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Cronaca | 12 dicembre 2025, 16:06

Omicidio Limido, i periti descrivono la mente di Manfrinati: «Dottor Jekyll e Mr. Hyde»

In Aula oggi a Varese gli psichiatri Poloni e Carabellese hanno delineato un profilo segnato da «reazione abnorme psicotica», «perdita di contatto con la realtà» e «infermità severa». La difesa insiste sulla psicosi: «Può inibire la capacità di intendere e di volere?» Per il perito la risposta è sì

Omicidio Limido, i periti descrivono la mente di Manfrinati: «Dottor Jekyll e Mr. Hyde»

Nuova udienza per il processo Manfrinati. In aula bunker al tribunale di Varese oggi l’attenzione era rivolta ai periti chiamati a ricostruire lo stato mentale di Marco Manfrinati, imputato per l’omicidio di Fabio Limido, padre di Lavinia, avvenuto in via Menotti a Varese nel maggio del 2024. Un’udienza interamente dedicata all’esame tecnico, denso e complesso, nella quale il profilo dell’uomo si è delineato come quello di una personalità intelligente ma fragile, attraversata da un lento e inesorabile cedimento psichico.

Il primo ad essere ascoltato è stato il dottor Nicola Poloni, che ha descritto Manfrinati come un soggetto «con capacità intellettive molto elevate» ma caratterizzato da «rigidità di pensiero» e «tratti associabili allo spettro autistico e ai disturbi di personalità». Una struttura mentale, ha spiegato, che rende difficile modulare gli stati emotivi, specie nelle situazioni affettive. Per come lo aveva conosciuto, ha aggiunto, non avrebbe mai immaginato «un agito così violento nei confronti del padre di Lavinia». La rabbia che Manfrinati sperimentava, ha spiegato, era abitualmente rivolta verso la madre della donna, ritenuta responsabile dell’allontanamento dal figlio. Il confronto con la difesa si è concentrato sulla psicosi. Al termine dell’esame, l’avvocato ha chiesto: «La psicosi può inibire la facoltà di intendere e volere?». «Sì», ha risposto Poloni, senza esitazioni.

Poi la parola è passata al professor Felice Carabellese, psichiatra forense del Policlinico universitario di Bari, specializzato proprio nella valutazione della capacità di intendere e volere. Il perito ha ricostruito un percorso di analisi iniziato con una visita nel maggio 2024, proseguito in carcere e ripetuto a un anno di distanza. Una valutazione rigorosa che ha integrato colloqui, documentazione giudiziaria, anamnesi e test.

Secondo Carabellese, in Manfrinati è presente «una componente autistica importante», confermata anche dalle valutazioni precedenti. «Le relazioni affettive le gestisce molto meno rispetto a quelle cognitive», ha spiegato, sottolineando però al tempo stesso l’alto profilo intellettivo rilevato in ambito forense. Alcuni test, come il Minnesota, hanno prodotto scale talmente basse da mettere in dubbio la validità stessa della misurazione, elemento che secondo l’esperto può indicare un funzionamento psicologico profondamente disturbato.

Al centro della sua relazione, la frattura biografica rappresentata dalla dolorosa separazione dal figlio: «È il primo elemento che modifica il suo funzionamento», ha dichiarato. Da quel momento si sarebbe innescato un processo fatto di «trauma, calo depressivo, altalena emotiva» e infine «perdita del contatto sintonico con la realtà». Un percorso parallelo di crollo, culminato nello sviluppo di «un comportamento psicopatologico sfociato nell’atto drammatico», con «un nesso evidentissimo tra infermità mentale e fatto compiuto».

L’esperto ha descritto quanto accaduto come «una reazione abnorme psicotica», il cui evento scatenante sarebbe stato l’apprendere che non avrebbe più potuto vedere il figlio nelle modalità che immaginava. Una condizione che ha definito nella metafora «alla Dr. Jekyll e Mr. Hyde», con due percorsi mentali paralleli che si sovrappongono fino al collasso.

 Alla domanda della Procura se l’atto potesse essere interpretato come una vendetta, Carabellese ha escluso la pista: «La vendetta è un’azione dissonante rispetto alla sua storia di vita. Non è uno stalker rancoroso che agisce per ritorsione». Anche il fatto che indossasse una mascherina, secondo il perito, non sarebbe legato al voler occultare la propria identità alla vittima: «È stata utilizzata, a mio avviso, come meccanismo mentale per nascondersi da sé stesso».

Carabellese ha concluso definendo quella di Manfrinati una «dimensione psicotica» piena, in linea con lo sviluppo jaspersiano e minkowskiano del distacco dalla realtà: «Un meccanismo di eventi che porta a perdere progressivamente pezzi di sé». Alla domanda del pubblico ministero, l’esperto ha dichiarato che l’imputato presenta «un’infermità severa».

In aula, Manfrinati è apparso molto trasandato, con barba e capelli lunghi, immobile mentre i periti ricostruivano il suo progressivo collasso mentale. Il processo proseguirà nelle prossime udienze. La settimana prossima sarà il momento delle dichiarazioni spontanee di Marco Manfrinati, che ha scelto di rivolgersi direttamente alla Corte. In quella stessa seduta si discuterà anche la richiesta di una nuova perizia psichiatrica, su cui la difesa punta per rafforzare la tesi dell’infermità mentale al momento del fatto. Una decisione attesa e decisiva per il prosieguo del dibattimento.

Alice Mometti

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