Nel panorama storico calcistico biancorosso, quando si parla di Mario Grotto si tratta di nominare "Sua Maestà, il Re del regno dei ragazzi degli anni 70". Il settore giovanile biancorosso fu infatti ideato grazie alla grande fiducia che Guido Borghi riponeva in lui, che poi negli anni a venire inventò anche l’importante figura del team manager.
Grotto, come è nata l’idea di formare il settore giovanile del Varese?
Diciamo subito che in quel periodo non esisteva una vera fucina di giovani. Io ho avuto l'idea quasi per scommessa, nata con alcuni amici al bar. Mi piaceva molto il calcio, ma non sono mai arrivato oltre la Prima categoria. Amavo stare a contatto con i giovani, lavoravo come dipendente in una compagnia telefonica, ma cercavo nuovi stimoli. Casualmente, tramite amicizie comuni, ho conosciuto Guido Borghi, il figlio del Cumenda, che ha dato fiducia al mio progetto: abbiamo iniziato facendo piccoli passi.
Prosegua.
Tramite alcuni miei amici osservatori che andavano negli oratori abbiamo scoperto ragazzi come Claudio Gentile, Ernestino Ramella, Giampiero Marini, Egidio Calloni, Giacomino Libera, Bruno, Mayer, Silvio Papini, Giorgio Valmassoi e tanti altri che hanno fatto carriera (e storia) nel calcio italiano di quel periodo. Le regole di ingaggio erano molto semplici e chiare: la società offriva vitto e alloggio al convitto De Filippi, dove i ragazzi dovevano seguire le regole ferree del Collegio e dovevano studiare; infatti tutti si sono diplomati. Solo i più meritevoli giocavano alla domenica, altrimenti non venivi convocato. Alcuni ragazzi venivano poi mandati in prestito a società calcistiche in giro per l’Italia o in zone limitrofe come Verbania e Arona, poi a fine anno ritornavano ancora a Masnago.
Quando ha visto il suo lavoro concretizzarsi?
Nel 1972 il Varese retrocesse in serie B. Il mio amico Guido Borghi, demoralizzato, decise di abbandonare il calcio. Io riuscii a convincerlo che vendendo Gentile e Massimelli al Bologna e facendo giocare i ragazzi del settore giovanile potevamo tranquillamente fare la serie B. Cosi con senatori come Borghi e Prato, Della Corna, Fabris e Bonafè a fare da chiocchia, hanno esordito e fatto strada Calloni, Ramella, Libera, De Lorentiis, facendo tutti un buon campionato.
Ci racconta qualcosa di Guido Borghi e di suo padre Giovanni?
Due persone meravigliose. Il padre è stato il primo in Italia a capire che la comunicazione pubblicitaria legata allo sport faceva presa. Infatti era presente nel calcio, nella pallacanestro, nel ciclismo e nella boxe, con prestigiosi campioni. Poi i Borghi erano attenti all'occupazione sul territorio: è sufficiente ricordare che Giovanni Borghi aiutava i dipendenti che dimostravano più attaccamento al lavoro a mettersi in proprio aiutandoli a creare la propria fabbrichetta, a condizione che loro stessi assumessero operai, sia uomini che donne. Un piccolo aneddotto che ne racconta lo spessore.
Ci racconta anche qualche curiosità dei "ragazzi del 70"?
Io ero come un fratello maggiore: si confidavano con me e io cercavo di intercedere con Maroso e con i due capitani, Borghi e Prato, se avevano fatto qualche piccola marachella. Erano tutti bravi ragazzi. Ramella era il più furbo di tutti. Calloni il più generoso, sia in campo che fuori. Con Giacomino Libera facevamo le serate in discoteca, era un compagnone, molto simpatico. Gentile aveva una spiccata intelligenza emotiva: ricordo che veniva al caffè Firenze in centro città e rimaneva in disparte ad ascoltare i discorsi dei senatori. Poi quando era l’ora di cena, con il suo dolce sguardo penetrante, riusciva a farsi invitare al ristorante o veniva spesso a casa mia; era già un ragazzo che sapeva ciò che voleva e aveva grinta da vendere.
Lei ha "tenuto a battesimo" Beppe Marotta...
Battesimo calcistico, sì. E sono stato suo testimone di nozze. Beppe è entrato in punta di piedi allo stadio da ragazzo, facendosi subito voler bene. Aveva la mente aperta e una buona capacità di comunicare avendo studiato al liceo classico. Gli affidavo vari compiti, tra questi la logistica dello stadio, l'organizzazione del ricevimento delle autorità... Insieme abbiamo anche proposto il progetto, poi realizzato, degli spogliatoi sotto la tribuna centrale. Beppe ha seguito molto attentamente i lavori. Era molto abile nei rapporti interpersonali e commerciali. Io stesso, quando il Varese venne venduto a Colantuoni, lo raccomandai all’avvocato come suo uomo di fiducia.
Con i ragazzi si vede ancora?
Certo. L’ anno scorso, in estate, abbiamo giocato anche una partitella tra vecchie glorie, dividendoci in... pesi leggeri e pesi massimi. Nella squadra pesi leggeri erano in pochi, tra questi Fiorenzo Roncari e Silvio Papini, ma abbiamo rimediato.Quando si potrà andare al ristorante alla sera abbiamo in programma una cena che solitamente organizza un ragazzino dell’epoca, Gianfranco Mulas detto Doro. A proposito Mulas era un promettente calciatore fermato, purtroppo troppo presto, da problemi fisici, cosi come l’allenatore del Casale Monferrato Francesco Buglio (venuto di recente a Varese con il Casale). Buglio ha addirittura esordito in serie A con il Napoli: era un bravissimo calciatore.
Nella sua lunga esperienza nel mondo del calcio non è mai andato in panchina a fare l’allenatore?
Sì, una volta: ho avuto una delega per un Taranto-Varese. Peo Maroso compiva gli anni e voleva festeggiare il compleanno in famiglia. Il Varese era in una buona posizione in classifica e dopo mezz’ora del primo tempo vincevamo già 0-3. In campo volava di tutto, dai cuscini, alle radioline, ai manici di ombrello, a pezzi di legno. Capitan Ambrogio non riusciva a giocare sulla fascia perché gli capitava qualche spuntone che sbucava dalla rete. Però rimediò alcune radioline che portammo come cimelio a Varese. La partita finì poi in pareggio 3-3. I ragazzi volevano tornare presto a casa e mangiare la torta del mister. Andò proprio così!
















