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Calcio | 29 ottobre 2023, 10:48

Terlizzi: «Si potrebbe scrivere un libro sull'anno della finale con la Samp. Una partita nata storta a Marassi, tra sfortuna e destino...»

Parla dopo anni uno dei protagonisti di una stagione indimenticabile: «Varese bellissima, la aspetto in categorie che merita. Mi piacerebbe giocare un'amichevole insieme ai miei biancorossi di allora. Il rapporto con Maran? Buono anche se qualche volta ci ho discusso. Ai ragazzi dico di giocare al pallone per divertirsi, non per far divertire i propri genitori. Un mister per sempre? Mihajlovic perché esaltava il gruppo»

La traversa colpita da Neto sotto gli occhi di Terlizzi, con la maglia numero 88, nella finale di ritorno per la serie A persa contro la Sampdoria (foto Ezio Macchi)

La traversa colpita da Neto sotto gli occhi di Terlizzi, con la maglia numero 88, nella finale di ritorno per la serie A persa contro la Sampdoria (foto Ezio Macchi)

«Si potrebbe scrivere un libro di quanto è accaduto. Se Neto avesse segnato invece di vedere quel pallone stampato sulla traversa o se Plasmati alla fine davanti al portiere l'avesse messa dentro… Che sfortuna. E poi… poi questo è il destino e questo è il calcio»: Christian Terlizzi, protagonista assoluto della stagione che ha portato il Varese a sfiorare la serie A in finale con la Samp, parla di quell'anno e di quei biancorossi come sa fare lui, senza alcuna ipocrisia. «Varese è bellissima: al Franco Ossola ha iniziato a prendere confidenza con il pallone il mio primo figlio Federico sotto gli occhi di Caccianiga, un grande che con i bambini. Avevo due anni di contratto e sarei rimasto, ma la società decise diversamente» dice ancora Christian in un'intervista che fa tornare "bambini" nel rileggere ciò di cui è stato capace il Varese e che, se non dovrebbe essere la normalità, è sicuramente lontano anni luce dall'attualità

Christian Terlizzi nasce a Roma 22 novembre 1979 e inizia la sua carriera da difensore nella Lodigiani. Dopo l’infortunio al ginocchio a soli 17 anni, gioca alcuni campionati in serie D, per poi passare al Teramo in C2 e al Cesena (2003-2003). Dalla Romagna arriva in Sicilia e al Palermo dove vince il campionato di serie B: nel settembre 2004 esordisce in A contro la Fiorentina. Nel 2006 va in Liguria, sponda Sampdoria, l’anno successivo ritorna in Sicilia ma nel Catania. Arriva al Varese nel campionato 2011/2012 - quello della finale con la Samp - per poi giocare a Pescara, Siena e Trapani nel 2017/2018. In nazionale fa il suo esordio nell'amichevole giocata a Livorno con la Croazia. Terminata la carriera da calciatore, inizia quella di allenatore nelle giovanili della Lazio, attualmente è allenatore della Roma Under 13.

Ha giocato in diverse squadre importanti: con quale mister ha avuto un rapporto speciale?
Ogni allenatore ha le sue caratteristiche e i suoi metodi. Con tutti mi sono trovato bene e tutti mi hanno trasmetto esperienza e mestiere. Se proprio devo fare un nome cito Sinisa Mihajlovic, che mi ha allenato quando ero a Catania. Era un uomo corretto, onesto, un motivatore: sapeva essere duro ma, nello stesso tempo, simpatico ed affabile. Sapeva trasmettere allo spogliatoio l'atteggiamento giusto. È arrivato con la squadra ultima in classifica ed in poche settimane ci ha trasmesso il giusto atteggiamento mentale, tanto che andammo a vincere a Torino contro la Juventus, a Milano contro l’Inter e a pareggiare a San Siro con il Milan. Sinisa era un uomo che esaltava il gruppo e non il singolo calciatore.

