Divieto di svolta. È bastato un dettaglio a farmi balenare dentro sensazioni per la ripresa della scuola. Ad un tratto, mi è parso lampante e insopportabile, come nei primi tempi del lockdown, il vuoto delle strade e del mondo senza gli studenti.
Ho svoltato con l’auto dove posso entrare ininterrottamente dallo scorso febbraio: gli orari proibiti per la concomitanza dell’entrata e dell’uscita hanno perso senso e non si controllano neanche più. Ma adesso degli operai stanno rinfrescando la segnaletica e mi tornano in mente i volti delle insegnanti sui gradini dopo una riunione nei giorni scorsi, la trepidazione gioiosa che cerca di placare le preoccupazioni.
Torna il divieto di svolta. Si torna a vivere, davvero. Le strade si riempiono dei colori degli zaini e del vociare, dei bambini aggrappati alla mano del papà o della mamma, magari lasciata scivolare con orgoglio tremolante a pochi metri dalla scuola.
Certo, datemi due giorni e me la prenderò col traffico, questo è da contratto.
Ma si torna. Penso a questi mesi interminabili dei ragazzi attorno a me. Il bambino che il papà soffriva nel tenere appiccicato al grigio cortile, allora salivano sul piccolo tappeto erboso sopra i garage per giochi meno tristi. I bimbi che avevano appena cominciato ad ambientarsi in aula e sono stati strappati via da questo sortilegio.
I bambini ai quali non si penserà mai abbastanza e dei quali si rischia di parlare sempre meno: quelli che hanno bisogno di aiuto, no, diritto.
È un divieto di svolta quello che ci troveremo tutti di fronte questa mattina. Dobbiamo andare avanti, con prudenza, non possiamo permetterci nessuna inversione.
È la scuola che ci dimostra che stiamo tornando non a una normalità, ma a una vita piena. È la scuola che ci salverà e quindi va sostenuta. Perché è la scuola che ci permette di crescere, anche nella civile convivenza. Nel rispetto delle regole che alimentano il bene di una comunità: anche quelle per proteggere gli altri, prima di se stessi, da un maledetto virus.














