Il campanello suona alle 15,30 spaccate, e al cancello si presenta un Raimondo Fassa puntuale come un re, borsalino con piuma in testa e una gran voglia di chiacchierare. Esattamente un anno fa, lo intervistammo via whatsapp al caldo di Tunisi, il suo buen retiro nella medina, la città dove da sette anni è lettore di Lingua e cultura italiana all’Istituto Italiano di Cultura della capitale.
Ogni tanto lo punge la nostalgia della sua Gallarate ma anche di Varese, così passa a salutare amici e conoscenti e a dare un’occhiata alla città, che ha governato come sindaco leghista negli anni post Tangentopoli. Qui ha ancora la casa di sua mamma nella castellanza di Bosto, dove vorrebbe andare a vivere da pensionato e sistemarvi i 15mila libri e i quadri dei pittori amati.
Parliamo di gatti, passione comune - Raimondo appena può ne salva qualcuno e lo accoglie in casa - ma il discorso si sposta presto sulla nostra Varese, così diversa e spersonalizzata da quella dei nostri ricordi, sul suo incerto futuro e sulle idee che potrebbero migliorarla, avvicinandola al profilo di un tempo, quando era luogo privilegiato di villeggiatura, con splendide dimore e giardini, grandi alberghi e perfetti servizi pubblici.
Un “cicchetto” di Elixir del Borducan apre i pensieri e Raimondo incomincia una vera e propria lectio magistralis deambulando avanti e indietro nella stanza, partendo proprio dal Sacro Monte: «Quando ero sindaco, chiusi l’accesso alle auto i sabati e le domeniche primaverili ed estive, oggi andrebbe fatto lo stesso, trasformando la funicolare in un mezzo di trasporto ordinario e non facoltativo. Vuoi salire al Santuario? Lasci la macchina a Masnago, prendi la navetta fino alla fermata della funicolare e vai. Occorre creare l’abitudine».
Ma la convinzione profonda del “sindaco emerito” Fassa è che Varese abbia imboccato da 25 anni una strada sbagliata.
«L’errore dei politici e degli amministratori è stato il credere che la Grande Malpensa avrebbe portato un colossale rilancio della città, turismo e lavoro, ma non è stato così. Se un congressista arriva da Tokio per un meeting a Milano, perché mai dovrebbe passare da Varese? L’unico motivo che potrebbe avere è che Varese fosse ancora un luogo stile Belle époque, una sorta di città d’antan, con le ville - che ci sono ancora - i giardini, il centro storico chiuso al traffico, negozi di qualità, servizi pubblici efficienti. Il grande sbaglio è stato ed è il pensare che Varese possa inserirsi nella modernità, mentre la sua storia dimostra il contrario».
Si infervora Raimondo, e ricorda la sua città, i tanti progetti attuati e pensati: «Quando ero sindaco, con Ettore Mocchetti pensammo che l’unica soluzione per fare di Varese un luogo di loisir, era quella di pedonalizzarla e di creare un tunnel sotto piazza Monte Grappa che spostasse il traffico fuori dal centro. Così la piazza avrebbe conquistato un’allure dechirichiana e la città sarebbe ritornata quasi come nel XIX secolo, con il centro storico interamente riqualificato e a misura di svago e di riposo. Allora ecco che il viaggiatore avrebbe potuto dire “vado a Varese per veder passare il tram o per passeggiare nei parchi delle ville”. Ora lo so, leggendo l’intervista mi accuseranno di voler musealizzare la città, ma la riqualificazione andrebbe fatta anche nelle castellanze, nei centri minori, occorre dare unità estetica».
Sui parcheggi Fassa è deciso: «Vanno tolti tutti i parcheggi a raso, nelle vie Manzoni e Volta, per esempio, così si obbligano gli automobilisti a posteggiare in quelli pubblici, di piazza Repubblica e via Staurenghi. A Vienna il 30 per cento delle famiglie non possiede l’automobile perché non serve, i mezzi pubblici sono perfetti. A Copenaghen il parcheggio costa 10 euro all’ora, così si incentiva la pedonalizzazione. Non è per insistere sulle cose fatte al tempo del mio mandato di sindaco, ma il trambus era una sorta di metropolitana leggera sempre per incentivare l’uso del mezzo pubblico a discapito dell’automobile. Una linea Bizzozero-Masnago, sarebbe anche oggi un asse di trasporto virtuoso, a patto che i bus abbiano la corsia preferenziale, ci siano orari comodi per l’utenza e nessuna rottura di carico per passaggi da un veicolo all’altro. Però occorre anche un lavoro di sensibilizzazione della cittadinanza, ricordo che quando partì il trambus, la gente esponeva alle finestre lenzuola con la scritta “fermate il mostro”. Un altro errore fatto dalla Lega è stato il pensare di governare in Regione, Provincia e comune per meglio lavorare per il territorio. Quando ottenemmo i finanziamenti per il trambus, per esempio, la presidente della Regione era Fiorella Ghilardotti, di centro sinistra, e l’assessore ai Parchi e territorio Fiorello Cortiana dei Verdi-Ulivo».
La morale della chiacchierata con il “sindaco in casa” è quella di non snaturare ulteriormente Varese e liberarla il più possibile dalla morsa del traffico. «Occorre scoraggiare quello in entrata e incoraggiarlo in uscita, un po’ come si fa arrivati a Milano, con il lasciare l’auto a Lampugnano ed entrare in città con la metropolitana. I politici di centro destra e di centro sinistra hanno sempre litigato per portare avanti un processo di modernizzazione che non appartiene a Varese, una città che ha scelto una via per lei sbagliata, non essendo più ciò che è stata ma non diventando quella che vorrebbe perché non ci riesce».
Il bicchierino di Elixir è vuoto, Raimondo è già in partenza per Tunisi, dove lo attendono i suoi cinque gatti. C’è spazio per un selfie insieme, proprio davanti a un quadro di Luca Lischetti che raffigura proprio il gran teatrino della vita. Scatto e mostro la foto all’ex sindaco, europarlamentare e avvocato, nonché un tempo vasaio nella bottega dello scultore Giorgio Presta. La battuta arriva immediata: «Eccoli qui, i due di Villa Arzilla!». Sipario.















