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In Breve

| 21 febbraio 2023, 06:00

Sei tirchio? Sappi che rischi la galera...

E’ la storia di una vicenda tutta italiana che si è conclusa innanzi alla Corte di Cassazione con sentenza, depositata lo scorso 17 gennaio 2023.

Sei tirchio? Sappi che rischi la galera...

No, non è un barzelletta. 

Nemmeno la vicenda narrata nel film comico “Un tirchio quasi perfetto”.

E’ la storia di una vicenda tutta italiana che si è conclusa innanzi alla Corte di Cassazione con sentenza, depositata lo scorso 17 gennaio 2023.

La storia è quella di un uomo che ha imposto alla moglie una forma, definirei maniacale, di risparmio domestico spinto sino al punto di razionare in casa acqua e carta igienica. 

La Suprema Corte ha stabilito che integra il reato di maltrattamenti in famiglia la condotta del coniuge che impone all’altro uno stile di vita improntato al risparmio domestico con modalità di coartazione e di controllo che per la loro pervasività sconfinano un vero e proprio regime e assillo, tanto da cagionare alla persona offesa uno stato di ansia e di frustrazione.

Con il matrimonio i coniugi stabiliscano anche uno stile di vita, magari improntato al risparmio, anche rigoroso e non necessitato, ma è indiscutibile che tale stile di vita debba essere condiviso da entrambi e non possa essere imposto, men che mai in quelle che sono le minimali e quotidiane esigenze di vita.

A mente dell’articolo 143 Codice civile, con il matrimonio i coniugi, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, si impegnano a contribuire ai bisogni della famiglia; ai coniugi vengono riconosciuti gli stessi diritti e vengono attribuiti i medesimi doveri.

La persona offesa ha riferito di vere e proprie modalità di imposizione e coartazione del “risparmio domestico”, controllo degli scontrini, la spesa solo ai discount il tutto accompagnato a limitazioni all’uso dell’acqua in casa  (una sola doccia a settimana, con recupero dell’acqua (anche per lavare il viso), e due soli strappi di carta igienica; una volta la donna è obbligata a riciclare un tovagliolino di carta (dall’immondizia).

Questo stile di vita non condiviso non era dettato da esigenze economiche: entrambi i coniugi lavorano.

Il “risparmio domestico” diventa una vera e propria coartazione, condita da offese e accompagnata da modalità di controllo, tanto pervasive da cagionare nella vittima un disturbo post traumatico da stress. 

 

Di qui la condanna.

 

Ora, lasciatemi dire la mia.

La vicenda mi pare indubbiamente folle come altrettanto folle mi sembra che un simile fatto sia giunto sino alla Cassazione con lo scopo di verificare la sussistenza di un reato (i maltrattamenti in famiglia).

Entrambi i coniugi lavoravano ed erano economicamente auto sufficienti.

Non vi era, quindi, da parte della vittima una sudditanza economica che la costringeva – sotto un profilo psicologico - a subire simili condotte provenienti dall’altro coniuge.

Ritengo quindi che la vittima, preso atto del fatto che aveva sposato un’idiota, non avrebbe dovuto subire un solo secondo tali condotte, dando, viceversa, pronto ingresso alla separazione  dei coniugi.

Sia chiaro!

Non intendo certo ribaltare i ruoli; la vittima, in questo caso, è la donna e l’uomo il “carnefice”.

La mia perplessità nasce dall’esperienza di qualche lustro, ove sovente avverto un abuso di ricorso al Giudice penale cui vengono rimesse questioni afferenti la vita di coppia solo in occasione dei giudizi di separazione e divorzio.

Questo abuso (spesso finalizzato ad ottenere, dall’altro, più soldi, altre volte per mero spirito vendicativo) svilisce la portata di una sentenza di condanna penale.

I fatti sottoposti alla Suprema Corte, sicuramente integrano  la fattispecie dei maltrattamenti in famiglia, ma è altrettanto sicuro che la vittima era nelle condizioni, da subito, di evitare le conseguenze dannose di tali condotte stante la sua indipendenza economica.

Ecco perché ritengo che nel corso dei giudizi di separazione e divorzio il ricorso al giudice penale debba avvenire solo quando realmente necessario.

I fatti reato vanno sempre denunciati ed indagati; ma forse vanno valutati quando gli animi (quelli di due persone che dopo essersi amati decidono di separarsi) sono più sereni e più oggettivi.

Chiunque subisca simili condotte violente,  si allontani dall’abitazione domestica e si rivolga alle istituzioni territoriali.

Ricordo che presso il Tribunale di Varese (per volontà della Procura della Repubblica e dell’Ordine degli Avvocati di Varese) è stato da tempo aperto uno sportello dedicato alle persone che vivono un’esperienza di abuso, maltrattamento e violenza endofamiliare.

 

 

 

 

Ghilotti & Partners Studio Legale

 

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