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Sport | 23 aprile 2025, 08:00

Emma Centrella da Cocquio Trevisago a studentessa e giocatrice di basket negli Usa: «Devi essere pronta in ogni momento, se non studi non giochi. Punto»

La 18enne atleta varesina, figlia di Danilo, sindaco del paese e noto urologo, si trova negli Stati Uniti dallo scorso mese di agosto, con tanta voglia di imparare e migliorarsi sia a livello tecnico che di mentalità: «Voglio tentare un salto di livello, ho un'opportunità in arrivo da New York. Il basket è molto più di uno sport, è la mia passione, la mia ancora, la mia scuola di vita. Il mio obiettivo è gestire un’attività tutta mia, o magari lavorare per un’organizzazione sportiva importante, come l’NBA. Cosa mi manca di più? La mia famiglia, il mio cane Mamba e rompere e la sfida in casa di rompere le uova di Pasqua con la testa»

Emma Centrella col papà Danilo

Emma Centrella col papà Danilo

Emma Centrella, 18 anni, figlia di Danilo, sindaco di Cocquio Trevisago e noto urologo, si trova dallo scorso agosto in Nebraska negli Stati Uniti, dove studia al College Basketball e gioca nella squadra di pallacanestro della Juco Norbhedes. In questa chiacchierata telefonica, fissata alle sei del mattino ora italiana per via del fuso orario e dei suoi impegni sportivi e di studio, tracciamo insieme un bilancio di questo anno e mezzo abbondante passato negli Usa. 

Emma come sono stati questi mesi negli Stati Uniti e quali sono stati i tuoi risultati sportivi e accademici? 

Questi mesi sono stati intensi e pieni di emozioni. Abbiamo concluso il campionato arrivando fino alle finali regionali. Purtroppo nel nostro girone c’era la squadra più forte dell’intera conference e abbiamo perso contro di loro, ma nel complesso è stata una stagione molto positiva, soprattutto considerando che era il mio primo anno qui in America.  A livello personale, mi sono adattata rapidamente e ho dato il massimo in campo e fuori. Dal punto di vista accademico, il mio impegno è stato riconosciuto: sono stata inserita nel First Team Academic All-American e nella President’s List, con un GPA perfetto di 4.0. Una cosa che ho notato è che negli Stati Uniti gli studenti-atleti vengono valorizzati non solo per lo sport, ma anche per il rendimento in classe, ed è qualcosa che trovo davvero motivante anche perchè qua se se non vai bene a scuola, non giochi. Punto. 

Com’è organizzata la tua giornata tipo? 

Durante la stagione, le giornate sono frenetiche e ben strutturate. Inizio la mattina presto con l’allenamento in sala pesi, poi seguono le lezioni, e dopo pranzo in genere c’è un secondo allenamento, che può essere tecnico sul campo oppure corsa. La sera è dedicata allo studio e un po’ di relax. In off-season abbiamo più margine per lavorare su aspetti specifici: io, ad esempio, sto lavorando molto sulla rapidità di piedi e sul tiro da tre punti, componenti fondamentali nel gioco americano. È il momento in cui puoi davvero fare la differenza per la stagione successiva. 

Che aspetto del tuo gioco senti migliorato di più da quando sei negli Stati Uniti? 

La mentalità. Qui non puoi permetterti di abbassare l’intensità neanche per un minuto. Ho imparato ad avere fiducia in me stessa, a essere più aggressiva, a gestire meglio la pressione ed a essere più egoista sul campo perché qua è una continua competizione, tutti competono per arrivare in alto, non è più solo un gioco. Tecnicamente, sto lavorando molto sul tiro da tre e sulla rapidità difensiva. Ogni allenamento qui è una sfida personale. 

Quali sono le principali differenze tecniche e atletiche tra la pallacanestro europea/italiana e quella americana? 

Qui il basket è un altro mondo. La preparazione fisica è molto più intensa, tutto è più veloce e più atletico, gli allenatori hanno un'attenzione ossessiva ai particolari. In Italia si lavora di più sulla tecnica e sulla tattica, mentre qui si punta molto sulla transizione, sull’esplosività e sulla forza. È un gioco più fisico, ma anche più aggressivo mentalmente. Devi essere pronta ogni secondo. 

Quali sono i risultati sportivi raggiunti finora? 

A livello individuale, oltre alla crescita tecnica e fisica, sono molto orgogliosa di aver guadagnato minuti e fiducia già dal primo anno. Ho aumentato le mie statistiche, migliorato nel gioco di squadra e ottenuto riconoscimenti sia in campo che fuori. Il basket qui è estremamente competitivo, quindi ogni piccolo traguardo ha un grande significato. 

Come vedi lo sviluppo del basket femminile in America rispetto all’Italia? 

Negli Stati Uniti il basket femminile è in forte crescita, soprattutto a livello universitario. Le strutture sono incredibili, l’attenzione mediatica è in aumento e le ragazze vengono trattate da vere professioniste sin dal college. In Italia purtroppo non c’è ancora la stessa visibilità o gli stessi investimenti, anche se il talento c’è eccome. Qui ogni partita può essere seguita da migliaia di persone, anche in streaming e questo cambia tutto: motivazione, prospettive e opportunità. 

Quali sono i tuoi programmi futuri, sportivi e accademici? 

Il prossimo anno ho deciso di non continuare in NJCAA (cioè in Junior College), ma di fare un salto di livello e trasferirmi in NCAA. Sto valutando alcune offerte per il mio anno da sophomore, e senza voler anticipare troppo… ho una bella opportunità in arrivo a New York. 
Dal punto di vista accademico, continuerò a studiare Business Administration, con l’obiettivo di un giorno gestire un’attività tutta mia, o magari lavorare per un’organizzazione sportiva importante, come l’NBA. Sono ambiziosa e  determinata. 

