Bologna, ottobre 1959. George sta camminando lungo via dell’Indipendenza, sfiorando una dopo l’altra le vetrine sotto ai portici. Non è solo: con lui i compagni della facoltà di Medicina dell’Alma Mater Studiorum. Hanno trascorso gran parte della giornata sui libri, perché le lezioni inizieranno a breve, ma hanno anche convenuto, a un certo punto, che uno study break (lui lo avrebbe chiamato proprio così) avrebbe fatto certamente più bene che male. Lo stesso un bel caffè, da consumare in centro.
Arrivano all’incrocio con via Milazzo, dove il passo incontra il cinema Capitol e pure un bar, che allora si chiamava Bar Pincio. Si fermano, per lasciar sfilare una macchina. George abbassa per un attimo la testa e poi la rialza: nel suo radar, dietro a una vetrina, compare la fisionomia di una ragazza. Una bella ragazza. Una gran bella ragazza.
«Hey guys, andiamo in quel bar a prendere il caffé…».
Ecco: i tifosi della Pallacanestro Varese sappiano che il fenomenale primo passo di Ross, l’esperienza e la classe di Brown, il talento di Johnson, lo straordinario controllo del corpo di Reyes e il canto libero cestistico di coach Matt Brase, tutta la magia della nuova Varese insomma, oggi non sarebbero esistiti se George non avesse alzato la testa proprio nel momento giusto. E non avesse visto Elena.
Ma non bisogna ringraziare nemmeno solo lui, a pensarci bene. Nell’elenco entrano di diritto - tra gli altri - anche zio Aristide detto "Cicci", Santella, i boschi punteggiati di case dell’Anconella, la gastronomia Tamburini vicino a piazza Maggiore e, ebbene sì, anche la Fortitudo…
Nella vita di Michael Arcieri, Bologna è stata il fatum, il destino dei latini, irrevocabile e divino, cui nessuno può sottrarsi. È stata l’uscita maestra dalle sliding doors che l'esistenza ha messo sul cammino suo e della sua famiglia, l’incontro sempre inaspettato ma ricorrente, il the place to be in cui tutto accade.
Per questo il big match di domani tra Varese e Virtus non sarà una partita normale per lui: lo racconta perfettamente questa storia piena di “if” tra Italia e America, tra basket e amore, tra discese e risalite.
Un lungo corteggiamento
La famiglia Arcieri è originaria di Tito, un paesino a pochi chilometri da Potenza, in Basilicata. Da qui, nel 1901, Michele - bisnonno di Mike - è partito seguendo quello che più che un American Dream aveva l’aria di essere, come per tanti italiani di quel tempo, l’unica carta del mazzo per ottenere un futuro migliore. Classica trafila paisà: nave, arrivo a Ellis Island, tappa a Little Italy, NYC, e poi - nel caso di specie - rotta verso il Connecticut, per raggiungere altri parenti lì già dimorati.
George, suo nipote, qualche decennio dopo nasce però nella Grande Mela, precisamente ad Astoria, nel Queens. La famiglia lo fa studiare prima all’università a La Salle, vicino a Philadelphia, poi alla St. John’s University, praticamente a casa, ancora nel Queens. Il suo sogno è diventare medico e l’opportunità di qualche anno di studio e approfondimento all’estero è di quelle da non farsi scappare: oggi lo chiameremmo Erasmus, allora era semplicemente un gran bel viaggio, pratica d’altronde scritta nel DNA Arcieri. Il ragazzo acquista un biglietto per la USS Costitution, salpa dal fiume Hudson e, dopo dieci giorni di navigazione, arriva a Genova. Non è l’ultima tappa: da lì ecco il treno per Bologna. L’Università di Bologna, per la precisione, facoltà medicina. È il 3 settembre 1959.
Un mese dopo arriva l’incontro fatale. Elena Gamberini è la quinta figlia di Aldo Gamberini, bolognese doc, prima commerciante di vini ed in seguito proprietario del Bar Pincio, una guerra alle spalle trascorsa in sella alla bicicletta, mezzo necessario a coprire i 22 km che ci sono tra il centro e i colli, con il cuore in gola ogni santo giorno e la speranza che le bombe cadano lontano dai suoi pedali.
Elena, da brava figlia minore, dà una mano ed è per questo che George la trova lì, in quella vetrina. Lo studente americano inizia un corteggiamento romantico e lento, molto lento, talmente lento che per due anni non le rivolge quasi la parola. Da principio diventa amico di Ermanno, Cesare, Aristide e Anna, i fratelli di Elena, poi, trovato il coraggio, si fa avanti. Il primo appuntamento è al Teatro Comunale, per un concerto di Beethoven.
