Pesaro, prossima avversaria sabato sera della Openjobmetis Varese, ha ingaggiato la talentuosa ala Austin Daye per rimediare alle mancanze causate dagli infortuni, recenti e precedenti.
A lanciare un grido d’allarme il coach dei marchigiani, l’esperto (anche nel parlare a nuora - la stampa - affinché suocera - la società - intenda) Jasmin Repesa: «Dobbiamo andare sul mercato», ha continuato a ripetere per circa un mese. Accontentato. Con un cavallo di ritorno non di poco valore, al netto della parentesi in pre-pensionamento a Taiwan degli ultimi mesi. La buona notizia (per Varese, non per la Vuelle) è che, salvo miracoli nella giornata di domani, il tesseramento di Daye non arriverà in tempo utile da permettere al giocatore di essere in campo a Masnago.
Le rivoluzioni di Scafati e Reggio Emilia
Questi i fatti, a corroborare un dato e a suggerire una riflessione: Varese è rimasta una delle tre sole società partecipanti al campionato di Serie A 2022/2023 a non aver fatto ricorso al mercato “di riparazione”, quello che si “gioca” durante la stagione. Non ha effettuato mosse, né in entrata, né in uscita.
La compagnia è quella di Tortona, ben felice di un roster che le ha finora garantito il terzo posto solitario in classifica, e la Dolomiti Energia Trentino, oggi a 22 punti in graduatoria, gli stessi dei biancorossi.
All’elenco potrebbe appartenere anche la Virtus Bologna, che però ha operato un movimento in uscita, quello che ha riportato i servigi di Michele Ruzzier a Trieste. Il resto delle squadre ha invece visto almeno un’aggiunta e almeno un’esclusione da inizio ottobre a oggi: si va dalle rivoluzioni di Scafati (6 arrivi e 5 partenze, compreso il valzer che ha coinvolto tre allenatori) e Reggio Emilia (5 e 4), agli 8 movimenti di Napoli, ai 7 di Verona, ai 5 di Venezia e Treviso, ai 4 di Milano e Trieste, ai 3 di Brescia e ai 2 di Pesaro, Brindisi e Sassari.
Gli stravolgimenti del 2007/2008 e le fughe dello scorso anno
Certo: il valore e l’unicità di una scelta ben si comprendono nel confronto con il mondo esterno. Nel caso di specie prealpino, tuttavia, è il paragone con la propria storia recente a significare in maniera più netta e chiara l’inversione a U nelle strategie societarie e la strada virtuosa intrapresa attualmente.
Statistica vuole infatti che dalla stagione 1998/1999, quella della Stella, Varese abbia compiuto la bellezza di 138 movimenti di mercato intra-annuale: 71 tra giocatori e allenatori acquistati durante l’anno e 67 ceduti. In 23 stagioni. La media fa 6 movimenti a campionato, 3,1 in aggiunta e 2,9 in cessione.
Infortuni, litigi, fughe improvvise, insoddisfazione per il rendimento, volontà di fare un passo in avanti nella competitività del prodotto: i motivi per cambiare possono essere tanti. E sotto al Sacro Monte li abbiamo sperimentati tutti.
Il record di stravolgimenti appartiene alla stagione 2007/2008, quella che si è conclusa (chissà perché…) con la retrocessione in Serie A2: 6 entrate e 7 uscite, tra cui il cambio tra Veljko Mrsic e Valerio Bianchini in panchina. Non ci siamo fatti mancare nulla nemmeno lo scorso anno, con 5 entrate e 7 uscite, un quintetto base diventato storia già a gennaio, tre coach diversi avvicendati sul “pino” e addirittura un turnover tra general manager, con l’addio di Andrea Conti e l’arrivo di Michael Arcieri.
Anche qui: non è stato un caso che l’era Luis Scola - che si annuncia totalmente diversa - sia iniziata con tale trambusto. In fondo lo dicevano anche i latini: si vis pacem, para bellum (se vuoi la pace, preparati alla guerra).
