Un timido sole a farsi spazio tra le nubi bianche ha accompagnato il corteo funebre che dal Salone Estense ha condotto il feretro di Alfredo Ambrosetti fino alla basilica di San Vittore (LEGGI QUI).
La folla ha seguito in silenzio, interrotto soltanto dal rintocco delle campane. Dentro la chiesa, gremita in ogni ordine di posti, autorità, imprenditori, sportivi e cittadini comuni si sono stretti attorno alla famiglia, con la moglie Lella e i figli in prima fila sulla sinistra mentre al primo banco a destra le istituzioni tra cui il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, il senatore a vita Mario Monti, il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, il presidente della Provincia di Varese Marco Magrini e il Prefetto Salvatore Pasquariello.
A celebrare le esequie l’arcivescovo Vincenzo Paglia insieme al prevosto monsignor Gabriele Gioia e i suoi predecessori monsignor Luigi Panighetti, monsignor Gilberto Donnini e don Giorgio Spada, presenti anche i diaconi Giovanni Baggio e Giuseppe Bianchi.
L’omelia dell’arcivescovo Paglia ha ricordato la parabola di un uomo che aveva fatto della visione e del rigore le chiavi di una vita straordinaria e che nell’ultimo incontro hanno parlato della vita dopo la morte. Nato a Varese il 25 giugno 1931, dopo la laurea in Economia alla Cattolica scelse di iniziare la sua carriera alla Edison, preferendo la vicinanza alle linee ferroviarie che lo riportavano a casa. Nel 1965 fondò lo Studio Ambrosetti, divenuto poi The European House – Ambrosetti, che avrebbe segnato la storia della consulenza in Italia. Dieci anni più tardi ideò il Forum di Cernobbio, la sua creatura più celebre, capace di trasformare Villa d’Este in un palcoscenico mondiale dove leader politici, premi Nobel e grandi economisti discutevano di scenari globali, visioni future e perfino di pace.
L’arcivescovo suggerisce ai fedeli una riflessione «Possiamo dire di aver incontrato un profeta, un uomo che guardava avanti, un uomo che non si fermava all’immediato e che non si arrendeva al presente. Alfredo è stato il profeta del noi, il visionario di un paese e della sua società, anche per noi che siamo qui per dirgli addio.»
Quasi un segno del destino che la sua vita si sia spenta proprio nei giorni del Forum, come se il sipario si fosse chiuso nell’istante in cui la sua idea più grande tornava ancora una volta a parlare al mondo. «La morte è sempre amara - continua Paglia - e rende più evidenti i legami con le persone che erano in vita.»
Ambrosetti non fu solo economista e consulente, ma anche promotore culturale e sportivo. La sua passione per lo sport lo portò a ideare la rassegna “Campionissimi”, che a Ville Ponti ha saputo richiamare olimpionici e campioni di ogni disciplina, in un abbraccio tra la città e i grandi protagonisti dell’atletica, della danza e delle arti sportive. «Abbiamo conosciuto un uomo buono e dobbiamo continuare ad avere passioni comuni per continuare ad edificare» ricorda l’arcivescovo come monito per seguire le orme del cavaliere.
Accanto alla carriera pubblica restava l’uomo privato: legatissimo alla moglie Lella, compagna di vita e di avventure, ai figli Chiara e Antonio e ai cinque nipoti. Attorno a lui, nel lavoro e nelle iniziative sociali, una schiera di collaboratori e amici lo ricordano come instancabile, curioso fino all’ultimo, ironico e capace di semplicità anche nei momenti di maggiore prestigio.
Non amava apparire, preferiva la discrezione. Eppure la sua esistenza è stata un susseguirsi di incontri con i grandi del Novecento e del nostro tempo: da Walt Disney, che ascoltò una sua lezione a Los Angeles, fino a Gianni Agnelli, Henry Kissinger, Bill Gates, Mikhail e Raissa Gorbaciov, senza dimenticare i rapporti profondi con Mario Monti e tante altre personalità di rilievo. Memorabile la sua presenza dietro le quinte della stretta di mano tra Shimon Peres e Yasser Arafat nel 1995. «Che capacità di aggregare in un un mondo che disperde e che frantuma» esclama l’arcivescovo sul finire dell’omelia nel ricordo di una persona così capace e stimata.
Dopo la benedizione il senatore a vita Mario Monti, avvocato Cesare Galli Fondatore Associazione Progresso per il paese e Pier Bergonzi vice direttore della Gazzetta dello Sport hanno ricordato Ambrosetti in tre interventi intimi e toccanti. Il senatore confessa «posso testimoniare avendo il privilegio di essere stato vicino ad Alfredo dal ‘78, posso testimoniare della sua grande influenza sulle classi dirigente. Noi varesini siamo gente di frontiera e rispettiamo i confini lì dove ci sono ma preferiamo abbatterli. Alfredo hai contribuito ad abbattere gli stereotipi e al crescente rispetto verso l’Italia - chiudendo con - Alfredo non ci mancherai perché resti in noi». Galli con enfasi invita a seguire le sue orme e a portare avanti il lavoro di una vita. Bergonzi invece ricorda il suo impegno per lo sport e il desiderio di avere la nazionale femminile di volley ai prossimi “Campionissimi” oltre ai grandi nomi della storia del ciclismo «Ciao Alfredo, ciao campione!»
Gli ultimi interventi quelli dei figli. Antonio lo ricorda così: « Nostro padre era una persona molto pragmatica, fare le cose bene e farle subito. Le riunioni di famiglia erano convocate come un consiglio di amministrazione con l’ordine del giorno e i punti da affrontare ma la domanda più difficile è stata: qual è il tuo sogno? E lui ci disse che i sogno di ognuno di noi non poteva essere una cosa piccola ma qualcosa di sensazionale. Era fermamente convinto che per avere un pensiero positivo implicava avere la mente aperta e quindi la necessità di viaggiare e sperimentare. Ci ha insegnato un modo di vivere e un modo di essere, se persegui i tuoi sogni e sei determinato puoi andare lontano ma per fare questo bisogna essere persone oneste. Ciao papà.»
La figlia Chiara dipinge un ritratto di Ambrosetti più intimo e toccante ricordando però la fermezza del cavaliere nell’affrontare la vita «Dicevi che con la forza del proprio cervello si può arrivare ovunque, non sopportavi chi ti faceva perdere tempo. Detestavi la banalità, la mediocrità, la circostanza.»
Sempre fedele alla sua città, Ambrosetti non l’aveva mai lasciato, partecipava a iniziative locali, sosteneva progetti civili e sociali, dalla lotta contro le truffe agli anziani alla promozione della mobilità sostenibile per le forze dell’ordine.
E oggi il saluto di Varese non è stato solo il commiato a un economista di statura internazionale, ma l’abbraccio a un uomo che ha saputo incarnare insieme il rigore del professionista e la semplicità del cittadino. L’applauso prima dell’uscita del feretro, lungo e corale, ultimo tributo a un figlio della città giardino che aveva fatto dei suoi luoghi il punto di partenza per parlare al mondo.




























