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Calcio | 14 novembre 2021, 00:01

Claudio Ciceri: «Il Peo mi spostò a centrocampo: mi mancava il gol, ma fu bello. Ramella e le sue trovate erano gioia per i miei figli»

Milanese di nascita, l'apoteosi al Catania, poi la scelta del biancorosso per stare con la famiglia: «Vivevamo a Sant'Ambrogio, qui trovammo un ambiente ideale e una società ben organizzata. Oggi vivo a Sassuolo e seguo con interesse il movimento femminile»

Qui Ciceri, a destra, insieme a Giovannelli e Criscimanni. In basso il Catania e il Varese di quegli anni e una foto recente dell'attaccante milanese

Qui Ciceri, a destra, insieme a Giovannelli e Criscimanni. In basso il Catania e il Varese di quegli anni e una foto recente dell'attaccante milanese

Claudio Ciceri nasce a Milano il 10 maggio 1951, sotto il segno zodiacale del toro. Il suo ascendente ancestrale è stato dominante per la sua carriera calcistica, dove la testardaggine di non arrendersi mai, il mettersi a disposizione di tutti creando gruppo, il saper adattarsi ad ogni situazione sono state le carte vincenti di un calciatore che ha anche rinunciato ad andare a giocare in società quotate per stare vicino alla sua famiglia. 

Ciceri inizia a 18 anni nel ruolo di attaccante nella squadra Sanyo Milano e l’anno successivo esordisce in serie B nella Reggiana. Tra gli anni 1970 1972 viene mandato a farsi le ossa in serie D  nelle società emiliane del Moglia e del Carpi. A 23 anni passa nel Verona, dove non riesce a trovare spazio in quanto è la riversa di Zigoni, idolo della tifoseria locale. Nel 1974 va al Chieti in serie C, dove è capocannoniere. 

La sua apoteosi è il passaggio al Catania, dove gioca per tre anni con la fascia di capitano al braccio, coccolato dai tifosi siciliani. Dopo questa grande esperienza, chiede di essere trasferito in una società del Settentrione per motivi di familiari. Nonostante le diverse offerte di club blasonati in centro Italia, la voglia di stare vicino alla famiglia lo porta al Varese, con Riccardo Sogliano che lo chiama per sostituire Muraro. La sua carriera da calciatore si chiuderà poi con le esperienze alla Reggiana, un ritorno a Catania e al Novara.

Ciceri, com’è avvenuto il suo approdo a Varese?
Arrivavo da Catania, dove la tifoseria e la stampa ti mettevano quotidianamente sotto pressione. L’ambiente ti caricava moltissimo, gli spalti erano sempre pieni in ogni partita… Tutto questo era molto coinvolgente. Il distacco da Catania non è stato facile, però volevo essere più presente in famiglia visto che i miei figli stavano crescendo. A Varese ho trovato un ambiente ideale: una società ben organizzata, un grande allenatore come Peo Maroso che è stato un pilastro nella storia del calcio italiano come scopritore di talenti. La città mi è subito piaciuta, poi si sono anche trasferiti mia moglie e i figli. Abitavamo a Sant’Ambrogio, abbiamo subito fatto amicizia con tutti. 

Trovò una diversa tipologia di allenamento nel passaggio da Catania a Varese?
A parte il clima e qualche lavata in più, visto che sulle Prealpi piove spesso, per il resto ho trovato preparatori capaci, medici e massaggiatori molto professionali, una società ben organizzata e un mister che è riuscito anche a farmi cambiare di ruolo.

Come non giocava da attaccante?
Peo Maroso ebbe l’intuito di spostarmi a centrocampo. All’inizio ho sofferto perché ad un attaccante rimane sempre il fiuto del gol, poi però devo dire che è stata una bella esperienza. Anche se ho segnato poco. 

Ricorda qualche suo compagno?
Manueli, Ramella, Mayer con cui sono ancora in contatto dopo tanti anni. Ricordo CriscimannI, Taddei, Arrighi, Dal Fiume e anche Mascella e Tresoldi, purtroppo scomparsi. Tra i ricordi più curiosi che mi sono rimasti impressi… Ci sono le performance artistiche di Ernestino Ramella, che dipingeva e costruiva navi in bottiglia ed allevava i merli indiani a cui insegnava a parlare. Tutto questo era una gioia per i miei figli. 

Cosa fa oggi Claudio Ciceri?
Vivo da molti anni a Reggio Emilia e collaboro con il Sassuolo, dove adesso c’è un mister con il cuore varesino, Alessio Dionisi. Vado spesso in palestra e mi tengo in forma. Mi annoio però a guardare le partite: ci sono troppi stranieri che bloccano le nostre promesse dei settori giovanili, il calcio è diventato troppo marketing. Le dirò anche che il marcare a zona ideato da Sacchi non mi coinvolge e francamente ci sono tanti calciatori che, nonostante una buona se non ottima preparazione atletica, sono abbastanza scarsi tecnicamente. 

Lei è vicino a Sassuolo patria del calcio femminile: segue le partite?
Sì e mi divertono: le calciatrici sono diventate davvero brave. Inoltre sono amico del ct dell’Italia Milena Bertolini e di Elisabetta Vignotto. Grazie al loro lavoro hanno creato un buon interesse rispetto al movimento, coinvolgendo tante società ad aprire scuole calcio in cui si impegnano giovani atlete nel gioco più bello mondo.

Claudio Ferretti


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