L’unione è in mente dei e il disegno non viene spezzato nemmeno dal ritorno in America di George per finire gli studi al New York Medical College: il 16 aprile 1963 i due si sposano nella chiesa di San Benedetto, a qualche centinaio di metri dal luogo del loro primo incontro. Poi si trasferiscono definitivamente dall’altra parte dell’Oceano, sempre a New York, sempre nel Queens, dove nel 1964, il 27 ottobre, viene alla luce Michael, seguito da Thomas, Jerry, Nancy, Kathleen e Aldo, chiamato così in memoria del nonno materno.
La beffa degli oriundi
Chiudiamo la prima porta bolognese. Per aprirne subito un’altra. È il 1988. Michael Arcieri, ottenuto un bachelor's degree in Inglese alla Wesleyan University di Middletown (Connecticut), college che nel basket è affiliato alla Division III, vuole tentare la carriera da giocatore. La NBA pare un sogno ancora troppo grande per lui, mentre l’Europa, soprattutto quell’Italia che pare voler riabbracciare gli oriundi, sembra una strada molto più praticabile e fruttifera.
Mike è un play-guardia, buona mano, ottima visione di gioco: il talento c’è, il fisico meno. Ma quel secondo passaporto, ottenuto in una sola settimana, può essere un passpartout overseas. L’agente lo convoca a Lugano, lui ci arriva l’8 novembre 1988, nel giorno in cui il repubblicano George H. W. Bush sconfigge il democratico Michael Dukakis e diventa il 41° presidente della storia degli Stati Uniti. Per qualche tempo si stabilisce all’hotel Pestalozzi, andando ogni mattina a correre in riva al lago alle 6 per tenersi in forma, finché il provino per un team italiano fa capolino: a chiamarlo è la Fortitudo Bologna.
Due settimane, due amichevoli, abbastanza per fare un’ottima impressione in una squadra che in campo gode delle giocate di Artis Gilmore e di Gene Banks, mentre in panchina è guidata con piglio da Mauro Di Vincenzo. Giancarlo Sarti, il general manager della Effe, decide che Michael non va lasciato scappare e lo convoca in via San Felice (l’incrocio tra via Milazzo e via dell’Indipendenza è a nemmeno 15 minuti di distanza a piedi…) con in mano un contratto. Di tre anni. C'è un però ed è anch'esso scritto nero su bianco: il matrimonio si perfezionerà solo se le FIP aprirà effettivamente le porte al tesseramento degli oriundi.
Non accadrà, né per quel campionato, né in quello successivo; Michael, di nuovo negli Usa in attesa che si sblocchi la situazione, lo apprende da una telefonata dell’agente. La seconda porta bolognese si chiude qui e in questo modo, con una maglia griffata Arimo da conservare nel cassetto.
Dove c'è NBA, c'è Michael
Il salto in avanti per ritornare nel centro dell’Emilia sarebbe di ben 23 anni: un po’ lungo per non dare almeno brevemente conto di quando accade in mezzo, anche perché il nostro è uno che di porte non solo ne trova, tante, ma le apre anche. Senza paura.
A 25 anni abbandona il sogno di giocare da professionista, ma non la passione per la palla a spicchi. Allena (gli piace da morire) una squadra di high school, poi entra nel ticketing dei New Jersey Nets, dove si fa notare da Willis Reed, mito Knicks del titolo 1970 che, attraversato l’Hudson, dei Nets è diventato gm. Per Mike c’è un posto nello scouting staff, per due anni. Un giorno, di ritorno da una missione a Parigi per osservare un giocatore, sull’aereo Arcieri incontra Father Jim, frate francescano, che gli propone di diventare il direttore di un centro che sarebbe sorto a Manhattan per aiutare i senzatetto e i poveri del quartiere. Mike risponde di sì, pensando possa essere una proficua ma breve parentesi: passano invece dodici anni e sono tra i più intensi della sua vita.
Ma il sogno NBA è ancora lì. E pulsa. Nel 2000 l’italoamericano si iscrive alla Brooklyn Law School, perché può essere una strada per ritornare nei Pro. Studia mentre lavora dai francescani, esce di casa al mattino e ritorna a notte. Nel 2004 prende la seconda laurea e diventa anche avvocato, ottenendo l’abilitazione per esercitare negli Stati del New Jersey e New York. Dal 2005 al 2012 è impiegato in uno studio legale, ma utilizza le quattro settimane di vacanza a lui concesse ogni anno per un particolare tipo di “turismo”: il tour delle Summer League, degli Showcase, dei Tournament. Dove c’è un evento o una squadra della NBA sul suolo a stelle e strisce, c’è anche Michael.
