Uno per l’altro, per il piacere di fare un passaggio, una corsa, un gol che fa felice il compagno. Stasera dobbiamo dire grazie ai ragazzi nigeriani arrivati in finale contro il Sassuolo al Torneo di Viareggio - prima volta nella storia di una squadra africana - perché ci hanno riconsegnato il piacere, e non l'obbligo, di giocare a calcio. Hanno perso ai rigori dopo aver beccato 4 legni, lo hanno fatto tenendosi mano nella mano e cantando sotto la pioggia per tutta la durata dei tiri dal dischetto. Uniti per davvero.
Noi vorremmo tifare una squadra così, un’eterna Primavera di Devis Mangia: "Non succederà più" era l'inno e la canzone che accompagnava quei ragazzi biancorossi, ma invece può succedere ancora e sempre ad ogni partita, ogni mercoledì e domenica, se lo vuoi e se credi nei giovani e in un calcio spavaldo, caldo, offensivo e appagante.
Giovani come Giovanni Rosati, 19 anni a maggio, figlio dell'ex patron Antonio che oggi è sceso in campo, ragazzo tra i ragazzi, per complimentarsi con la "sua" squadra - ma è anche la nostra squadra, speriamo non solo al Viareggio - che aveva sulle maglie il nome dell'agenzia (Winners Management Italia) di cui è titolare.
«La favola non è terminata nel migliore dei modi perché quattro pali (uno su rigore) e la pioggia, che non è l'habitat naturale di questi ragazzi, si sono interposti tra la Alex e la coppa più importante - ci dice Giovanni da Pontedera dove si è svolto l'atto conclusivo della 72ª Viareggio Cup - Ma ha comunque avuto un lieto fine portando a casa innanzitutto il monopolio della simpatia di tutti, oltre ai premi come miglior squadra, quello di golden boy e di miglior difensore del torneo».
«Encomiabile l’atteggiamento che i ragazzi hanno saputo mostrare dentro e fuori dal campo per l’intera durata del Viareggio - prosegue Giovanni - Sarà adesso compito mio e dell’agenzia lavorare affinché il futuro di alcuni di questi ragazzi possa sbocciare in Europa valorizzando al massimo le loro qualità umane e professionali».
Dunque, grazie ragazzi nigeriani. Cantavano mano nella mano con facce felici mentre si battevano i rigori (le facce sono tutto e contano sempre più di schemi e tattiche, nel pallone e nella vita, a ogni livello. Raccontano se vinci o perdi prima del via, spiegano a te stesso e agli quanto vali e non mentono mai, a differenza delle parole). Non sappiamo nemmeno come si chiamano, ma li vorremmo subito in campo nella nostra squadra. Per il coraggio, per la sfrontatezza, per la gioia di giocare a pallone, per la voglia di vincere con e per i compagni, come fossero amici all’oratorio.
Per la capacità di andare a testa alta a sfidare l’avversario, e non ad attenderlo, sempre e comunque. Perché non sanno cosa significhi piangersi addosso o recriminare, tutti uniti dall’ultimo uomo dello staff all’allenatore e allo sponsor, una sola cosa non per imposizione ma con naturalezza.
Uniti dall’amore per il calcio, dalla competenza (se undici ragazzi nigeriani giocano così al Viareggio, qualcuno di competente li ha sicuramente scovati, ascoltati, motivati e uniti). Nessun titolare inamovibile per diritto divino, nessuna eterna riserva, nessuna sostituzione prevedibile, già scritta allo stesso minuto e negli stessi ruoli di ogni santissima partita: no, qui sono tutti titolari nei fatti e non sulla carta, tutti riserve, tutti si alzano o tornano in panchina con la stessa voglia, lo stesso spirito, lo stesso scopo, lo stesso pensiero.
Grazie a loro ci siamo divertiti come non ci accadeva da tempo nel vedere (vedere è un po' anche giocare, se chi va in campo riesce a trascinarti dentro con lui) una partita di pallone. Con un sorriso, con il rispetto, con l'allegria. Assieme. Veramente. Non per difendere l'apparenza o la facciata.
Grazie ragazzi nigeriani. Ci vediamo prestissimo su questi campi, sperando che siano i nostri campi.

