Solo una volta, in 23 stagioni, il massimo club cestistico cittadino non ha fatto ricorso al mercato alla stregua odierna: nel 2006/2007. L’anno prima - 2005/2006 - zero entrate e una sola uscita, quella di Pierfilippo Rossi.
Non immuni dai mutamenti in corsa sono state anche le versioni migliori della Pallacanestro Varese, non solo quelle peggiori. Hanno cambiato gli Indimenticabili (dentro Dejan Ivanov per i playoff), hanno fatto e disfatto le squadre comandate da Attilio Caja - sia quelle risorte (vedi campionato 2017/2018), che quelle partite subito bene (vedi 2018/2019 e 2019/2020), con la scusante di un mercato estivo spesso condotto al risparmio - hanno visto “sostituzioni” quelle di Carlo Recalcati e tante turbolenze quelle dell’era Castiglioni, soprattutto nelle guide tecniche.
138 movimenti in 23 anni: i numeri parlano chiaro.
Pronti a sostituire Reyes. Anzi no
Perché la prima, vera, Varese dell’era Scola si sta comportando diversamente? Eppure le occasioni non sono mancate: l’infortunio di Justin Reyes è lì a dimostrarlo. A dicembre, davanti al responso dei medici sulla prognosi dell’infortunio accaduto al portoricano, il consiglio di amministrazione aveva dato il via libera a un’aggiunta, con Michael Arcieri come sempre pronto a “operare”: è stato Luis Scola a decidere per un “no” definitivo, anche per non turbare l’armonia creatasi nel gruppo.
Con l’argentino al potere la volontà è di non fare mai più il passo più lungo della gamba, anche là dove esso fosse espressione di generosità e sacrificio (del consorzio Varese nel Cuore ma non solo) come tante volte è capitato in questi lustri. Un esempio su tutti? L’arrivo di Dominique Johnson nel 2017. Ora c’è l'intenzione di calibrare ogni spesa, di tutelare le proprie scelte e la propria filosofia, di tracciare strade chiare e difenderle con fermezza il più possibile, all'interno e soprattutto all'esterno.
Buoni propositi che sarebbero però inattuabili senza altri fattori concomitanti. Il primo: la bontà del mercato estivo. Se azzecchi le mosse tra maggio e agosto, non hai bisogno di correggerle. Va dato quindi gran merito al lavoro di Arcieri, capace di trovare - con un budget fra gli ultimi della Serie A - giocatori talentuosi, adatti al sistema e in grado di rendere Varese competitiva. Il manager italo-americano non ne ha sbagliata una, persino Tariq Owens - dubbio perdurante della primissima parte di annata sportiva - è arrivato a convincere. Si può discutere di gioco, di difesa, del bisogno (o meno) di un “quattro” più fisico al posto di (o in aggiunta a) Reyes: la verità, però, è che quanto fatto nell’estate 2022 ha avuto un senso. Dall’inizio alla fine.
E non era mai successo, recentemente.
Il secondo: la messa a disposizione totale dello staff tecnico nei confronti del management. Il mercato lo fanno non solo le sventure, ma anche e soprattutto i “desiderata” e la pressione degli allenatori. Matt Brase è diverso: lui allena, in una logica molto americana del ruolo. Non si lamenta, va avanti, sposa la causa, costruisce. Sono tutti dei gran meriti, da aggiungere ai risultati sul campo da lui e dai suoi uomini finora ottenuti.
Così un ex “porto di mare” - spesso per necessità - è diventato un approdo sicuro e definitivo, una società ancora più attenta ai conti (il mercato di riparazione spesso, ma non sempre, è un salasso) e un’entità convinta di quello che fa.
Un passo in avanti, ancora più importante e positivo delle vittorie che Ferrero e soci stanno conquistando sul campo.













