La Rasa, il suo mercatino di Natale: tutto un altro mondo. Ma vicino al nostro.
E accedervi allora è facile: la pena da scontare sono solo quei pochi chilometri di curve che salgono da Sant’Ambrogio, le macchine parcheggiate a bordo strada che ti fanno presagire l'evanescenza dei pertugi per piazzare le quattro ruote, i divieti di accesso e le sbarre. Presto, però, la Motta Rossa e i suoi prati appaiono come un miraggio. Risolutivo.
Abbandoni l’auto, l’ultimo contatto con questo mondo, e ti incammini. Servono 10 minuti di buon passo per raggiungere il borgo: invece della provinciale conviene mettersi le scarpe buone e prediligere il tratto del sentiero Brinzio-Velate, degno “antipasto” per un’entrata come si deve nella diversità. Nelle sere d’estate percorrendo questa mulattiera senti il grugnito dei cinghiali che si nascondono tra le frasche: oggi, visto il via vai di noi cittadini, i coabitanti della Rasa se la sono evidentemente data, risalendo le pendici del Chiusarella.
A poco a poco la galleria di alberi si dirada e si arriva. I dieci minuti sono volati, ma i chilometri fatti paiono cento, perché il sipario si apre su qualcosa che non c’entra più nulla con la nostra normalità. Il sentiero è diventato una stradina a misura di pedone, non ci sono macchine, le case hanno quella geometria condivisa che appartiene ai presepi, un ruscelletto scende dal monte e dà il benvenuto a chi si addentra. L’altro mondo ci ha appena salutato.
In un giorno normale qui parlano il silenzio e i rumori della natura. Il mercatino porta invece un brusio di fondo, che tuttavia non disturba: è come se le centinaia e centinaia di uomini e donne e bambini presenti avessero colto le differenze e ci tenessero a rispettarle, abbassando la voce. E allora, anche se i suoni ristoratori della solitudine per due giorni sono spariti, a fare compagnia rimane qualcosa di comunque gradevole: le canzoni di Natale e le spiegazioni degli standisti.
Già, le bancarelle: alcune ti vengono incontro, altre le devi cercare. Ed è questo il bello: si nascondono dietro a una svolta, in fondo a una stradina, dentro a un cortile. Ce n’è per ogni gusto: ogni allestimento un lavoro manuale, ogni lavoro una persona, ogni persona una storia da raccontare. Inutile perdersi in spiegazioni: si rovinerebbe la sorpresa del primo sguardo.
Che cerca anche altro: dove saranno finiti gli abitanti della Rasa oggi? Rinchiusi nelle loro case? Mischiati con i visitatori? “Emigrati” come i cinghiali verso il Chiusarella? La risposta non c’è, ma i segni della loro presenza non mancano. È uno degli aspetti più belli di questo particolare mercatino: esso si fonde con il teatro che lo ospita. Tocca gli usci delle case, si incastra sotto tettoie e intercapedini, guarda dentro le finestre, respira la quotidianità altrui, ne calpesta gli stessi ciottoli.
Le entrate delle abitazioni hanno decorazione ad abbellirle, rami di vischio, fiori, lucine: ecco dove sono finiti gli abitanti della Rasa, ecco il segno dell’ospitalità di chi ci sta accogliendo. Ed ecco il Natale.
Si cammina. Su e giù. E non si guarda il cellulare, tanto qui non prende. E allora gli occhi che hanno spezzato le catene che normalmente li legano agli schermi, usano la libertà riconquistata per inquadrare un campo visivo variegato e composito, nel quale c’è sempre spazio per un pezzo di montagna, che sia il Campo dei Fiori o la Martica, una punta arrotondata diventata arancione grazie agli ultimi raggi di un pomeriggio alle porte dell’inverno.
C’è profumo di bomboloni alla crema, poi di polenta, infine di salsiccia che sfrigola sulla griglia: siamo giunti alla piazzetta della chiesa, davanti al bar Bianchi. Qui l’ultima immagine ha lo stupore di una bimba che guarda estasiata i ragazzi che fanno saltare le caldarroste dentro alle padelle. Ci abbassiamo ai suoi settanta centimetri scarsi di frugoletta: ha ragione lei, da qui è tutta un’altra prospettiva.
Mentre ti allontani rifacendo il sentiero percorso all’andata, il sole ormai sparito e sullo sfondo quei minuti di luce sospesa prima dell’arrivo del buio, tra i sentimenti che galleggiano c’è anche l’invidia: in una favola tu ci sei stato un’ora e mezza, taluni ci stanno sempre.
Dura poco, però: in fondo la Rasa è sempre lì. Tutto un altro mondo. Ma vicino.