Tanta abnegazione viene premiata, perché all’inizio della stagione 2012/2013 - che a Varese è ricordata come quella degli Indimenticabili - gli Orlando Magic gli danno il benvenuto nel loro staff. Arcieri è tornato in sella, lì dove aveva sempre sognato essere.
I piani di zio "Cicci"
Estate 2013: Michael decide di meritarsi una vacanza in Italia. Due settimane, una a zonzo in Toscana, la seconda al cuore delle sue origini. Ad Anconella, frazione di Loiano, pieno Appennino Bolognese, 50 abitanti mal contati, c’è infatti ancora la casa che il nonno materno Aldo ha lasciato a mamma Elena e i suoi fratelli. Un giorno il villeggiante sente bussare alla porta. Apre ed è zio Aristide. Con dei piani bellicosi: trascorrere insieme al nipote l’intera settimana di permanenza dello stesso nel bolognese.
Il programma ideato da zio “Cicci” prevede, per l’indomani, anche una visita all’amica Santella, nel ristorante da lei gestito. Si va per pranzo: Santella non c’è, al suo posto la figlia, Beatrice, giovane studentessa di legge che - come a suo tempo Elena Gamberini - dà una mano nel locale di famiglia.
Vero che il finale della storia lo conoscete già? A differenza di papà George, il futuro gm biancorosso ci mette decisamente meno ad approcciare quella bella e interessante ragazza. «Vorresti prendere un caffè con me?», le chiede poco prima di lasciare il ristorante… Affermativo: oltre al caffè arriverà anche una passeggiata e pure il primo viaggio di Beatrice negli Stati Uniti ad Orlando in occasione del compleanno del suo nuovo fidanzato. I due si sposeranno in Italia il 4 agosto 2018, mentre Arcieri è un dirigente dei Knicks, la franchigia della sua città.
Grazie zio Aristide e grazie, ancora una volta, Bologna.
Due nascite
La Dotta, tuttavia, non ha ancora finito di direzionare il caos e stavolta la cosa inizia a riguardarci da vicino.
Inverno 2020: il Covid sta colpendo duro la Grande Mela e così anche il mondo dello sport. Tutto è fermo. Michael si confronta con la moglie ed insieme decidono di passare un po’ di tempo in Italia, proprio nella piccola Anconella, un luogo sicuro nonostante la pandemia, in modo da stare anche vicini alla famiglia di lei.
Nella primavera del 2021, arriva una bella notizia: Beatrice e Michael aspettano l’arrivo del loro primo figlio, Alexander George, che nascerà il 14 dicembre all’Ospedale Maggiore di Bologna, lo stesso in cui solo pochi anni prima aveva prestato servizio come medico lo zio Ermanno.
Ma l’avvento del piccolo Alexander George porta con sé un'altra importante nascita, quella del legame tra Luis Scola, Gersson Rosas e Michael, che ci conduce a Varese dove oggi Michael è orgoglioso GM della squadra biancorossa.
Tutto accade a Bologna, ancora una volta a Bologna.
«Che per me è il destino - chiosa Michael al termine di questa lunga e appassionante narrazione - ma è soprattutto la mia famiglia. Ci sono tanti luoghi che mi sono cari: quelli raccontati, come via Milazzo, via dell’Indipendenza e l’Anconella, ma anche San Petronio, San Pietro, la Sala Borsa e piazza Maggiore, vicino alla quale c’è un negozio storico che si chiama Tamburini, una rinomata gastronomia. Mia madre abitava proprio sopra di essa: piazza Maggiore era il suo “giardino”. Lei, mio padre, mia moglie e mio figlio Alexander George sono la mela dei miei occhi: non posso allora non essere affezionato a questa città».
The apple of my eye: in inglese, come cantava Stevie Wonder, viene anche meglio.
NELLA GALLERY (da sinistra a destra): Bologna, 2011, Elena Gamberini (madre di Michael) con i fratelli Aristide e Anna, zii del gm biancorosso; Elena Gamberini a Bologna da giovane; George Arcieri, papà di Michael, nel 1960 a Bologna; Aldo Gamberini, il nonno materno di Michael; Imelde Fantuzzi, la nonna materna; l'Anconella, frazione di Loiano sugli Appennini bolognesi: da lì viene la famiglia materna di Arcieri e lì Michael ha vissuto per qualche tempo; la chiesa dell'Anconella in cui è stato battezzato nonno Aldo e, 126 anni dopo, con la stessa acqua, il figlio di Michael, Alexander George; l'ufficio di Michael a Orlando, con un cartellone che ritrae ancora una volta il nonno; Aldo Gamberini, da giovane, sempre all’Anconella; George Arcieri mentre studia a Bologna nel 1960; una giovane Elena Gamberini.