Hai incontrato avversarie italiane o europee durante la stagione? 

Sì, ho incontrato diverse ragazze europee, soprattutto spagnole, francesi e tedesche. È sempre bello vedere altri volti internazionali, perché capisci che non sei l’unica ad aver fatto questo salto nel vuoto. Con alcune siamo anche diventate amiche. Di italiane ne ho incontrate pochissime, ma ogni volta è una grande emozione. È più difficile per noi adattarci al loro gioco, perché è molto diverso e veloce ma si può imparare moltissimo. 

Cosa ti ha sorpreso di più del sistema americano? 

Sicuramente la cultura del supporto. Qui tutti fanno il tifo per te, a partire dai professori fino allo staff atletico e ai compagni di classe. Ti senti davvero valorizzata come persona, non solo come atleta. Anche nei momenti più duri, sai di avere qualcuno pronto ad aiutarti. Nonostante la distanza da casa, non ti senti mai completamente sola. Questo per me è stato fondamentale. 

Cosa rappresenta per te il basket?

Il basket è molto più di uno sport. È la mia passione, la mia ancora, la mia scuola di vita. Mi ha insegnato a essere disciplinata, a non mollare mai, a lavorare per qualcosa di più grande di me. In ogni allenamento e in ogni partita cerco di crescere, di sfidare i miei limiti, di diventare una versione migliore di me stessa. È attraverso il basket che ho imparato davvero chi sono. 

Cosa ti ha insegnato questa esperienza negli USA? 

Mi ha insegnato a credere in me stessa, anche nei momenti in cui era più facile arrendersi. Vivere in un altro paese, con una lingua e una cultura diversa, ti mette davanti a tante sfide. Ma ti rendi conto anche di quanto sei capace.  Ho imparato a cavarmela da sola, a prendere decisioni, a crescere non solo come atleta ma anche come persona. 

Che consiglio daresti ai tuoi coetanei per trasmettere la tua determinazione e spirito di sacrificio? 

Non aspettate che tutto sia perfetto per iniziare. Se avete un sogno, anche solo l’idea di realizzarlo, iniziate a costruire un passo alla volta. La determinazione nasce nei piccoli gesti quotidiani: alzarsi presto, studiare anche quando sei stanca, allenarti anche quando non ne hai voglia. I risultati arrivano, ma bisogna metterci cuore e costanza. 

Cosa pensi della pallacanestro femminile in America rispetto all’Italia? 

La pallacanestro femminile in America ha un impatto molto più grande. C’è attenzione mediatica, strutture all’avanguardia e soprattutto una mentalità che valorizza anche le donne nello sport. In Italia, purtroppo, il basket femminile spesso viene messo in secondo piano. Qui ti senti un’atleta a tutti gli effetti, con la stessa dignità e rispetto degli atleti maschi. È una sensazione bellissima. 

Hai mai sentito la pressione di dover dimostrare qualcosa in più, essendo europea? 

Sì, all’inizio un po’ sì. Sei lontana da casa, sei “quella nuova” e non parli nemmeno la lingua perfettamente. Ma ho deciso fin da subito di farmi conoscere per come gioco, per come lavoro, per la mia mentalità. Non ho chiesto sconti, volevo solo una chance per dimostrare chi sono. E passo dopo passo, mi sono guadagnata il rispetto di tutti. 

Molti pensano che studiare negli Stati Uniti sia come andare in vacanza. È davvero così? 

Assolutamente no. Qui non sei in vacanza, sei in una sfida continua. Ogni giorno è pieno: tra lezioni, allenamenti, studio e palestra, non hai davvero tempo per distrarti. In più, se hai un obiettivo vero, ti rendi conto subito che sei qui per lavorare, non per divertirti. E poi, anche volendo, non puoi nemmeno andare in discoteca: serve avere 21 anni, e io non li ho ancora.

Hai una giocatrice di riferimento nella WNBA o nel college basketball americano? 

Attualmente mi ispiro molto a due stelle del college basketball femminile: JuJu Watkins e Paige Bueckers. JuJu è impressionante per la sua mentalità e la capacità di creare dal nulla. Paige invece è pura eleganza e intelligenza cestistica. Il suo controllo del ritmo, la visione di gioco e la leadership silenziosa sono qualità che ammiro tantissimo. Guardarle giocare mi motiva a lavorare ogni giorno per avvicinarmi a quel livello. 

Cosa ti ha permesso di arrivare a questo livello? 

Il lavoro, sempre. Non sono arrivata qui per caso o per fortuna. Ho fatto un sacco di sacrifici, ho rinunciato a tante cose e mi sono sempre allenata al massimo, anche nei giorni più duri. Ci sono stati momenti in cui ero stanca, lontana da casa, magari con la nostalgia, ma non ho mai mollato. Ogni singolo allenamento, ogni scelta fatta con la testa e non con la pancia, mi ha portata dove sono ora. E ci tengo a dimostrare ogni giorno che me lo sono meritato. 

Cosa ti manca dell’Italia? 

Mi mancano tantissimo le mie persone: la mia famiglia, gli amici e ovviamente il mio cane Mamba. E po il caffè! Qui lo fanno in mille modi, ma nessuno batte la moka di casa, con quel profumo che ti sveglia la mattina e ti fa sentire subito in Italia. Visto che è appena passata Pasqua, devo dire che mi è mancata anche una nostra tradizione super divertente: rompere le uova di cioccolato con la testa. Ogni anno a casa era una sfida chi riusciva ad aprirle per primo senza farsi male.  

Claudio Ferretti


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