Enrico Minazzi è un ex giornalista de La Gazzetta dello Sport dove ha lavorato dal 1984 al 2010 occupandosi di sport olimpici (basket in particolare), poi responsabile motori per 20 anni e infine nell’ufficio centrale dei capiredattori. Nato a Varese nel 1951 ama la propria città e la provincia che definisce «un vero paradiso terrestre dove è possibile praticare ogni tipo di sport». È un appassionato camminatore in montagna (socio Cai da 60 anni) e un ciclista amatoriale su strada e sulle nostre ciclabili. Ha iniziato a scrivere di basket a 16 anni, studente dello Scientifico, per il quotidiano Stadio di Bologna (il padre ne era il corrispondente da Varese) e da allora non ha più smesso. Lo incontriamo davanti ad un caffè in una storica pasticceria del centro per la nostra chiacchierata.
Come racconteresti oggi Varese e su cosa poseresti l’accento?
Bella domanda. Dal punto di vista sportivo dico che un tempo purtroppo lontano, ahinoi, eravamo abituati bene, andavamo in pasticceria (visto che anche oggi ci troviamo qui) giacché le nostre squadre facevano faville nel calcio e nel basket. Da anni dobbiamo accontentarci di mangiare le gallette visto quel che passa oggi il convento sportivo… A livello di cultura, vedo una città e una provincia con un più che discreto movimento. Certo a livello industriale abbiamo perso tante realtà storiche, ma è pur vero che ne sono nate altre importanti legate alle nuove tecnologie. C’è stata ed è in atto una trasformazione. A livello politico mi piacerebbe che ci fosse più attenzione a livello ambientale e soprattutto sociale. Per non parlare della sanità: un anno di attesa per avere un appuntamento in convenzione per una Tac a Varese è uno scandalo.
Enrico, aiutaci a capire meglio Varese: parliamo del tuo amato sport.
Nel calcio ci sono realtà che stanno facendo bene, penso alla Varesina e alla Solbiatese. Il Città di Varese ora è un osservato speciale, vediamo gli sviluppi. La partenza però è stata ottima. Per quel che riguarda la Pallacanestro Varese, la nostra religione, la partenza non è stata certo delle migliori per la squadra rivoluzionata con il tecnico scelto da Scola. Sotto canestro mi pare sia leggerina, leggo poi che si parla di playoff… A me preoccupa la possibilità di centrare la salvezza. L’hockey ghiaccio invece negli ultimi due anni ci ha regalato grandi gioie con i Mastini, meravigliosi e miracolosi: è una fantastica realtà che è tornata. Sotto la brace la passione per il disco c’è sempre stata.
Andiamo al tempo libero e alla cultura: sono stati fatti passi avanti?
Qui le iniziative non mancano davvero. Ne ricordo due fra tante, la serata a S.Ambrogio sull’alpinista Walter Bonatti, la continuità delle proposte sul Jazz, i concerti con gli organi nelle chiese (44ª edizione). E anche la provincia è ricca di iniziative: a Caldana, ad esempio, ho scoperto un paio d’anni fa lo splendido teatro Soms dove la bravissima Sara Fastame, consigliera di Cocquio Trevisago, propone ogni anno un cartellone gratuito con concerti, teatro, poesia e altro in un ambiente unico. Una chicca: il tetto è stato realizzato riciclando il legno utilizzato per l’expo di Milano 1906. E parlando di teatri vorrei sapere che futuro attende il Santuccio di Varese: si era detto e scritto che sarebbe stato rilanciato, per ora solo silenzio. E come tanti varesini abbiamo due ferite aperte: l’abbattimento del teatro Sociale di piazza Giovane Italia e in anni più recenti del mercato coperto in stile liberty. Pare preistoria, ma ricordo a chi ha poca memoria che le opere della Scala venivano prima messe in scena a Varese…
Luci e ombre di Varese?
