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Cronaca | 05 dicembre 2025, 16:45

Omicidio Limido, in Aula la psichiatra: «La perdita del figlio ha provocato un crollo psichico in Manfrinati»

Nel procedimento per l’uccisione di Fabio Limido, padre di Lavinia, l’udienza di oggi in tribunale a Varese si è concentrata sulle fragilità psichiatriche dell’imputato manifestatasi dopo l'esito della consulenza tecnica d'ufficio. In aula la psichiatra Zeroli: «La perdita del figlio ha provocato il crash di un sistema cognitivo ad altissime prestazioni». Al centro anche la posizione del fratello Nicolò e la testimonianza di Antonella Miravalli sullo stato emotivo di Manfrinati nei mesi precedenti al delitto

Omicidio Limido, in Aula la psichiatra: «La perdita del figlio ha provocato un crollo psichico in Manfrinati»

L’udienza di oggi del processo a carico di Marco Manfrinati, imputato per l’omicidio di Fabio Limido,  avvenuto in via Menotti a Varese nel maggio del 2024, ha segnato uno snodo decisivo del dibattimento, portando in aula una fitta ricostruzione clinica e testimoniale sulle condizioni psicologiche dell’imputato nei mesi che precedettero il delitto. La difesa, guidata dall’avvocato Giannangeli, ha posto l’accento sul deterioramento del profilo emotivo e comportamentale dell’uomo a seguito della separazione da Lavinia Limido e dell’allontanamento del figlio.

A dare avvio alla seduta è stata la testimonianza di Antonella Miravalli, conoscente di Manfrinati, che ha descritto la progressiva confidenza instauratasi con Manfrinati dopo un iniziale rapporto professionale. Miravalli ha riferito di un uomo profondamente provato dalla sottrazione del minore, impegnato in un difficile tentativo di ristabilire un equilibrio emotivo. Ha ricordato che nell’aprile 2024 l’imputato appariva “più stabile, più fiducioso”, convinto che la pendenza del contenzioso legale avrebbe comportato un ampliamento delle frequentazioni con il figlio. Secondo la difesa, questa ripresa apparente costituisce una chiave per comprendere il crollo che sarebbe poi maturato nelle settimane successive.

Ampio spazio è stato dedicato anche alla posizione processuale del fratello Nicolò Manfrinati, la cui audizione è stata contestata dalle parti sotto il profilo procedurale. Nicolò è ritenuto “indagabile” ai sensi degli articoli 210 del codice di procedura penale e 611 del codice penale, circostanza che impone un’audizione assistita da difensore. La difesa ha motivato la richiesta di escussione affermando che nella precedente udienza erano emersi elementi nuovi, non noti ai legali, che necessitano di chiarimenti.

Davanti alla Corte Nicolò ha ripercorso la propria relazione con la compagna Giulia Boetto, riferendo che quest’ultima e Lavinia non erano inizialmente in rapporti, divenuti poi amichevoli nel tempo. Ha descritto una coppia, quella dei Manfrinati, che durante le cene non lasciava trasparire il livello di conflittualità poi emerso nel procedimento penale. Dopo l’allontanamento di Lavinia, Nicolò e Giulia ospitavano frequentemente Marco a cena «per non farlo sentire solo», sottolineando l’empatia manifestata da Boetto nei confronti dell’imputato.

Il momento più denso e tecnicamente rilevante dell’udienza è stato l’esame di Zeroli, psichiatra incaricata dalla difesa, chiamata a ricostruire il quadro clinico di Manfrinati e il meccanismo che, secondo lei, avrebbe portato al crollo psichico sfociato nell’omicidio di Fabio Limido. Zeroli ha descritto l’imputato come un soggetto con alto funzionamento cognitivo, caratterizzato da rigidità di pensiero, buona capacità di relazione formale ma limitata capacità di comprensione emotiva dell’altro. Ha delineato un rapporto di coppia segnato dall’immaturità reciproca e ha individuato nell’allontanamento di Lavinia e del figlio il “detonatore” del successivo collasso psichico.

La psichiatra ha collocato l’imputato in un quadro di psicosi maniaco-depressiva e disturbo bipolare, associati a un disturbo del neurosviluppo con tratti autistici ad alto funzionamento “mimetizzati” da una struttura cognitiva superiore alla norma. «Il soggetto funzionava come un computer di ultima generazione — ha detto — ma, sovraccaricato da emozioni e informazioni non elaborabili, è andato in crash».

Zeroli ha parlato di una sequenza di fasi: euforia megalomanica, caduta, ripresa lenta, nuova caduta, fino al progressivo esaurimento delle risorse interne. La perdita del figlio sarebbe stata vissuta come la perdita dell’essenza identitaria, generando una percezione di lutto emotivo e un intenso senso di ingiustizia. L’imputato, ha spiegato la psichiatra, riponeva «una fiducia assoluta» nella CTU, la consulenza tecnica d'ufficio, condotta dalla dottoressa Brusa, ritenendola la via per una “riabilitazione” emotiva.

La pubblicazione della bozza della CTU il 2 maggio avrebbe rappresentato il fattore scatenante del meltdown, poiché prevedeva incontri protetti tra padre e figlio subordinati all’esito del processo penale. Il 6 maggio, ha riferito Zeroli, Manfrinati la chiamò in preda a un forte stato di eccitazione e disperazione, urlando per l’esito della consulenza tecnica e per le sue conseguenze. La specialista definisce questo episodio come una fase acuta del collasso e ha parlato di un «timore concreto del passaggio all’atto», formula tecnica per indicare un rischio suicidario o esplosivo.

Particolarmente critica la ricostruzione della gestione farmacologica dell’imputato. Nel tempo Manfrinati aveva assunto antidepressivi e stabilizzatori del tono dell’umore, per poi ricorrere alle benzodiazepine senza prescrizione, con un effetto paradosso disinibente. Durante la CTU gli era stata prescritta l’olanzapina, poi sospesa per l’aumento di peso; le benzodiazepine erano state reintrodotte fino a pochi giorni prima del 2 maggio. Zeroli ha definito “inconcepibile” che in carcere gli fosse stato lasciato un farmaco “perché diceva di trovarsi bene”, nonostante la sua condizione clinica.

Sul piano motivazionale, la psichiatra ha spiegato che Manfrinati attribuiva un ruolo determinante all’avvocato Marta Criscuolo, madre di Lavina, ritenuta figura dominante nella vita di Lavinia e responsabile della sottrazione del minore. Fabio Limido — ha chiarito — non era considerato dall’imputato il principale responsabile delle sue difficoltà. Proprio per questo, l’aggressione culminata nella morte dell’uomo nel gennaio 2021 è stata definita dagli esperti un episodio “clinicamente disorientante”, non coerente con la struttura del suo sistema di attribuzione delle colpe.

Zeroli ha concluso sostenendo che il disturbo del neurosviluppo non comprometteva, in sé, la capacità genitoriale dell’imputato; un punto che, secondo la difesa, smentirebbe l’interpretazione rigida della CTU. La Corte dovrà ora valutare come il quadro psichiatrico delineato in aula possa integrarsi con le condotte contestate e con la dinamica dell’omicidio, mentre il processo entra in una fase decisiva dell’istruttoria.

Alice Mometti

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