Pugliese di origine, di cui ha conservato la semplicità e l’empatia, Vito De Lorentiis si trasferisce da bambino con la famiglia a Cuzzago, un paesino sperduto ad una 10 di chilometri da Domodossola, dove gli inverni sono freddi e non finiscono mai.
Il ragazzo frequenta le elementari e le medie, ma nei momenti liberi con i compagni di scuola mette le cartelle in strada per segnare il campo e gioca a pallone nella piazzetta della chiesa, luogo di ritrovo del piccolo paese di montagna. Tra finte e tunnel ai suoi amici, viene notato da un professore di ginnastica che ne intuisce il talento e lo vuole portare alla Sampdoria per un provino. Ma Genova è troppo lontana e i genitori dell’enfant prodige non rilasciano il nullaosta; promettono però al ragazzo di portarlo a fare un provino al Varese...
De Lorentiis, come è andata?
Avevo tredici anni e da pugliese ero molto legato a mamma e papà. Mamma mi promise che saremmo andati a parlare con lo zio, che faceva il maresciallo a Gavirate. Prima di prendere una decisione era consuetudine consultare lo zio carabiniere, si trattava di una forma di rispetto verso di lui ma anche verso la divisa e l'Arma. Lo zio parlò con qualche dirigente delle giovanili del Varese, ma credo fosse poco convinto: era più che altro per darmi una soddisfazione.
E...
Affrontai il provino e dopo pochi minuti mi dissero che mi avrebbero tesserato. Fu una gioia immensa: allora le giovanili biancorosse erano molto quotate, era un vivaio pieno di giovani talenti: Gentile, Libera, Marini, Papini, Ferrario, Salvadè, Calloni, Ramella... Per prima cosa mi fecero iscrivere a scuola, al De Filippi, dicendomi che se non avessi studiato il pallone non l’avrei mai visto: primi lo studio e i voti belli, poi il calcio. Ho fatto tutta la trafila delle giovanili e della Primavera.
Quando ha debuttato nel Varese?
Nel 1974, giorno della Befana. Dopo qualche mese fui mandato in prestito alla Milanese, in serie D. Ritornai poi in biancorosso per tre anni, giocando 95 partite e realizzando 19 reti.
Ci racconta una curiosità di quel periodo?
Nel 1977 mi sono sposato. Come tutti i giocatori il giorno scelto era il lunedì, in altre giornate non si poteva, e la domenica appena precedente sono stato espulso per somma di ammonizioni. Sinceramente ero un po' contrariato, però ho cercato di vedere il bicchiere mezzo pieno: ho deciso con mia moglie di fare la luna di miele a Stresa, allungando di qualche giorno visto l’imminente verdetto del giudice sportivo. Ebbene sai come è andata a finire?
Come?
Il giudice sportivo non mi ha squalificato, perché non si trattò di falli cattivi. Così il mercoledì mattina sono dovuto rientrare, tra i sorrisi maliziosi dei miei compagni...
Come l'ha presa tua moglie?
Ti lascio immaginare! Però dopo 43 anni siamo ancora insieme...
Proseguiamo: ci svela alcune persone del Varese che ricorda con particolare piacere?
Sicuramente Peo Maroso: mi ha scoperto e mi ha fatto crescere; sono poi andato con lui anni dopo anche a Legnano e a Novara. Voglio ricordare anche il Barone Nils Liedholm, la sua eleganza in campo e fuori, il suo modo vellutato di calciare il pallone.
Che altre squadre ha girato De Lorentiis?
Il Matera, la Ternana e il Giulianova, la città dopo Varese a cui sono legatissimo e in cui torno ogni anno per le vacanze.
Si dice che lei è sempre stato dato in prestito: come mai?
Bella domanda. Non lo so, ho sempre provato a chiederlo a Giuseppe Marotta, ma non ho mai avuto risposta, né allora, né oggi...
È rimasto nel calcio?
Sì, alleno i piccolini, a cui insegno la tecnica con il pallone. È una cosa che mi piace un sacco, i bambini mi rendono felice. E mi piacerebbe che la mia nipotina di 7 anni inizi a giocare a calcio: sono affascinato dal calcio femminile, è ancora genuino, mi piace molto.
Chiudiamo con una battuta sul Varese di quest'anno?
Speriamo in bene, la piazza varesina ha una storia e ha bisogno di una gestione seria. Basta predatori. Vediamo. Auguri biancorossi!


















