Sarà che il modo di porsi del nuovo è parso molto diverso da quello cui, spesso, tanti cestisti con la valigia planati su queste lande ci hanno abituato.
Il menù spesso ha compreso estrema timidezza, sguardi da alieno capitato forzosamente sul suolo di un pianeta sbagliato, tre parole dette in croce per rispondere a cadauna domanda e pochissimi sorrisi.
Lo smile di Justin, invece, sgorga spesso e volentieri. Illumina. E così le sue parole: naturali, piene, felici. Quando racconta che tanti tifosi biancorossi gli hanno già scritto sui social per salutarlo, gli si illuminano gli occhi: «Qui mi hanno accolto a braccia aperte».
Sarà questo. E sarà che Michael Arcieri, l’altra faccia della novità odierna, pare uno molto attento a coniugare sempre il campo con la vita, i giocatori con le persone e il gioco con il benessere generale.
Sarà l’uno, sarà l’altro, sarà la taumaturgica vittoria contro Venezia, ma oggi, giorno uno della nuova guardia (o più ala?) della Pallacanestro Varese, Justin Reyes, al Lino Oldrini pareva tirare una bella aria. Quasi da focolare.
«Benvenuto in famiglia» è stato infatti il saluto con cui il gm italo-americano ha accolto l’atleta classe 1995, nato a New York, casa in Massachusett, triplo passaporto (americano, portoricano e dominicano) e una famiglia (quella vera) molto numerosa: 4 fratelli, 4 sorelle e 6 nipotini.
La chiamata di Varese è arrivata pochi giorni dopo la fine della sua ultima esperienza in G-League (con i Capitanes de Ciudad de México). Lui l’ha presa al volo, sbarcando per la prima volta in Europa: «Non ho avuto esitazioni - racconta - ogni aspetto dell’accordo mi pareva positivo. E questi primi giorni hanno già confermato la bontà della mia scelta: compagni e società mi hanno accolto a braccia aperte. Non vedo l’ora di far parte della famiglia».
Per portare quale contributo? Anche qui, idee chiare: «Mi adatterò alle richieste, posso giocare dal ruolo di guardia a quello di 4, dipende soprattutto dal tipo di avversario che mi trovo davanti e devo marcare in difesa. Sono in grado di allargare il campo, attaccare il canestro, essere aggressivo. Fondamentale sarà proprio la difesa, perché ci aiuterà anche a migliorare l’attacco. So che che la situazione di classifica non è delle migliori, ma sono anche sicuro che manchi molto poco al cambio di passo».
Ha scelto il numero 12 (il 21, il suo preferito, è sulle spalle sacre e intoccabili di capitan Ferrero), perché gli ricordava quello usato a Santo Domingo, in una squadra - racconta lui - «che mi piaceva molto perché faceva di tutto per vincere». Il suo giocatore preferito è Dwyane Wade, perché «poteva giocare ovunque e voleva sempre cercare di vincere: mi impressionava la sua capacità di concentrazione».
L’ultimo pensiero è per i futuri tifosi («Mi hanno già scritto in tantissimi sui social, so che c’è tanta passione qui. Purtroppo so anche che ora c’è la limitazione al 35% della capienza degli impianti, ma chi sarà costretto a stare lontano darà comunque il suo apporto: noi dovremo lottare anche per dar loro una gioia») e per il contorno in cui si aspetta di vivere: «Ho visto bellissimi paesaggi e non vedo l'ora di scoprirli. Così come di assaggiare il cibo: mi piace molto cucinare e voglio immergermi nella cultura culinaria italiana»