«Creola, dalla bruna aureola, per pietà sorridimi, che l’amor m’assal…», la signora Bice canticchia il ritornello di una delle più famose e licenziose canzoni degli anni venti, scritta dal torinese Luigi Miaglia in arte Ripp insieme a Bel Ami, il toscano Anacleto Francini, e portata al successo dalla leggendaria Isa Bluette. La signora Bice le sa tutte, da giovane frequentava il Politeama di Como e non si perdeva un’operetta, ora è una delle mie più accanite fan alla casa di riposo “La Residenza” di Malnate, dove sono ospite per un ciclo di incontri sulla storia della canzone italiana. Di proprietà svizzera, la casa ha uno splendido parco e, grazie alla bravura e lungimiranza della direttrice, Antonella De Micheli, e di Claudio Carrara, responsabile dell’animazione, gli ospiti possono godere di tutta una serie di intrattenimenti con attori qualificati.
Dopo una serie di quattro incontri sull’operetta, adesso è la volta della canzone, e il mio pubblico è già in sala, attento e assertivo come sempre, affiorano i ricordi e le canzoni contribuiscono ad alimentarli, presenti da sempre nell’immaginario collettivo.
“La Residenza” non somiglia per niente all’idea che dall’esterno ci si fa di una struttura di accoglienza per gli anziani, quella di un luogo un po’ triste e spento. Nulla di tutto questo, un bel parco, pochi rumori, pulizia assoluta, gentilezza in ogni reparto, e poi le signore e i signori che dopo la merenda sciamano verso il salone dove si ascoltano musica e letture ad alta voce, si vedono film e si chiacchiera di cultura. C’è un’aria allegra, dinamica.
«Per la Residenza è un onore e un piacere averla con noi», mi dice la direttrice De Micheli, «è riuscito a suscitare nei nostri ospiti un interesse attivo e partecipe, per cui pensiamo di continuare la collaborazione. Questo tipo di incontri sono importanti nelle Rsa e nelle case anziani perché danno modo agli ospiti di essere partecipi, e coinvolti in iniziative che è molto difficile trovare fuori». Un bel punto per la mia autostima.
Intanto il pubblico della canzone sta riempiendo la sala, ma prima di cominciare faccio un po’ il Mike Bongiorno e chiedo pareri, sperando in critiche positive.
«Questi incontri sono davvero interessanti», dice la signora Rosanna Ronchi, milanese, ospite della “Residenza” da due anni e mezzo e felice di esserci. «Mi piace molto il parco e poi non ci si annoia. A Milano seguivo i concerti, amo la musica sinfonica e andavo spesso alla Scala». Ecco che arrivano gli habitué ma anche qualche new entry, perché la musica bene o male piace a tutti.
Intervisto il signor Gisberto Michelotti, nativo di Marginone in provincia di Lucca. Lui sì che può dir la sua dal punto di vista musicale, perché ha suonato per anni la fisarmonica, anche se non per professione. «Sono un fisarmonicista in disuso», esordisce con lepidezza toscana, «lo strumento ce l’ho in camera e non è detto che prima o poi lo riprenda. A Milano suonavo in un’orchestrina, al Polverone, in un locale della Stazione Centrale adibito a dancing. Andavamo di liscio, “Romagna mia” era la canzone più gettonata. Poi scrivevo musica per l’Orchestra Bagutti, che girava l’Emilia, ogni tanto mi arrivava qualche soldino di “diritti d’autore”». In realtà Gisberto ha fatto per una vita il ristoratore, è stato proprietario fino al 1992 del “Vecchio Convento” di Bizzozero, allevando i due cuochi che poi gli sono subentrati, oltre che presidente dell’Associazione Ristoratori di Varese.
Compunto e serissimo, il signor Giovanni Radman siede sempre nell’ultima fila, ma non si perde una sillaba e interviene spesso con domande molto argute: «Mi piace seguire questi incontri, sono digiuno di musica ma amo la storia, ciò che rappresenta una canzone, il suo significato sociale». All’ala sinistra della sala siedono invece quattro agguerrite signore, lo “zoccolo duro” dei miei fan. Attente, canticchiano sottovoce, commentano le voci dei cantanti, la loro è una critica consapevole e sincera.
Ecco la signora Bice Luraschi, la capo claque: «Questi sono pomeriggi istruttivi e la musica apre il cuore a tutti. A Como seguivo le operette, le ho viste tutte, ma ogni tanto andavo al Teatro Sociale a sentire l’opera, però dovevo portarmi il libretto, altrimenti capivo poco la trama. Qui alla Residenza non mancano gli appuntamenti culturali, abbiamo parecchia scelta».
Incomincia la “lezione”, passano titoli leggendari, “Vipera”, “Il tango delle capinere”, “Addio tabarin”, “Lucciole vagabonde”, hit degli anni ruggenti che quasi tutto il pubblico conosce, non vola una mosca mentre dal grammofono Columbia del 1911 escono le voci di Daniele Serra, Gabrè, Leo Silva, Ines Talamo, si rivive un’epoca, come in precedenza era capitato per il canto di Napoli, del café chantant o di quello tragico della Grande Guerra. Parte il primo disco e con esso la memoria si accende e la magia accade, in sala parte un coro «Come pioveva, coma pioveva…», e si torna in un altro mondo, fatto di semplici amori e vite perdute, qualcuno ha gli occhi lucidi. L’incontro è terminato, e mentre smonto il grammofono e ripongo i 78 giri, una signora nell’accomiatarsi mi dice: «La musica è migliore di qualsiasi medicina!». Il mio scopo è raggiunto e ne sono felice.