Per i tifosi storici biancorossi è sinonimo di fiducia e garanzia. E, anche da imprenditore e da sindaco nella sua Germignaga, si è fatto sempre ben volere ed apprezzare.
Parliamo di Enrico "Chicco" Prato, di cui anzitutto ripercorriamo la storia sportiva. Luinese classe 1945, ha giocato da giovanissimo nelle giovanili del Milan, studiando ragioneria e lavorando anche nella azienda paterna. Dalle giovanili rossonere alla Pistoiese in serie C, poi il passaggio in serie B al Monza giocando con Castellini e Claudio Sala, allenatore Gigi Radice.
Viene dunque acquistato dal Varese nel 1972, con l'ulteriore obiettivo di avvicinarsi all'azienda di famiglia che doveva e voleva portare avanti. Nei biancorossi gioca per 6 anni: 104 presenze nel ruolo di centrocampista e capitano, 13 le reti realizzate. Chicco Prato detiene inoltre un record personale, avendo 28 rigori consecutivi tra i campionati di serie A e B senza mai sbagliare...
Partiamo proprio da qui: Prato, perché calciava lei i rigori?
Sinceramente non ricordo come è iniziato, ma i miei compagni si fidavano di me perché davo meno a vedere la forte emozione. Sentivo la vicinanza dei miei compagni e della panchina; così, quando andavo sul dischetto, riuscivo ad avere nervi saldi. Certo non era facile mantenere la calma prima di tirare, dopo le proteste degli avversari e i fischi della tifoseria avversaria, specie quando si giocava fuori casa. Ricordo una partita difficilissima con il Novara, rivale storico, dove ci fu concesso a pochi minuti dal termine il penalty. Immaginatevi i tifosi e i calciatori novaresi in cosa hanno trasformato lo stadio... Una piazza della corrida.
Cosa accadde poi?
Partita sospesa per diversi minuti. I miei compagni, da Gorin a Perego, da Rimbano a... tutti gli altri, mi pregavano di non sbagliare perché c’era un piccolo premio partita in caso di vittoria. In porta c'era Pinotti, che mi conosceva e mi provocava dicendomi che sapeva dove avrei tirato. Mi sono messo sulle spalle anche questa responsabilità. Ho tirato. E ho segnato...
Lei, capitano biancorosso, era la chioccia dei "ragazzini" degli anni 70 del Varese.
Sì, io e Andena, eravamo i più "veci". Ma quella generazione di campioni era unica ed erano bravi. Tante volte si doveva fare qualche rimbrotto... C’erano Gentile, Marini e De Lorentiis che erano già inquadrati; mentre Giacomino Libera, l’Egidio Calloni e l'Ernestino Ramella bisognava tenerli d’occhio. Specie l’Ernestino, che era di buona forchetta e mangiava sempre. Non solo, creava un mercatino alternativo negli spogliatoi di tortine e brioches...
Ci regala anche qualche ricordo di Egidio Calloni e di Giacomino Libera?
Calloni era un artista, un simpaticone e un giocherellone, facevo fatica anch’io ad essere serio quando sdrammatizzava le situazioni. Libera era più taciturno, un furbacchione, faceva trapelare poco, era difficile farlo arrabbiare. Ricordo che nelle partite dove veniva marcato stretto, quando si incazzava io lo capivo dal suoi occhi svelti. Mi avvicinavo e gli dicevo: «Giacomino: tira e segna». Lui ci metteva tanta rabbia nel tiro e spesso andava in rete.
Poi lei è passato al Lugano.
Sì, ho praticamente concluso la mia carriera in Svizzera, giocando con Silvio Papini e conquistando con il Lugano la promozione in serie A. In Canton Ticino fu un'esperienza super positiva. Ho fatto crescere un gruppo di calciatori, che hanno poi avuto lusinghieri successi in campionato svizzero. A Lugano riuscivo a gestire bene l’azienda e comunque giocare al calcio.
È vero che con Papini facevate le scommesse su chi corresse di più in campo durante una partita?
Dopo tanti anni, è il momento di dire la verità... Io per tattica giocavano da mediano e da libero, in un modulo molto offensivo, d'attacco. Così io andavo sempre in avanti mentre Papini doveva coprire lo spazio che lasciavo vuoto per partecipare all'azione di gioco. Così il "Papo" ringhiava sempre, perché non poteva partecipare alle fasi decisive in area di rigore e perché doveva fare dei gran recuperi per "tappare i buchi"...
Infine, Prato si è messo a disposizione del suo paese, Germignaga, facendo il sindaco.
Alcuni concittadini mi chiesero se volevo mettermi in gioco. Abbiamo vinto le elezioni con un bel gruppo, che mi hanno dato un valido aiuto. Anche in questo caso vale la forza dei componenti, del consiglio, specie quando c’è da fare scelte difficili. Essere squadra in campo o in un'amministrazione comunale è uguale: bisogna essere uniti per raggiungere dei risultati. Ai giovani dico questo. La forza del singolo serve per risollevarsi dopo un momento difficile, ma è lo sforzo corale che paga.

















