Quando perdi le parole, forse perché si sono nascoste dietro l'ultimo posto in classifica dopo una partita persa al 96' in cui hai lasciato tutto, anche le lacrime, sul campo, come si lascia tutto - a volte - nella vita - senza avere apparentemente nulla in cambio, non resta che accontentarsi di quello che c'è e cioè l'affetto sincero di pochi amici veri, l'anticonformismo di un "grazie ragazzi" da parte di un piccolo grande giornale - grande perché dal grande cuore - che ama il Varese, come piccoli e grandi sono la sua storia e i suoi tifosi.
Chi è nato nella polvere, non ha paure della polvere, a costo di arrivare all'ultimo secondo dell'ultima partita dei playout - magari, finalmente, davanti alla sua curva e al suo pubblico - a urlare che il Varese ce l'ha fatta, è salvo, e lo è proprio perché ha iniziato a salvarsi quella domenica in cui tutti non ci avrebbero più creduto, e invece il Varese ci ha creduto ancora di più.
Quando un tifoso del Varese vede un giocatore con la maglia biancorossa piangere all'undicesima partita giocata (ne mancano 28), un giocatore che esibisce una grande prova insieme ai suoi compagni - quando magari altre volte l'aveva (l'avevano) sbagliata - sfornando assist, correndo e colpendo pali finché non viene incolpato del rigore decisivo che dopo 96 minuti di battaglia fa cadere la sua squadra, ecco, quel giocatore ha vinto qualcosa in più di ciò che pensa di aver perso e cioè la patente di aver disputato una partita "da Varese". Oggi tutti l'hanno fatto, togliendoci le parole adatte da appiccare a questa giornata che stenderebbe un toro, ma non un toro biancorosso.
Crederci un po' di più, correre un po' di più, metterci il cuore un po' di più: oppure, come direbbe Sannino, ricordarsi che quando tutti pensano che sia finita, per il Varese ricomincia la salita.
Le lacrime di oggi arrivano dove prima non c'era mai stato un sentimento così forte: sono lacrime di vita e di salvezza, non di retrocessione. Giocatene 28 come questa, e vedremo chi sarà a retrocedere.
Le legnate, i lividi e la polvere hanno sempre fatto bene al Varese quando quelle legnate, quei lividi e quella polvere lasciavano il segno di un gruppo più unito e forte, come il gruppo che si è abbracciato con Ezio Rossi dopo il 2-1, come il gruppo che ha trascinato fuori dal campo Otelè in lacrime, come il gruppo che ha convinto Negri a non rientrare e a farsi curare in ambulanza dopo aver preso una botta in testa che non gli faceva ricordare più nemmeno in che spogliatoio sarebbe dovuto andare a cambiarsi e contro chi stava giocando.
Non c'è da vergognarsi dopo una sconfitta come questa, come non aveva nulla da vergognarsi Sannino quando arrivò da ultimo in classifica in Seconda Divisione oppure quando, il primo anno di serie B, dopo la sconfitta di Crotone all'ottava giornata, resistendo e salvando la panchina arrivò a giocarsi la serie A.
Non aveva nulla da vergognarsi Devis Mangia quando perse la prima partita in casa con la Rhodense nel campionato di Eccellenza 2004/2005, prima di diventare il condottiero del doppio salto in C2, della Primavera più bella di tutti i tempi e poi dell'Under 21.
Non hai mai avuto nulla da vergognarsi nessuno, al Varese, quando arrivava da ultimo ma perdeva o sbagliava mettendoci tutto sé stesso.
C'è solo da essere orgogliosi di essere del Varese e provare a salvarlo da ultimo in classifica: c'è atto d'amore e impresa più grande per chi dice di amarlo?














