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Cronaca | 12 gennaio 2022, 10:19

Animatore varesino accusato di stupro, in Aula il suo racconto: «Ci siamo salutati con un bacio»

Il ventiquattrenne ai tempi dei fatti era impiegato come animatore in un villaggio turistico di Creta, dove aveva incontrato una quindicenne: «Ci stavamo conoscendo come una normale coppia, lei aveva detto di avere sedici anni e di essere già stata con ragazzi più grandi». L'accusa nei suoi confronti dopo i referti dell'ospedale greco

I fatti erano avvenuti nel 2017 a Creta (foto generica d'archivio)

I fatti erano avvenuti nel 2017 a Creta (foto generica d'archivio)

Tutto era iniziato con alcuni sguardi, chiariti nelle intenzioni da un bacio atteso da entrambi. Poi sono arrivati i messaggi sul cellulare, e poi ancora le passeggiate insieme, l’inizio di una relazione che nei sogni era già proiettata oltre le vacanze estive, verso qualcosa di serio e ipoteticamente duraturo. 

Invece finì tutto durante una notte sbagliata: «Una notte allucinante, una delle peggiori della mia vita» ha raccontato davanti ai giudici del tribunale della sua città il ragazzo varesino di ventiquattro  anni che per quei fatti, risalenti all’estate del 2017, è oggi accusato di violenza sessuale e lesioni gravissime ai danni di una ragazza, originaria della provincia di Pavia, allora quindicenne. 

Lui faceva parte, come animatore, dello staff di un villaggio turistico dell’isola di Creta, dove lei era ospite con i genitori. Il codice etico della compagnia che aveva reclutato il ragazzo vietava frequentazioni con la clientela, ma quell’inaspettato incontro aveva spinto il desiderio oltre le regole. 

«Ci vedevamo nelle pause, sempre fuori dal villaggio, per non farci notare -  ha raccontato in aula l’imputato -. Ci stavamo conoscendo, come una normale coppia, e avevamo iniziato a parlare anche di sesso. Lei aveva detto di avere sedici anni e di essere già stata con ragazzi più grandi». Si passò dalle parole ai fatti in meno di dodici ore, durante una giornata ricostruita nei minimi dettagli all’attenzione dei giudici del collegio. Prima un rapporto orale, iniziato durante la pausa pranzo e poi interrotto dal ragazzo: «Non ero a mio agio, sentivo fastidio. Ho cercato di non offenderla, di non farla sentire inadeguata». Poi, a fine serata, il rapporto completo: i due si allontanano dalla compagnia riunita in spiaggia, raggiungono un luogo appartato. 

«Ricordo di essermi fermato dopo pochi movimenti - ha aggiunto l’imputato -. Il tutto è durato meno di un minuto perché lei perdeva sangue, ma nonostante ciò avrebbe voluto continuare. Non capivo, siamo entrati in mare per pulirci e poi siamo rientrati al villaggio, anche perché lei aveva il coprifuoco. Non c’era agitazione, l’ho salutata con un bacio e sono tornato in stanza». In quella stanza di lì a poco entreranno i responsabili dello staff svegliandolo bruscamente perché la ragazza, che si era presentata davanti ai genitori con i vestiti sporchi di sangue, era stata trasportata in ospedale. Sapevano già tutto e gli comunicarono che la sua esperienza lavorativa stava per concludersi.

Da lì in poi l’odierno imputato sentirà la giovane solo per telefono. Parlerà anche con la madre della ragazza: «Non mi hanno accusato di niente, anzi, erano dispiaciute per il mio licenziamento. I problemi sono cominciati dopo alcuni mesi, quando sua madre si è rifatta viva per dirmi che la figlia aveva raccontato la verità e che ci sarebbero state delle conseguenze». 

Conseguenze in parte legate ai referti medici prodotti dall’ospedale greco dove la quindicenne fu sottoposta ad un intervento chirurgico poche ore dopo i fatti, per curare una estesa lesione vaginale. Sul punto, nel corso del dibattimento, si è espressa la ginecologa che visitò la ragazza al rientro in Italia. La dottoressa, chiamata a testimoniare, ha descritto le ferite come compatibili con un rapporto non consensuale, ma comunque non sufficienti al momento della sua visita per chiarire le dinamiche dell’accaduto. L’accertamento arrivò ben oltre le quarantotto ore successive ai fatti, inquadrate dalla testimone come arco temporale utile ad individuare i i segni di una eventuale violenza. 

In quei giorni concitati la madre della giovane aveva già parlato di stupro, secondo la versione di un membro dell’equipaggio sanitario che soccorse la ragazza al resort; non andò così per i testimoni della difesa (tra cui il rappresentante legale della compagnia turistica e alcuni colleghi animatori), i quali in aula hanno parlato di “clima sereno” e di confidenze riguardanti un rapporto sessuale consenziente. 

“Dimostrami che non sei una bambina” avrebbe detto l’animatore quella sera, lanciando alla quindicenne la provocazione per andare oltre. «Una frase che non ho mai pronunciato» ha precisato invece il ragazzo, smentendo così le parole raccolte da due terapeute a colloquio con la persona offesa, descritta dalle professioniste, a loro volta sentite in qualità di testimoni, come una ragazza interessata agli scambi di natura sessuale, finita ad un certo punto in un gioco più grande di lei. Un gioco diventato un incubo, all’interno di una storia ancora priva del suo epilogo. Saranno i giudici a scrivere la parola fine, dopo le conclusioni del pubblico ministero e delle parti, previste per la prossima udienza che si terrà ad inizio aprile.

Gabriele Lavagno

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