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Calcio | 28 febbraio 2025, 07:43

Sean Sogliano e quel calcio fatto ancora di lacrime, fiuto, identità, fame e destino

Nel giorno del suo 54° compleanno il direttore varesino, una mosca bianca nel mondo del pallone, continua a essere l'esempio di come il destino di una squadra, una classifica, una stagione, una partita e una tifoseria non siano decisi solo da soldi e amicizie ma da ben altri valori. La promessa del 6 giugno 2011, il ritorno nell'"ufficio" di piazza Monte Grappa e quella frase che dirà prima di affrontare il Como alla penultima di campionato...

Sean Sogliano, 53 anni oggi

Sean Sogliano, 53 anni oggi

Se nel calcio e nello sport, ma in fondo anche nella vita, crediamo ancora alle persone capaci di fare la differenza con quello che hanno dentro, e non per quello che c'è fuori, lo dobbiamo a Sean Sogliano.

Se crediamo alla possibilità che non siano soltanto i soldi a stabilire una classifica o, peggio, a decidere i rapporti umani e a farti arrivare in alto o a restare in basso, se dopo una caduta c'è spazio per potersi riscattare e risalire in un punto superiore a quello in cui ti eri già trovato o se il destino di una stagione, una squadra, una partita, un giocatore, un direttore, una tifoseria, soprattutto una tifoseria, può essere ancora deciso dalla passione e dalla capacità di pescare qualcosa di nascosto in te, soprattutto quando tutti ti danno per spacciato, lo dobbiamo a Sogliano.

E, nel giorno del suo 54° compleanno, dobbiamo dirgli due cose, una crediamo bella e l'altra sicuramente vera. 

La prima: quando dobbiamo puntare sulle persone da seguire e di cui fidarci, al di là del nostro lavoro, scegliamo pensando a quel mix di fiuto (senza scintilla non potrà scoppiare l'incendio), fedeltà (senza la bravura, però, fa rima con mediocrità), identità (non sono gli altri a doverci cambiare, anche se gli altri sono più forti e sono la maggioranza), destino (è tutto scritto), fuoco (se lo spengono, lo riaccendi), mordente (o ce l'hai, o non l'avrai mai) e squadra (le persone attorno a te fanno la differenza).

L'altra: anche se sono passati 14 anni, noi siamo rimasti in piazza Monte Grappa al 6 giugno 2011, il giorno dopo Varese-Padova 3-3 quando, andandosene da una squadra che era come un figlio dopo la semifinale playoff, disse "un giorno tornerò". Ci abbiamo sempre creduto, ci crederemo anche se passeranno altri 14 anni e anche se oggi abbiamo a che fare con una squadra che a trenta chilometri di distanza da noi pensa di andare in Champions League ma con valori ben diversi, fondati su una scontata potenza di fuoco economica. 

Poi ci sono l'"ufficio" al secondo piano del Socrate con vista su Varese, dove si torna sempre insieme a Beppe e Lucio, come ai tempi della vacanza dal calcio, ci sono le lacrime di gioia o di dolore, inflitte o volute, con cui si conclude ogni stagione, ci sono i suoi ragazzini che corrono in maglia biancorossa dietro la tribuna e i distinti del Franco Ossola (almeno qualcosa alla sua città, dalla serie A, lui continua a lasciarla), c'è la capacità di continuare a svuotare il mare e a salvarsi con un cucchiaino, e un lanternino nello scoprire giocatori nascosti, scartati o esiliati in mercati o situazioni poco battute, c'è la fiamma d'orgoglio con cui infiammare il pubblico, ricambiato mille volte di più, e la capacità di trascinare in guerra chi lo circonda, ma c'è anche un'ultimissima cosa da aggiungere alla vita di Sogliano nel giorno del suo compleanno, oltre a quella scontatissima di chi dice che meriterebbe un grande club (tutte le squadre in cui ha lavorato, per lui, sono grandi squadre; semmai sono quelle che si credono tali sulla carta a non esserlo davvero quando s'affidano a stregoni, santoni, raccomandati e incapaci).

Scommettiamo che alla vigilia di Verona-Como, penultima di campionato al Bentegodi, Sean dirà quattro parole, e cioè "Io sono di Varese"?

Andrea Confalonieri


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