cellulare («me lo aveva tolto, volevo chiamare mia madre»), si riveste e chiede di uscire. Prima lui le rivolge una frase che suona come un avvertimento e un richiamo alla realtà dei fatti: «Non ti azzardare a dire qualcosa, lo hai voluto tu». La giovane però nasconde tutto soltanto ai genitori. Per strada incontra il barista del locale in cui aveva trascorso la serata e si fa accompagnare a casa. Manda un messaggio ad una amica, che il giorno seguente la convincerà a denunciare tutto ai carabinieri: «Mi ha detto che non era giusto fare finta di niente e che la stessa cosa poteva capitare anche ad altre ragazze».