Ricordi di Varese?
Bellissimi. Sia io che mia moglie ci siamo trovati molto bene, infatti nella Città Giardino è nato anche il mio secondo figlio Edoardo. Ho ancora contatti con amici varesini e con alcuni compagni di quella stagione incredibile come Figliomeni, Grillo, Pucino, Bressan e Plasmati. Sinceramente avevo un contratto biennale e sarei rimasto molto volentieri anche il secondo anno, ma per motivi economici della società mi hanno trasferito a Pescara. Tornando al Franco Ossola, lì ha iniziato a prendere confidenza con il pallone il mio primo figlio Federico, con l’attenta e scrupolosa scuola di Caccianiga, un grande che con i bambini esprime qualcosa davvero di speciale.

Come è arrivato a giocare con la maglia biancorossa?
Grazie a Mauro Milanese. La società era alla ricerca di un difensore centrale esperto e Milanese è entrato in contatto con l’amico Giuseppe Mascara. Mi era piaciuto il progetto, la società voleva costruire una squadra forte per essere nei primi posti in serie B: conservo un ricordo bello di quel campionato, si potrebbe scrivere un libro di quanto è accaduto.

C'è rammarico per la finale con la Sampdoria?
Spesso ne parlo con Bressan e lo facciamo con grande rammarico. È una finale nata tutta storta, sia all’andata a Marassi che al Franco Ossola. A Genova siamo arrivati tardi allo stadio e non abbiamo avuto modo di prepararci a dovere negli spogliatoi. Io ho fatto per poco tempo i massaggi e, nella fase di riscaldamento, quando ero già sul terreno di gioco, ho avuto una lesione al tendine e non ho potuto giocare. Mettici anche la gara condizionata da decisioni arbitrali, ed è finita cosi...Ho sofferto molto per non aver potuto dare il mio contributo ai compagni in una partita super importante.
Poi c'è stato il ritorno, altra pagina di quel libro: ho cercato di recuperare dall'infortunio, andando per una settimana in un centro specializzato a Milano perché volevo esserci. Ma si infortuna Grillo… e se Neto non avesse preso la traversa o se Plasmati avesse segnato davanti al portiere prima del gol della Samp… Che sfortuna. E poi… poi questo è il destino e questo è il calcio.

Il rapporto con mister Maran?
Buono, ha creato un bel rapporto con il gruppo contribuendo a integrare le potenzialità dei singoli per fare uscire la forza del gruppo. Qualche volta, sinceramente, ho avuto qualche discussione con lui, anche se alla luce degli eventi aveva ragione, come quella volta a Verona nella stagione regolare quando ho lasciato la difesa per lanciarmi avanti a dare un aiuto ai compagni. Perdevamo tre a zero... Si è molto arrabbiato, però aveva ragione.

Oggi allena le giovanili della Roma: cosa consigli ai ragazzi che iniziano a giocare a calcio?
Allenare il settore giovanile mi affascina e mi stimola molto. Ai ragazzi dico di giocare al pallone per divertirsi loro, non per far divertire i genitori. Giusto coltivare il sogno di diventare professionisti, ma non è la priorità. La priorità è imparare a crescere nel gruppo, condividere emozioni, imparare e applicarsi per raggiungere il proprio obiettivo, non tralasciando lo studio. Questo è quanto ripeto spesso anche ai miei figli che giocano nel settore giovanile della Roma.

Vuole aggiungere qualcosa?
Salutare i varesini e i tifosi biancorossi, augurando loro di rivedere presto la loro squadra in una categoria consona alla tradizione calcistica della società. Mi piacerebbe fare una rimpatriata con tutti i miei ex compagni di squadra di allora per fare una bella partita insieme. Da quando ho smesso non ho più giocato a pallone, potrebbe essere l’occasione per un nuovo... esordio in una bella amichevole tutti insieme. 

Claudio Ferretti


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