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Basket | 12 giugno 2024, 22:52

Cantù battuta resta in Purgatorio: Ferrero, Arcieri e Reyes tornano in Serie A

Trieste batte i brianzoli 83-72 in gara 4 di finale playoff e riconquista dopo un solo anno il massimo campionato. È anche la festa di un "pezzo" di Varese: di un capitano ancora utile, di un gm che ha vinto ogni scelta e di un talento fragile ma abbacinante

Cantù battuta resta in Purgatorio: Ferrero, Arcieri e Reyes tornano in Serie A

Quattordici perse, quinto posto in griglia, mesi di polemiche, accuse di scarsa competitività e un fastidio popolare che trovava radici profonde nella retrocessione 2022/2023, mai digerita e anzi diventata cartina tornasole per giudicare ogni piccolo o grande inciampo della stagione successiva.

Nessuno o quasi aveva il coraggio di sognare la Serie A due mesi fa a Trieste. Eppure la Serie A è arrivata per davvero: dopo i due blitz di Desio, dopo il sussulto ospite e le occasioni perse in gara 3, dopo aver rivisto attraversare, ricacciandoli indietro, i fantasmi del pessimismo e della paura, questa sera i giuliani hanno battuto Cantù (83-72 il punteggio finale) chiudendo 3-1 la serie decisiva.

Una sola sconfitta a conti fatti, dopo le zero in semifinale contro Forlì, e le zero ai quarti contro Torino, in un percorso netto di nove partite se si conta anche la vittoria a Rieti nella giornata conclusiva della fase a orologio. La rinascita ha del clamoroso: non si ricordano tante squadre capaci, nel girone dantesco che è la seconda serie, di cambiare completamente volto in un solo mese alla propria stagione.

Festeggia Trieste, ma è contenta anche la Varese che non rinuncia a salutare con un sorriso e con gratitudine il proprio passato: in serie A ritornano anche Michael Arcieri, Giancarlo Ferrero e Justin Reyes (e, per completezza di citazione, pure Michele Ruzzier, fantastico e profeta in patria in queste finali).

Il cuore batte soprattutto per i primi tre, per Ferrero e Arcieri in particolare. Il capitano, costretto all’addio della sua “casa” sotto al Sacro Monte, ha accettato la scommessa triestina e l’ha vinta, magari non sempre da protagonista sul campo (che prova, però, comprensiva anche di un “gioco da 4” alla Danilovic, in gara 3…) ma facendo in modo egregio quello che avrebbe continuato a fare altrettanto bene anche a Varese: il collante, l’uomo spogliatoio, il soldato in missione pronto alla bisogna. E quanto ce ne sarebbe stato bisogno... Veni, vidi, vici, in un finale di carriera (se Trieste gli chiederà di restare, nel suo curriculum ci sarà un altro anno, altrimenti è finita qui) meritatamente dolce come il miele.

E poi il gm, anzi di più, l’uomo solo al comando di una proprietà (americana) presente ma lontana. Questo è stato Arcieri: un parafulmine per qualsiasi temporale, il responsabile delle scelte di ogni tipo, soprattutto tecniche e quindi dei risultati, il comandante di una nave che le onde le ha sentite infrangersi tutte sulla propria tartassata chiglia. Colpa anche di una “lost in translation” nelle dichiarazioni (non sue) di inizio stagione che ha fatto pensare all’intero ambiente che ci fosse una sorta di comandamento religioso che imponeva di risalire subito e per una strada completamente dritta: non era così, non poteva essere così nell’inferno dell’A2. Eppure il newyorkese ha dovuto convivere con questa aspettativa per 9 mesi, parando ogni colpo e, in sintesi, azzeccando ogni decisione: quella di puntare su un parco di giocatori italiani esperti (gli stessi Ferrero e Ruzzier, poi Filloy, Candussi e Campogrande) che - alla fine - la loro esperienza l’hanno fatta valere sul serio e con gli interessi; quella di prendere e poi difendere il carneade (almeno in Italia) Jamion Christian, aspettando e poi ottenendo i frutti di un lavoro e di un personaggio davvero particolare; e quella di puntare su un talento smisurato ma pieno di problemi fisici come Reyes, accudendolo come un figlio anche davanti all’ennesimo infortunio: attendere il portoricano è stato un esercizio quasi crudele, costato sconfitte e critiche, ma l’ala ex Varese nei playoff è tornato il cigno meraviglioso e immarcabile che anche Masnago ricorda con affetto.

Un miracolo? Per come si erano messe le cose nel Nordest opteremmo per un sì: riprendere l’ascensore per la massima serie solo un anno dopo essere caduti dal burrone del massimo campionato lo è di per sé, chiedere a Cantù (ma anche a Torino, alla Fortitudo Bologna e a Verona, per referenze…).

Un passo sotto ai miracoli ci sono le imprese impossibili, se vogliamo dei miracoli mancati per un nonnulla. E allora applausi convinti anche ad Attilio Caja, che domenica sera ha dovuto cedere l’onore della armi alla ricca e sfondata (nello stile) Trapani, vincente in sintesi 3-1 sulla sua Effe.

Nel caso di specie la finale playoff raggiunta è un traguardo da far strabuzzare gli occhi: l’Artiglio ha sfiorato la promozione con una squadra “normale”, infarcita (al netto di Aradori) di italiani giovani o di categoria (e ad alcuni facciamo un complimento con questa definizione), corredati di uno straniero modesto ma grintoso (Freeman) e di un connazionale con un po’ più di talento ma sfortunato (Ogden). Il maestro di Pavia li ha presi, li ha messi insieme e, al solito, con la forza degli allenamenti, dell’autentico magistero del basket, dei concetti inculcati una ripetizione dopo l’altra, li ha trasformati - come fatto tante volte con Varese - in una truppa da assalto, povera ma ordinata in attacco e famelica in difesa. E le partite, si sa, si vincono dietro, da che mondo e mondo… 

Resta un rammarico: capire come sarebbe andata a finire contro Trapani ad armi (quasi eh) pari, ovvero senza gli infortuni che hanno tolto di mezzo Aradori e reso pressoché inutile Ogden: forse oggi staremmo scrivendo di un altro ex varesino in Serie A…

La quale, invece, accoglierà Valerio Antonini e i suoi Sharks, in quello che ancora non si è capito se sarà un avvento capace di terremotare l’intero basket italiano o, in alternativa, un fenomeno dai tratti boccaceschi destinato a scoppiare presto, non prima tuttavia di aver riempito le pagine dei giornali con altre righe che di basket sanno ben poco.

Dal canto suo Attilio Caja ha già lasciato la Effe: destinazione Cantù, dicono i ben informati. Noi, in attesa dei fatti, ci ricordiamo di una promessa e all’Artiglio sulla panchina dei brianzoli non crediamo finché non lo vediamo davvero…

Fabio Gandini


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