Giuseppe D’Aniello, segretario e poi direttore generale del Varese dal 2012 al 2016, sta vivendo da fine agosto la sua nuova esperienza da direttore operativo e gestionale della Ternana, dove è affiancato dal direttore sportivo Stefano Capozucca, altro grande ex biancorosso che costruì una squadra fantastica maestra di bel calcio con cui arrivò a sfiorare la serie B nell'era di Claudio Milanese patron.
D'Aniello, classe 1976 originario di Cercola (Napoli), inizia la sua carriera proprio nella sua terra come responsabile organizzativo nel settore giovanile del Napoli nel secondo anno dell’era De Laurentiis, dove collabora con l’allora ds Pierpaolo Marino per poi passare al Lecco in serie C come direttore organizzativo (2008-2012), quindi ecco il Varese (2012 -2016) dove ricopre il ruolo di segretario generale e direttore generale. Terminata la sua esperienza al Franco Ossola diventa l’anno successivo amministratore delegato del Teramo Calcio. Incarico che ricopre per un anno per poi ritrovare Mauro Milanese alla Triestina dove rimane per sette anni ( 2017-2023) come direttore gestionale.
D'Aniello, come fu partire da Napoli e dal Napoli?
Esperienza significativa e formativa. Ho avuto la fortuna di collaborare con Pierpaolo Marino che è stato un riferimento sia sotto il profilo umano che professionale. La società del presidente De Laurentiis per me è stata una scuola formativa, ho appreso molte dinamiche di come viene gestito un club che, per molti aspetti, è identico alla gestione di una qualsiasi azienda che deve fare profitto, sempre con un occhio attento ai bilanci. Posso aggiungere che De Laurentiis ha da sempre avuto la lungimiranza della scelta dei validi collaboratori e di perseguire tenacemente l’obiettivo, senza cedere troppo alle molteplici pressioni esterne che nell'ambito calcistico sono presenti.
Il suo curriculum di studi la ha aiutata nella sua professione?
Studiare, essere aggiornato e fare formazione è sempre stata la mia priorità. Sono riuscito a prendere la laurea magistrale in giurisprudenza del 2016, lavorando e studiando di notte, successivamente ho frequentato un master molto utile e formativo di primo livello in manager dello sport, e nel 2021 ho conseguito la laurea magistrale in scienze economiche. Certo non è stato facile, ma è stato doveroso per avere una formazione a 360 gradi. Bisogna imporsi un metodo di studio, sacrificarsi, porsi un obiettivo. E avere tanta costanza e determinazione. È quello che vorrei consigliare agli studenti attuali se vogliono conseguire nella vita dei risultati importanti. È quello che sto trasmettendo anche a mio figlio che gioca nell'Under 16 della Triestina: sapersi organizzare e gestire sport e studio.
Ricordi di Varese?
Tantissimi. A Varese sono arrivato tramite il segretario generale di allora Dibrogni. Ho conosciuto molte persone, che sono poi state importanti per la mia carriera. Ho stretto un rapporto importante sia professionale che umano con Mauro Milanese, poi continuato a Trieste. A Varese come non ricordare che siamo arrivati ad un passo dal Paradiso in quella storica finale con la Sampdoria. Sono padre di tre figli e due sono nati nella Città Giardino, tutta la mia famiglia ha in legame speciale con la città. Poi ci sono stati momenti difficili, ma preferisco non scendere nei dettagli.
Ha ancora legami in città?
Sì, anche se per motivi professionali sento poco i miei amici varesini. Ho un legame particolare e speciale con Silvio Papini, uomo straordinario. È venuto a trovarmi sia a Trieste che a Teramo: è un amico speciale che mi ha dato consigli preziosi e che mi informa tutte le settimane dei risultati della squadra. Nell'anima di Silvio è tatuato il simbolo del Varese.
Dalla sua prospettiva, come sta cambiando il mondo del calcio?
Radicalmente. Sono nate nuove figure professionali sia nel settore tecnico che in quello amministrativo, commerciale e del marketing. Ormai tutte le società sono da considerasi come delle vere e proprie aziende e come tali bisogna gestirle. Le problematica che le società devono affrontare quotidianamente sono molteplici, non da meno il problema ingaggi che segue la logica del mercato legato alla domanda e all'offerta, in tal senso mi riferisco in modo esplicito a quanto accade in Arabia. Mio parere personale: prima o poi si dovrà far finire questo gioco al rialzo ed arrivare ad un tetto ingaggi. Certo mi rendo conto che non sarà un'impresa facile, ci vorrà del tempo, però a parer mio bisognerà intraprendere questo percorso.
Parliamo di azzurri, Italia e di Mancini...
Se si analizza l’aspetto prettamente razionale, diventa forse complicato oggi rinunciare ad ingaggi cosi favolosi. Però a volte, a mio avviso, bisogna guardare il contesto, il ruolo che si occupa ed il momento. Mancini era il commissario tecnico, aveva un ruolo importantissimo a livello internazionale. Essere allenatore degli azzurri è e deve essere l’orgoglio nazionale, dove ogni italiano si identifica. Nello specifico, non condivido il modo e la maniera adottate da Mancini, anche in vista degli impegni della nazionale che doveva affrontare: a mio avviso avrebbe dovuto nel caso gestirlo meglio. Questa è la mia opinione fatta con il cuore di tifoso italiano.
Posso dire sinceramente che leggendo le storie di tanti campioni di un calcio romantico, mi è rimasto impresso il rifiuto di Gigi Riva di andare alla Juventus per una cifra molto alta negli anni '70. Il bomber rinunciò proprio per attaccamento alla maglia del Cagliari, ai suoi tifosi e alla Sardegna: credo che per lui quel trasferimento sarebbe stato vissuto come un vero tradimento. Un grande calciatore, un grande uomo e un grande dirigente sportivo che ha anche segnato la storia della nostra nazionale.