Come già detto viviamo in una zona bellissima fra laghi, Prealpi e monti. Godiamo di una natura dai colori splendidi, sette colli e altrettanti specchi d’acqua, albe e tramonti con lo sfondo del Rosa sono unici. Gli stranieri adorano queste zone. Quello che fa ombra a tutta questa bellezza è la scarsa sensibilità per gli spazi verdi. Sull’argomento aveva e ha ragione Daniele Zanzi (ex vice sindaco) che si è sempre battuto per la difesa del verde. Lo fa anche ora che non ha più ruoli politici ufficiali. E quando la cronaca si occupa di piante abbattute o trascurate non manca mai di intervenire. Purtroppo spesso la sua è una voce poco ascoltata…
Parliamo di motori, il tuo pane: come vedi il futuro del marchio varesino MV Agusta?
MV oggi è legata al gruppo Pierer (ha il 51% delle quote) che gestisce KTM e i tanti marchi acquisiti. La Casa austriaca non è in gran salute, a leggere i quotidiani economici e finanziari, ma non credo che possano scaricare un marchio blasonato come MV a poco tempo dall’aver acquisito il controllo dell’azienda. Stanno investendo sul prodotto, sulla rete dei concessionari e propongono sempre moto bellissime. Al recente 81° festival del cinema di Venezia MV ha presentato il corto “La bellezza non è peccato” firmato dal celebre regista hollywoodiano Nicolas Winding Refn con protagonista la Superveloce 1000 Serie Oro: una meraviglia. Ed è la prima volta che un marchio commerciale è stato protagonista a Venezia. A Schiranna si punta su prodotti esclusivi di alta qualità realizzati in modo artigianale: le moto a Varese le sanno costruire solo cosi, da sempre. Non è esagerato dire che in riva al lago si costruiscono le Ferrari a due ruote.
Raccontaci qualche ricordo degli anni in Gazzetta.
Tra i tanti uno è legato alla pallacanestro, lo sport che mi ha portato alla Rosea. Il ricordo riguarda il “nostro” Dino Meneghin che nel 1984 giocava nell’Olimpia Milano: nella finale scudetto con la Virtus Bologna fu squalificato per tre giornate e così addio bella per lo scudetto. Seguii l’ultimo allenamento nella palestrina del Palalido, Dino era schierato con il quintetto dei cambi. Alla fine andai negli spogliatoi (allora si poteva…) per tentare un dialogo con il pivot che rispose a monosillabi. Si sentiva in colpa per l’espulsione che inguaiava Peterson e la squadra. Niente intervista. Scrissi così un articolo raccontando l’ambiente, cercando di intuire quel che passava in quelle ore nella testa del campione, il suo personale dramma per una squalifica che poteva costare lo scudetto a Milano, come poi accadde. In certi momenti le parole sono superflue, contano gli sguardi e le sensazioni. Poi il giorno della finale seguii la partita dal tunnel che portava agli spogliatoi con Meneghin in borghese. Anche in questa occasione poche battute, per lui parlavano gli sguardi del leone sconfitto in gabbia.
Come è cambiato il lavoro del giornalista oggi?
Un collega della Prealpina mi raccontò che in occasione del primo incontro fra la redazione e il neo-direttore Mino Durand, già inviato e firma del Corriere della Sera, trasmise ai redattori un mantra che è sempre attuale: “Non dovete passare la giornata in redazione, dovete uscire e consumare le scarpe per cercare le notizie”. Oggi con i comunicati stampa e con la tecnologia super veloce molto è cambiato. A livello di sport fino a non molti anni fa avevi sempre la possibilità di parlare con il giocatore di calcio, basket o con il pilota di F.1 o di moto. Poi sono arrivati gli addetti stampa delle squadre e quindi dei singoli atleti. Negli spogliatoi non si entra più, salvo in caso di vittoria dello scudetto… L’informazione viaggia veloce, internet, cellulari e tablet hanno stravolto la comunicazione. E la carta stampata fatica ad adeguarsi: quando acquisti il quotidiano al mattino la notizia stampata spesso è già superata. In più i giovani raramente leggono quotidiani. Questi ultimi hanno perso tantissime copie anche se si rifanno con le edizioni digitali. Personalmente resto legato al quotidiano e al libro stampato, anche se non disdegno le info su internet.
Sguardo allo stadio Franco Ossola, un monumento in declino.
