Da quel cortile in via Albani ne ha fatta di strada Luca Pellegrini, icona dei calciatori e degli uomini veri che escono dal vivaio per esordire nella squadra della loro città e poi andare a diventare simboli scudettati altrove, in questo caso alla Samp. «I primi calci li tirai proprio in quel cortile di via Albani» ci racconta Luca che, dal suo libro fresco di stampa ed emozioni al rapporto unico con Eugenio Fascetti, capace come nessun altro di motivare e lanciare giovani («Mi fece esordire nel Varese a 15 anni ed ero ancora sotto sua "tutela" quando, a 17 mentre ero in vacanza a Viareggio, mi contattò la Samp»), trasforma ogni parola in qualcosa che non si può dimenticare. «L'Italia dei "miei" Mancini e Vialli? Affronterà i playoff con lo spirito giusto, ne sono certo. Ma servirà anche un po' di buona sorte».
Luca Pellegrini nasce a Varese il 24 marzo 1963, ed inizia giovanissimo a giocare a calcio nel Bosto. Passa nelle giovanili del Varese e poi è per due anni in prima squadra, esordendo quindicenne in serie B e vincendo l’anno successivo il campionato in serie C con mister Fascetti. Nel 1990 eccolo alla Sampdoria dove gioca per undici anni indossando anche la fascia di capitano, vincendo lo storico scudetto nella stagione 1990-91, Coppa delle Coppe (1989-1990) e tre coppe Italia. Nei blucerchiati ha giocato tra altro con compagni come Roberto Mancini, Beppe Dossena e Gianluca Vialli. Nel 1991 viene ceduto al Verona, dove resta due stagioni prima di trasferirsi al Ravenna e al Torino, per poi chiudere la sua carriera e intraprendere quella di manager in un'azienda che opera nel settore portuale e fare l'opinionista sportivo per Sky e Primo Canale. Terminata questa esperienza ora è un felice pensionato e si gode il mare ligure.
Luca, ci racconta da dove parte la sua storia calcistica?
Ho iniziato a tirare i primi calci al pallone nel cortile di via Albani, dove sono nato. Poi grandicello, con i miei fratelli Davide e Stefano e gli amici, andavamo nel campetto adiacente e nel vicino oratorio. Un giorno un mio "amichetto di merende" mi dice che il Bosto sta organizzando una leva calcistica della mia annata. Un po' per gioco e un po' per curiosità, ci provo: supero primo e secondo provino, quest'ultimo a Vedano, vengo tesserato ed inizio a seguire i preziosi consigli di Fausto Pozzi, Osvaldo Tonelli e Mario Colombo.
Dopo due anni eccomi nel Varese dove, quindicenne, faccio il mio esordio in prima squadra. Dopo aver vinto il campionato di serie C con Eugenio Fascetti, vengo contattato da Torino e Milan ma, nell'estate nel 1980, mentre sono in vacanza a Viareggio sotto tutela di Fascetti (avevo 17 anni) si fa viva la Sampdoria tramite l'avvocato Colantuoni che, su indicazione del presidente Paolo Mantovani, voleva creare una super squadra. Ci penso qualche giorno e, su suggerimento dei miei genitori, accetto.
Ha iniziato a giocare giovanissimo: come conciliava il calcio con lo studio?
Non sempre è stato facile: anche in questo caso ho fatto molti sacrifici. ho frequentato scuole serali e, infine, sono arrivato al diploma di ragioniere. Sinceramente non potevo fare altro. Con un padre dirigente e una mentalità basata su programmi ben precisi, il diploma era il minimo sindacale. A tal riguardo vi racconto un episodio curioso.
Sentiamo.
Papà Antonio, da attento genitore quale è sempre stato, aveva percepito la mia volontà di abbandonare lo studio. Ebbene, mi fece firmare un contratto tra padre e figlio che diceva questo: se non andavo a scuola, lui avrebbe preso i sodi dell’ingaggio con la Sampdoria. Sicuramente poi non l’avrebbe fatto davvero, ma quello fu un grande stimolo per me, poco più che adolescente lontano da Varese. Il mio consiglio per i ragazzi che giocano a calcio è quello di impegnarsi in questo sport di squadra che ti prepara il carattere per affrontare i sacrifici che la vita ti impone, ma è anche quello di studiare per aprirsi un'altra prospettiva.
Legame con Varese?
Molto stretto: anche se vivo a Genova, torno qui spesso. Mio padre è tumulato al cimitero di Belforte, nella Città Giardino ci sono le mie radici e Varese mi ha dato la possibilità di iniziare a fare il calciatore. Non posso non ricordare i consigli e gli insegnamenti del mio secondo padre, Eugenio Fascetti: spesso con il suo carattere da toscano pareva burbero e diretto, ma era il comportamento giusto per motivare i giovani. Aveva l’occhio lungo nello scoprire i giovani talenti e nel farli crescere.
Parliamo del suo libro, "Sampdoria 1991. L'anno dello scudetto e le cose mai dette" (clicca QUI per sapere tutto), scritto con Luca Talotta e presentato recentemente nella sede di Bosto...
...dove ho ritrovato dopo tanti anni amici che per vari motivi avevo perso di vista. Un'occasione in più per venire a Varese.
Come è nata l’idea del libro?
L'iniziativa è partita dalla casa editrice Caosfera, che ha già pubblicato la "favola" degli scudetti di Cagliari, Torino e Verona, con i capitani di allora che hanno raccontato le storie e il gruppo che ha portato anche le provinciali a vincere il campionato e i granata a riconquistarlo dopo l'epopea del Grande Torino.
Conosce bene il ct Mancini e Vialli: ce la faranno a portarci ai Mondiali?
Sia Roberto che Gianluca sapranno dare le giuste motivazioni per affrontare gli incontri non facili dei playoff. Però si deve sperare che anche i giocatori siano al massimo della forma e si possano esprimere al meglio. Incrociamo le dita, facciamo il tifo per gli azzurri e speriamo anche nella buona sorte che non guasta mai.
Sotto nella gallery il libro di Luca Pellegrini, "Sampdoria 1991. L'anno dello scudetto e le cose mai dette" (clicca QUI), e la presentazione con premiazione al Bosto nella serata condotta da Vito Romaniello