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Calcio | 14 febbraio 2021, 00:01

Dario Dolci: «Il Modena mi scoprì all'oratorio, poi gli anni bellissimi in un Varese glorioso. Pablito Rossi? Gran giocatore... e bravissimo cantante!»

I ricordi del "gigante buono" con più di 100 partite in biancorosso, i titoli al Milan, il Vicenza con l'eroe Mundial: «Amo la città e il lago, così sono rimasto qui. Io allenatore? No, sono troppo sensibile: ho aperto un negozio di articoli sportivi. E ora faccio il nonno»

Due scatti di Dario Dolci in maglia Milan (foto www.magliarossonera.it)

Due scatti di Dario Dolci in maglia Milan (foto www.magliarossonera.it)

Dario Dolci, il gigante buono, ha giocato tra il 1968 e il 1972 oltre 100 partite nel Varese, per poi passare al Milan per due anni (1972-1974) con mister Nereo Rocco, alla Ternana, al Lanerossi Vicenza giocando con il giovanissimo Paolo Rossi, alla Spal e infine al Savona insieme al suo compagno di squadra rossonero Pierino Prati.

Dolci, come ha iniziato la sua lunga carriera calcistica?
Ho iniziato giovanissimo a giocare in una squadra dell’oratorio che si chiamava Muratori di Vignola, paese emiliano dove si erano trasferiti i miei genitori. Un giorno venne il parroco pieno di entusiasmo e mi disse che ero stato visto da alcuni osservatori del Modena: volevano farmi un provino. Andai subito, convincendo i miei genitori che il calcio era la mia passione, ma che non avrei abbandonato gli studi e che avrei lavorato per aiutare la famiglia. Superai brillantemente il provino e iniziai a giocare subito come titolare nelle giovanile della De Martino. La prima partita fu a Cagliari e dovevo marcare stretto Nene, che fu poi uno dei protagonisti dello scudetto del Cagliari. Fu una bellissima partita e con il brasiliano ci fu massimo rispetto, era un atleta e un uomo straordinario. Negli anni poi capitò di giocare ancora contro: conservo un bel ricordo di una grande lealtà sportiva. Poi arrivò la chiamata del Varese mentre ultimavo il servizio militare a Orvieto.

Ci racconta il suo Varese?
Era un Varese glorioso, con Borghi, Della Giovanna, Picchi, Spelta, Traspedini, Renna, Bonatti, Maroso, Bettega, Nuti, Perego, Brignani, Prato...  Il mio esordio fu con la Sampdoria con un risultato utile per la classifica, 0-0.

Che ricordi ha dei suoi compagni di quel periodo?
Bellissimi. E a Varese mi sentivo appagato. Mi piaceva la città e la zona dei laghi, ho conosciuto mia moglie e ho deciso di rimanervi per il resto degli anni. Mi sono trovato benissimo con i compagni. Arrivavano giovani in prestito perché il Varese era una scuola e un ambiente di livello. Tra i tanti arrivò Bettega. Si vide sin da subito come fosse un talento. Molto forte di testa, una straordinaria intelligenza tattica e tanta voglia di imparare con umiltà e sempre al servizio del gruppo.

Lei ha giocato da mediano e da stopper: quali sono stati gli avversari più forti che ha affrontato?
Molti... Riva, Bonisegna, Bigon, Prati e tanti altri. Si giocava in maniera diversa allora, la marcatura era... stretta.  Personalmente mi aiutava la mia prestanza fisica. Le entrate però erano corrette, non sono mai stato espulso né ho mai fatto male agli avversari. Erano entrate ben calibrate. I due più difficili da bloccare erano Boninsegna e Riva. Erano veloci, sapevano farsi rispettare in campo pur sempre con un comportamento corretto; bastava un attimo di disattenzione e ti "fregavano".

Un ricordo su Rombo di Tuono?
Il ricordo è legato ad una vacanza premio che il presidente Giovanni Borghi regalò a tutta la squadra. L'antefatto è questo: il Cagliari venne a Varese e ci rifilò tre pere, tutte a firma Riva. La partita non fu troppa digerita da Borghi, in quanto voleva fare bella figura con il campione leggiunese. Così per la partita di ritorno ci portò in vacanza a Nizza nella sua villa a preparare l’incontro. Voleva riscattarsi. Mi affidarono la marcatura del grande bomber, anche perché non avevo giocato nella gara casalinga a causa infortunio. Allo stadio Amsicora di Cagliari, davanti a un pubblico meraviglioso, riuscimmo a strappare un pareggio a reti inviolate e Gigi mi fece i complimenti.

Poi lei passò al Milan.
Sì, arrivai ai rossoneri grazie a Trapattoni. Ero al settimo cielo perché sono sempre stato tifoso milanista. Giocai per due anni con il paròn Nereo Rocco, con Rivera, con Lodetti. La mia permanenza non fu però troppo felice, perché l’allenatore preferiva Rosato che era più duro ed incisivo a suo dire. Mi considerava troppo buono in campo, addirittura nell’ultima partita decisiva per il titolo di campioni d’ Italia, nel 1973, preferì far giocare Rosato infortunato con il Verona. Perdemmo partita e titolo e ricordo che Rocco mi confessò di aver sbagliato... Giocai le partite di Coppa, dove ho dovuto prendere le misure a Krankl, fortissimo centravanti del Rapid Vienna. Vincemmo per 2-0 passando il turno, ma dal mister non ricevetti nemmeno una pacca sulla spalla. E pensare che avevo dalla mia parte i telecronisti sportivi come Enrico Ameri e Nando Martellini che mi portavano sempre in palmo di mano... Comunque con i rossoneri ho vinto la Coppa Italia, la Coppa delle Coppe e la Supercoppa Europea contro l’ Ajax. Giocavo prevalentemente le partite di coppa... Vai a capire le idee del mister.

Ha poi conosciuto Pablito Rossi...
Dopo l'esperienza bellissima in serie A con la Ternana, fui trasferito a Vicenza. Una grande soddisfazione: respiravo aria di casa essendo nato a Marostica. Arrivarono dalla Juventus Rossi e Verza in prestito, due ragazzi straordinari. Pablito era una furia: una velocità incredibile, grande voglia di imparare trucchi e segreti del mestiere. Non smetteva mai di correre, era sempre sorridente ed educato. Si è fatto subito voler bene dai tifosi e dai compagni. Era veramente empatico e cantava sempre, era anche intonato... Avrebbe potuto fare il cantante!

Dolci, perché terminata la carriera non ha mai allenato?
Non riesco, sono troppo buono: non riesco a dire a qualcuno di non giocare, sono molto sensibile... Ho preferito aprire un negozio di articoli sportivi.

E ora cosa fa?
Il nonno! Passeggio per la pista ciclabile a Gavirate, seguo le partite del Milan e del Varese, sperando che ritorni presto in vetta alla classifica. Varese si merita una squadra di calcio di alto livello perché ha una grande tradizione. Nei biancorossi hanno giocato pezzi di storia del calcio nazionale e mondiale. 

Claudio Ferretti


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