Nelle notti buie, quelle in cui non si può fare altro che sentirsi soli, tutto viene messo in dubbio e si rimescolano le certezze. Si cerca una luce, la più pallida e la più fioca: la si cerca per avere qualcosa a cui aggrapparsi, una speranza, un’idea di salvezza. Quando la si trova, non la si abbandona più. Ci si aggrappa con ogni nervo e con ogni muscolo, la si segue ciecamente senza farsi domande.
Giovedì è stato uno dei giorni più neri nella storia dello sport varesino. L’apocalisse abbattutasi sulla Pallacanestro Varese ha colpito improvvisa e spietata trasformando in incubo il sogno, in morte la vita, in lacrime i sorrisi. Buio. Solitudine. E necessità vitale di sentire una voce amica, di trovare una mano tesa, di vedere una luce là in fondo al nero. E la luce è arrivata, a tarda sera: improvvisa ma nitida, inattesa ma bellissima. Ad accenderla è stato un gruppo di ragazzi sul ghiaccio di Caldaro, un gruppo di “fioeu de l’uratori” (perché sono come noi, perché sono fatti delle nostre stesse idee, perché gli si vuol bene istintivamente) che ha compiuto un’impresa memorabile. Soffrendo. Piangendo. Menando quando serviva. Vincendo. Tutto per tornare qui, stasera. Tutto per regalarsi e regalare un altro capitolo - l’ultimo, comunque andrà - di una stagione indimenticabile. Qui. A Varese. Perché ogni cosa finisca là dove era iniziata.
Vincendo a Caldaro i Mastini hanno fatto tante cose in una. Hanno portato la serie a Gara 7, certo. Ma allo stesso tempo hanno dato un altro giro al nodo sempre più stretto e sempre più saldo che lega squadra e città, hockey e città. Ma allo stesso tempo hanno scritto una pagina di umanità unica e inaspettata. Ma allo stesso tempo hanno dato voce all’onda giallonera, 200 tifosi arrivati in un giorno infrasettimanale e la gente di Caldaro è ancora lì a bocca aperta a chiedersi da dove diavolo arrivino. Ma allo stesso tempo ci hanno costretti a litigarci un biglietto per un palaghiaccio diventato d’un tratto troppo piccolo, e forse lo è davvero, con una tecnologia che ha tolto la poesia delle ore in fila davanti a una biglietteria ma non ha ucciso la bellezza dell’attesa.
E soprattutto, per noi che siamo cresciuti a pane e pallacanestro, hanno acceso quella luce in una notte buia e maledetta. Il giorno in cui quest’incubo finirà - e finirà, quant’è vero Iddio, finirà - ci ricorderemo di chi ci ha fatto sorridere quando avevamo finito le lacrime: ce lo ricorderemo, e non ce lo dimenticheremo più.
E stasera? Forse vincerà il Caldaro, che ha dimostrato di avere un “qualcosa in più” nelle gambe e nell’esperienza. Forse vincerà Varese, che ha urlato “NO” in faccia a chi ormai era certo di avere vinto. Di certo, qualunque cosa succederà, succederà a casa nostra. Di certo, gli Indimenticabili di Devèze si saranno conquistati un posto d’onore tra i grandi dello sport di questa città (e a Varese, dove di grandi ce ne sono stati tanti, non è facile).
Di certo, noi abbiamo in testa un momento. Stasera, sul tardi. Quando tutto sarà finito e l’ultimo grido affievolito, quando le tribune saranno vuote e il ghiaccio sarà tornato a essere freddo. Quando nel silenzio si spegneranno le luci del palaghiaccio eppure non sarà buio completo: perché ci sarà una luce che resterà accesa, comunque accesa, sempre accesa. L’avete accesa voi. E non la spegnerà più nessuno. Grazie.