Leggere le scorribande di Gianmarco Pozzecco non è e non sarà mai compito facile, nemmeno ora che il ragazzo diventato uomo è chiamato a scelte molto diverse da quelle che lo chiamavano con canotta e pantaloncini indossati. Perché? Perché le decisioni dell’oggi hanno le stesse caratteristiche di quelle di ieri: velocità e imprevedibilità.
Parquet e vita fanno parte dello stesso giardino esistenziale per il Poz. In campo creava tempeste nella quiete (apparente) degli avversari e nelle loro certezze: quando i playmaker che difendevano su di lui si aspettavano tirasse, lui li trafiggeva in penetrazione; quando invece ritenevano di essere pronti a contenere le sue fulminee entrate, ecco la tripla da otto metri contro cui era impossibile fare alcunché. Tripla, ca va sans dire, che nessuno in quel momento gli avrebbe consigliato.
In giacca e cravatta funziona più o meno allo stesso modo: il suo istinto non si è perso nella riflessività che l’età e i primi capelli bianchi gli hanno regalato, così come la capacità di andare contro la convenienza, lo scontato, il naturale, l’auspicabile.
Sorpresi che l’anno prossimo farà il vice di Ettore Messina a Milano, dunque? Proprio per nulla. Dopo i trofei e il gioco messo in mostra con Sassari (eccola un’altra cosa non scontata: persino i suoi eterni detrattori - ex amanti? - sono costretti ad ammettere che quello che ha fatto vedere lui in questi anni con Spissu e soci, praticamente nessuno in Italia…) avrebbe potuto vivere di rendita, anche al netto delle mattane combinate, sedendosi su una panchina a caso e ben remunerata. Magari più all’estero che in Italia.
Invece no: andrà a fare il vice. Sui generis, certo, e in una realtà di massimo livello come quella di Milano, ma pur sempre il vice. Tornerà a scuola, il nostro. Come era tornato a scuola dopo la delusione di Varese, sposando la causa del Cedevita di Mrsic, sempre da secondo. Perché dal terremoto sotto al Sacro Monte aveva compreso soprattutto questo: che il passato non ritorna, il nome non basta e che è la fame di imparare a spostare le montagne.
La stessa fame la riavverte ora. Ora che fa un passo indietro, per poterne fare un altro avanti domani.
Chi continua a criticarlo, spernacchiarlo, etichettarlo e a vedere il dito dei suoi errori e non la luna dei suoi pregi fa quasi sempre la stessa fine dei Murdock, dei Buratti, dei Bonora di una volta: resta sul posto. Mentre lui è già andato dentro.