È la storia calcistica di Varese, ovvero la premiata pasticceria. Quando passo lì provo tristezza e riaffiorano ricordi memorabili, sin da bambino, quando andavo con mio padre corrispondente del quotidiano Stadio alle partite del Varese in B o in serie A. Conservo una mia foto accanto ad Omar Sivori in maglia bianconera. Il fotografo mi disse: stai accanto all’uscita della scala che sale dallo spogliatoio, quando arriva Sivori camminagli accanto. Fatto, un ricordo speciale in bianconero.
Come sei arrivato alla Gazzetta?
Scrivere era una passione che ho coltivato sin da adolescente forse perché in casa i giornali non mancavano: papà Bruno corrispondente di Stadio, nonno Enrico ex giocatore e allenatore del Varese in viola oltre che arbitro e collaboratore della Prealpina. Poi la pagina di Varese del Corriere Lombardo nasceva a casa nostra… Ho iniziato scrivendo sul Luce, poi collaboratore in Prealpina curando da Varese gli articoli per il basket per Stadio. Lucioni, ex Prealpina, mi assunse a Il Giornale. Dopo il servizio di leva un anno a Superbasket di Giordani, quindi al quotidiano popolare L’Occhio della RCS, diretto da Maurizio Costanzo occupoandomi di sport, basket e Formula 1 in particolare. Dopo tre anni passai al mensile Giganti del Basket: qui nel 1983 mi hanno spedito all’Europeo di Limoges-Nantes. Enrico Campana, responsabile basket in Gazzetta, alla partenza da Linate mi chiese se avrei avuto piacere di collaborare con la Rosea presentando gli avversari del giorno dell’Italia. Tu che cosa avresti risposto? Ma certo, con piacere!
Poi cosa successe?
Successe che l’Italia vinse tutte le partite di Limoges, l’ultima contro la Jugoslavia, nostra bestia nera con tanto di rissa in campo quando Kikanovic aggredì Villalta, Grbovic entrò minaccioso in campo brandendo le forbici rubate al massaggiatore. Un pandemonio, per fortuna bloccato dagli arbitri. Il post partita negli spogliatoi fu ovviamente ricco... E la Gazzetta dedicò quasi due pagine all’evento. Il giorno del trasferimento a Nantes Campana fu raggiunto dalla notizia della morte del padre a Varese e rientrò per il funerale. Fu sostituito da Franco Arturi, responsabile sport olimpici (le Varie) che seguì la semifinale con l’Olanda e la vittoriosa finale con la Spagna. Io mi occupai delle interviste, lo spazio si era dilatato e il mio contributo apprezzato. Con la chicca della foto agli azzurri campioni d’Europa con la coppa scattata sotto l’Arco di trionfo a Parigi: scattai io l’immagine e il lunedì mattina era in prima pagina sulla Rosea. Mesi dopo Arturi mi contattò dicendomi che in Gazzetta cercavano un professionista già formato per la redazione basket: si allargava lo spazio per i canestri. Il 14 febbraio 1984 firmai il contratto che mi legava al quotidiano Rosa. Grazie a quella collaborazione fortuita e indimenticabile dalla Francia che mi ha regalato anni intensi e bellissimi in via Solferino. L’ho detto che devo tutto al basket…. Del resto avevo cominciato fin da piccolo alla Casa dello Sport: pantaloni corti e basket. E come erano buoni i panini che all’intervallo compravamo dal custode della palestra...
Ora che sei in pensione che cosa fai?
Con altri colleghi pure pensionati collaboriamo da volontari con Radio Missione Francescana, ci occupiamo della trasmissione Fra le Righe, rassegna stampa quotidiana commentata. Il tempo libero lo occupo con camminate sulle nostre Alpi o lunghi trekking e cammini in montagna: quando lavoravo a Milano era impossibile; poi vado in bicicletta, su strada o sulle nostre belle ciclabili. E mi piace partecipare a serate culturali, a Varese e dintorni si trova sempre qualcosa di interessante da seguire, basta saperle cercare. Infine la passione per le moto: da 29 anni organizzo con amici il raduno delle moto Aermacchi alla Schiranna.